Origine delle merci e comunicazione al consumatore
4. Segue La nozione “doganale” di origine e la sua (inopportuna) esten sione alla comunicazione commerciale Cenni introduttivi.
Nei casi in cui la normativa di settore non contenga alcuna particolare indi- cazione circa il concetto di “origine” ai fini dell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei prodotti, la dottrina 44 ed in parte la giurisprudenza e la prassi
negli studi presentati il costo “industriale” dell’implementazione della tracciabilità necessaria all’indicazione in etichetta dell’origine (cfr. punti 6 e 24 del documento).
44 Cfr.F.ANTONACCHIO, Etichettatura dei prodotti. Tutela del “Made in Italy”, sicurezza prodot-
ti e contrasto alla contraffazione dei marchi, Milano, Giuffrè, 2007 p. 6 ss.; L.MORICONI,M.ZAN- GA, Guida pratica sull’origine delle merci. Procedure doganali, etichettatura e “Made in”, Milano, 2011, Wolter Kluwer Italia, pp. 6-7;S.ARMELLA, Diritto doganale, Milano, Egea, 2015, p. 204; S. MASINI, La tutela del “Made in Italy” nella normativa e giurisprudenza civile e penale italiana, in A.
GERMANÒ, V. RUBINO (a cura di), La tutela dell’origine dei prodotti alimentari in Italia,
nell’Unione europea e nel commercio internazionale, Milano, Giuffrè, 2015, p. 234 ss. Per quanto
più specificamente riguarda i prodotti alimentari si vedano F.ALBISINNI, L’origine dei prodotti
alimentari e la qualità territoriale, in Rivista di diritto agrario, 2000, I, p. 23 ss.; G. DE GIOVANNI,
Origine e provenienza dei prodotti alimentari, in Alimenta, 2004, p. 143 ss.; ID., L’origine delle
produzioni alimentari, ibidem, p. 155;G.COSCIA, Prodotti alimentari d’importazione e indicazioni
della provenienza, in Dir. com. sc. int., 2006, p. 771 ss.;D.D’ANGELO, Prodotti agroalimentari e
Made in Italy in etichetta, in Agriregionieuropa, 2014, on line su https://agriregionieuropa.univpm.it;
A.VETTOREL, L’indicazione obbligatoria relativa al paese d’origine o al luogo di provenienza degli
alimenti: quale informazione?, in Rivista di diritto alimentare, 2014, p. 26 ss., www.rivistadiritto alimentare.it.
amministrativa 45 hanno fatto ricorso al richiamo per via analogica delle disposi-
zioni contenute nel Codice doganale comunitario (oggi dell’Unione europea) dedicate alla determinazione della c.d. “origine non preferenziale” delle merci, ossia, come si dirà meglio in prosieguo, al luogo ove è stata svolta l’ultima lavo- razione capace di imprimere “doganalmente” al prodotto un significativo valore aggiunto ovvero una funzionalità/natura sostanziale diversa dai suoi meri com- ponenti 46.
Rinviando al prosieguo l’analisi della coerenza di queste disposizioni con le “aspettative” (ed i relativi diritti) del consumatore, sia consentito in questa sede anzitutto segnalare come un simile collegamento, ove non tracciato da una espli- cita disposizione normativa (come, ad esempio, il già richiamato art. 2, par. 2, lett. g), regolamento (UE) n. 1169/2011) non possa dirsi scevro da criticità an- che sul piano strettamente giuridico.
Com’è noto, la Corte di giustizia ha sempre utilizzato in via del tutto eccezio- nale l’argomentazione “per analogia” al solo fine di ovviare a situazioni di incer- tezza generate da inaccettabili lacune normative 47.
Nel caso Krohn 48 la Corte ha precisato i limiti di una simile tecnica interpre-
tativa nel diritto dell’Unione europea, affermando che l’applicazione analogica può essere ammessa esclusivamente quando i casi siano strettamente comparabi-
45 Per quanto attiene la prassi amministrativa sia consentito rinviare a titolo esemplificativo alle circolari dell’Agenzia delle Dogane 8 giugno 2004, prot. 4830, sulla l. 350/2003: tutela della de- nominazione di origine dei prodotti, nonché la circolare 13 maggio 2005, n. 20/D – l. 24 dicembre 2003, n. 350 – art. 4, comma 49. Tutela della denominazione di origine dei prodotti – precisazioni, entrambe pubblicate su Alimenta, 2009, p. 233 ss.
46 Il diritto doganale distingue l’origine “non preferenziale” da quella “preferenziale”. Per una più dettagliata analisi sui criteri di determinazione della prima (ed il suo significato) sia consentito rinviare oltre, alla trattazione in questo stesso paragrafo. Quanto all’origine “preferenziale” si trat- ta dell’attribuzione a determinati prodotti del carattere originario di alcuni Paesi in base agli ac- cordi doganali “preferenziali”, che consentono una facilitazione agli scambi commerciali bilaterali (anche in virtù dell’ovvia incidenza del dato sulla tariffa doganale applicabile). L’eccezionalità di questa fattispecie esclude che l’origine preferenziale possa essere assunta come criterio per deter- minare anche il “Made in” a fini comunicativi, sicché non pare utile approfondirne in questa sede l’esame.
47 Cfr., a titolo esemplificativo, le sentenze della Corte di giustizia CEE 20 febbraio 1975, casa 64/74, Adolf Reich c. Hauptzollamt Landau, in Racc., 1975, p. 00261 ss.; 11 luglio 1978, Union fra-
nçaise de céréales c. Hauptzollamt Hamburg-Jonas, in Racc.,1978, p. 1675 ss.; 12 dicembre 1985,
causa 165/84, John Friedrich Krohn (GmbH & Co. KG) c. Bundesanstalt für landwirtschaftliche
Marktordnung, in Racc., 1985, p. 03997 ss.; più di recente: 8 settembre 2010, causa C-409/06, Winner Wetten GmbH c. Bürgermeisterin der Stadt Bergheim, in Racc., 2010, p. I-08015 ss. In let-
teratura sia consentito richiamare, a titolo meramente esemplificativo, K.LANGENBUCHER, Argu-
ment by Analogy in European Law, in The Cambridge Law Journal, 1998, p. 481 ss.; E.RUSSO,
L’interpretazione dei testi normativi comunitari, Milano, Giuffrè, 2008; G.GAIA,A.ADINOLFI, In-
troduzione al diritto dell’Unione europea, cit., p. 562; L.GAROFALO,G.PIZZOLANTE, Spunti per
una teoria postmoderna della analogia, Torino, Giappichelli, 2016, p. 83 ss., oltre alla manualistica
fondamentale già richiamata nel cap. 1.
li a quello regolamentato, ossia laddove l’oggetto e le finalità della regolamenta- zione che si riterrebbe applicabile risultino del tutto omogenei a quelli della fat- tispecie priva della specifica disciplina 49 e, d’altra parte, il mancato ricorso al-
l’argomento analogico implicherebbe un’omissione incompatibile con un prin- cipio generale del diritto comunitario (oggi UE) alla quale l’applicazione analo- gica consentirebbe di ovviare 50.
Orbene, la divergenza delle finalità del Codice doganale rispetto al profilo co- municativo-commerciale appare in questi termini evidente, ed è stata notata non solo dai più attenti commentatori della materia 51, ma anche dalla giurisprudenza
nazionale alle prese con l’applicazione di sanzioni penali per la violazione delle regole sul c.d. “Made in Italy”.
In più di una occasione, infatti, è stato sottolineato come le disposizioni doga- nali non possano esaurire i criteri di attribuzione in etichetta del carattere origina- rio di un determinato luogo ad una merce, posto che il campo di applicazione del Codice e dei regolamenti di esecuzione 52 erano (e tutt’oggi in gran parte sono)
esplicitamente confinati ai relativi fini tariffari e quantitativi, «non già per la tutela dei consumatori dalle frodi e dei produttori dalla illecita concorrenza» 53.
49 Cfr. la sentenza del Trib. UE 16 gennaio 1996, causa T-108/94, Candiotte c. Consiglio, in
Racc., II, 1996, p. 87 ss., punto 30.
50 Cfr. le sentenze 20 febbraio 1975, Adolf Reich, cit. e 11 luglio 1978, Union française de cé-
réales, cit.
51 Cfr. P.BORGHI, Il “made in Italy” nella disciplina italiana e comunitaria, con particolare rife-
rimento agli alimenti, in Diritto & Diritti, rivista giuridica elettronica pubblicata su internet, maggio
2006, disponibile on line all’indirizzo https://www.diritto.it/il-made-in-italy-nella-disciplina-
italiana-e-comunitaria-con-particolare-riferimento-agli-alimenti (ult. cons. 24 febbraio 2017); F.AL- BISINNI, Il made in Italy dei prodotti alimentari e gli incerti tentativi del legislatore italiano, in Agri-
regionieuropa, 2011, https://agriregionieuropa.univpm.it; L.COSTATO, Le etichette alimentari nel
nuovo regolamento 1169/2011, in AA.VV., Tracciabilità ed etichettatura degli alimenti. Partecipa- zione e sicurezza. I Georgofili, Quaderni, Firenze, Polistampa, 2012, spec. p. 73; F.BRUSA, Il Made
in Italy a confronto con l’eterogenesi dei fini. Ipotesi di un nuovo ordinamento, in Alimenta, 2013,
p. 223 ss.; S.MASINI, La tutela del “Made in Italy” …, cit., pp. 253-255.
52 Le disposizioni di attuazione del Codice doganale (usualmente definite D.A.C.) sono state integralmente sostituite da nuovi regolamenti UE a partire dall’applicazione del nuovo Codice doganale dell’Unione europea (1° maggio 2016). Attualmente le norme principali in materia sono il regolamento delegato (UE) n. 2015/2446 della Commissione del 28 luglio 2015 che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell’Unione, in GUUE, L 343 del 29 di- cembre 2015, p. 1 ss.; il regolamento di esecuzione (UE) n. 2015/2447 della Commissione del 24 novembre 2015 recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice doganale dell’Unione, in
GUUE, L 343 del 29 dicembre 2015, p. 558 ss.; il regolamento delegato (UE) n. 2016/341 della
Commissione, del 17 dicembre 2015, che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme transitorie relative a talune disposizioni del codice doganale dell’Unione nei casi in cui i pertinenti sistemi elettronici non sono ancora opera- tivi e che modifica il regolamento delegato (UE) n. 2015/2446 della Commissione, in GUUE, L 69 del 15 marzo 2016, p. 1 ss., per un commento ai quali si rinvia alla pertinente manualistica doga- nale già richiamata in precedenza.
La mancanza di un rapporto diretto fra i due ambiti (doganale-comunicati- vo) ha, infine, trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giusti- zia UE nella già richiamata sentenza UNIC-Unicopel ove è stato esplicitamente affermato al riguardo che la disciplina del codice doganale «fornisce una defini- zione comune della nozione di origine delle merci, che costituisce un mezzo in- dispensabile per garantire l’applicazione uniforme della tariffa doganale comune nonché di tutti gli altri provvedimenti adottati, per l’importazione o l’esporta- zione delle merci, dall’Unione o dagli Stati membri (…). Da ciò deriva (…) che questa disposizione non concerne il contenuto dell’informazione destinata ai con- sumatori mediante etichettatura delle calzature (…)» 54.
Lo stato a dir poco “caotico” della materia (ed il clamoroso vuoto normativo descritto) ha quindi indotto le istituzioni dell’Unione a correre ai ripari, non so- lo inserendo specifiche ed esplicite norme settoriali di raccordo (come quella già richiamata contenuta nel regolamento 1169/2011), ma includendo nel nuovo “Co- dice doganale unionale” 55 una clausola generale di “chiusura” che sembrerebbe
estendere la disciplina sull’origine ivi contenuta a tutte le altre disposizioni del- l’Unione che riguardino questo aspetto anche per finalità differenti.
L’art. 59 del regolamento (UE) 952/2013, infatti, dispone oggi espressamente che le norme sull’origine non preferenziale di cui agli artt. 60 e 61 si applichino, oltre che per la determinazione della tariffa doganale comune (lett. “a”) e delle misure diverse da quelle tariffarie (lett. “b”), anche alle «altre misure dell’Unio- ne relative all’origine delle merci» (cfr. lett. “c”).
L’indicazione, invero ancora piuttosto oscura a causa della sua genericità, è stata intesa come conferma della applicabilità della relativa disciplina anche al- l’ambito dell’etichettatura, presentazione e pubblicità, pur in assenza di ulteriori espliciti rinvii settoriali 56, dato il suo collocamento sistematico “a chiusura” di
una norma che nelle due lettere precedenti già esaurisce l’intero campo dogana- le, nonché in ragione della sua formulazione “aperta”, apparentemente capace di attrarre nel proprio ambito di applicazione fattispecie assai diverse da quelle nella cui disciplina generale si colloca.
In altre parole, sembrerebbe oggi essersi in presenza di una disposizione di carattere generale, capace di offrire alla materia copertura sistematica e trasver- dice ha portato la giurisprudenza penale italiana ad “integrare” la nozione di origine a fini sanzio- natori con altre fonti, posto che «le citate disposizioni comunitarie hanno natura sostanzialmente doganale e che altro e diverso è, invece, l’oggetto della tutela apprestata dagli articoli 517 codice penale e dall’art. 4.49 della legge 350/03: tali norme tutelano, infatti, l’interesse generale concer- nente l’ordine economico» (cfr. Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 19650/2012).
54 Cfr. la sentenza UNIC – Unicopel, cit., punti 59-60 delle motivazioni.
55 Cfr. il regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 952/2013, cit., che ha sostituito il precedente regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 450/2008 del 23 aprile 2008 avente il medesimo oggetto (in GUUE, L 145 del 4 giugno 2008, p. 1 ss.), que- st’ultimo mai entrato in vigore per la mancata adozione delle disposizioni attuative.
sale, tale da superare le criticità evidenziate dalla giurisprudenza della Corte con riferimento alla situazione precedente.
Senonché anche questa soluzione non pare poter diradare totalmente i dubbi che, sotto diverso profilo, avevano caratterizzato la materia in precedenza.
Occorre infatti ricordare che la Corte, partendo dal tendenziale carattere anorganico del diritto derivato UE, ha più volte sottolineato come «il campo di applicazione di un regolamento è normalmente definito dalle disposizioni del re- golamento stesso, e non può, in linea di principio, essere esteso a situazioni di- verse da quelle ch’esso ha inteso disciplinare (…)» 57.
Analoga indicazione si ritrova nel documento “Guida pratica comune del Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione per la redazione dei te- sti legislativi dell’Unione europea” 58, adottata sulla base dell’accordo interistitu-
zionale “Legiferare meglio” ed avente efficacia giuridica vincolante ai sensi del- l’art. 295 TFUE 59, nel cui par. 4 si legge che «l’ambito di applicazione [delle
norme di diritto derivato UE] deve essere rispettato in ogni parte dell’atto. I di- ritti e gli obblighi non devono eccedere l’ambito predefinito né estendersi ad al- tri settori» 60.
Il criterio non è solo legato al doveroso rispetto dei principi di legalità e tas- satività propri anche del diritto dell’Unione europea, ma anche alla necessità di non indurre i potenziali destinatari delle norme UE a sottovalutarne (o ignorar- ne) il contenuto in funzione di un oggetto fuorviante o riduttivo 61.
57 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CE del 12 dicembre 1985, Krohn, cit., punto 13. 58 Il documento, la cui ultima versione risale al 2015, si inserisce nel percorso avviato già da lungo tempo dalle istituzioni che concorrono alla adozione degli atti legislativi dell’Unione deno- minato “Legiferare meglio”, cui possono essere riferiti, in via esemplificativa, la risoluzione del Consiglio dell’8 giugno 1993 relativa alla qualità redazionale della legislazione comunitaria (in
GUCE, C 166 del 17 giugno 1993, p. 1); la dichiarazione n. 39 relativa alla qualità redazionale del-
la legislazione comunitaria, sottoscritta a Torino il 29 marzo 1996, allegata alla versione finale del Trattato di Amsterdam Accordo interistituzionale del 22 dicembre 1998 sugli orientamenti comu- ni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria, in GUCE, C 73 del 17 marzo 1999 p. 1 ss., nonché il successivo Progetto interistituzionale “Legiferare meglio”, in GUUE, C 321 del 31 dicembre 2003, p. 1 ss., divenuto oggi Accordo interistituzionale legiferare meglio tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea del 16 aprile 2016, cit., all’interno del quale sono elencati ulteriori atti in materia, cui si rimanda per comple- tezza di disamina.
59 Cfr. l’Accordo interistituzionale Legiferare meglio”, cit. È appena il caso di ricordare come il Trattato di Lisbona abbia conferito inquadramento sistematico a questo tipo di accordi attraver- so il nuovo art. 295 TFUE, a norma del quale «il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commis- sione procedono a reciproche consultazioni e definiscono di comune accordo le modalità della cooperazione. A tale scopo, nel rispetto dei Trattati, possono concludere accordi interistituzionali che possono assumere carattere vincolante».
60 Cfr. il punto 4.2.1 del documento.
61 A questo riguardo la Guida riporta al punto 13.3 un esempio singolare ma piuttosto chiaro: «se un articolo indica che l’atto si applica ai “veicoli con una velocità massima di 25 km/h o più”, l’atto in questione potrà senz’altro contenere disposizioni riguardanti, ad esempio, veicoli con ve- locità massima di 50 km/h in quanto tali veicoli rientrano in ogni caso nell’ambito definito. Nes-
Ne consegue che già sotto questo profilo appare del tutto opinabile interpre- tare l’art. 59 del Codice come una norma capace di coprire anche il settore della comunicazione commerciale, posto che, come già osservato in precedenza, il re- golamento sul Codice doganale unionale ha mantenuto nelle definizioni del suo campo di applicazione esclusivamente l’ambito “doganale”.
Al profilo esposto, già di per sé sufficientemente problematico, si aggiunge, poi, la questione della “vaghezza” della disposizione in commento.
La Corte di giustizia ha stabilito al riguardo che laddove ci si trovi di fronte ad una norma eccessivamente generica od equivoca, si rende necessario «ai fini dell’interpretazione di questa disposizione considerare il contesto entro il quale essa si colloca e le finalità perseguite dalla relativa disciplina» 62 onde accedere
ad una sua corretta qualificazione, limitando le interpretazioni estensive ai soli casi in cui le fattispecie da regolare appaiano oggettivamente accomunabili e l’even- tuale mancata applicazione della norma determini violazione di un principio ge- nerale come la certezza e prevedibilità del diritto nonché l’equità nel trattamento omogeneo di situazioni affini 63.
Orbene, nel caso che qui interessa l’ambiguità del testo contenuto nell’art. 59 del nuovo Codice doganale unionale appare evidente.
La norma, infatti, si colloca nel contesto di un regolamento con finalità, co- me già chiarito in precedenza, totalmente estranee alla comunicazione commer- ciale; lo stesso “wording” utilizzato nel par. 1, lett. c) dell’articolo non consente di dedurre con assoluta chiarezza l’intenzione del legislatore (pur potendosi in- tuire la potenzialità estensiva della disposizione in oggetto); infine il fatto che in alcune discipline di settore (come quella alimentare) le istituzioni UE abbiano sen- tito il bisogno di effettuare un richiamo esplicito alla disciplina in oggetto per garantirne l’applicabilità anche successivamente alla pubblicazione del nuovo co- dice, rende quantomeno discutibile il ricorso generale ed acritico alla normativa doganale quale fonte “esaustiva” per le finalità dell’etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti, dovendosi, semmai, ricorrere volta per volta ad una delicata analisi circa la sussistenza di quelle imprescindibili ragioni di unitarietà del sistema, coerenza e legittimo affidamento sulla prevedibilità delle norme e razionalità del loro significato indicata dalla Corte anche in ragione della fun- zione che si vorrebbe far loro svolgere nello specifico ambito.
In altre parole, l’attuale lacunosità della materia e le soluzioni di diversa na- tura sino ad oggi adottate dal legislatore UE rendono per nulla scontato il ricor- suna disposizione dovrà, invece, riguardare veicoli con una velocità massima pari, ad esempio, a 20 km/h, in quanto, basandosi sull’articolo relativo all’ambito di applicazione il costruttore o pro- prietario di siffatti veicoli potrebbe essere indotto a non leggere il prosieguo dell’articolato».
62 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CEE 7 febbraio 1979, causa 11/76, Paesi Bassi c.
Commissione, in Racc., 1976, p. 245, punto 6; nello stesso senso si veda altresì la sentenza della
Corte 28 ottobre 1999, causa C-6/98, Arbeitsgemeinschaft Deutscher Rundfunkanstalten (ARD) c.
PRO Sieben Media AG, in Racc., 1999, p. I-07599 ss.
so al Codice doganale unionale quale unica fonte per la definizione del concetto di “origine” a fini comunicativi, ben potendosi immaginare situazioni in cui la Corte, eventualmente chiamata ad interpretare per le finalità descritte il combi- nato disposto di varie disposizioni fra cui l’art. 59 in esame, possa valorizzare funzionalmente anche altri elementi normativi in ragione delle aspettative di un consumatore “medio” e del suo grado di discernimento delle informazioni con- cernenti i vari passaggi della filiera produttiva.