Origine delle merci e comunicazione al consumatore
6. Segue Norme dell’Unione europea sull’origine e “preemption”.
Il problema della valenza della disciplina sull’origine non si esaurisce solo nella tendenziale disarmonia fra i criteri doganali di “definizione” dell’origine e le ordinarie esigenze/aspettative dei consumatori in tema di informazione, ma investe anche la complessa tematica del grado di esaustività e completezza della disciplina UE in materia.
Infatti, sia che si consideri la natura “cumulativa” delle numerose fonti ri- chiamate (che potrebbe forse lasciare spazio alla valorizzazione anche di ele- menti diversi rispetto alla meccanica determinazione doganale delle fasi della fi- liera rilevanti), sia che si voglia accedere alla tesi della inestensibilità delle norme doganali sull’origine all’etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti, ovvero, infine, che si guardi settorialmente alle disposizioni specifiche dettate per alcuni prodotti in deroga ai criteri generali, occorre domandarsi se ed in che 72 Cfr. Cass. pen., Sez. III, sentenza 15 marzo 2007, n. 27205, cit., pubblicata in Alimenta, 2014, p. 62 ss. e spec. p. 68. Non altrettanto potrà dirsi di un triplo concentrato di pomodoro im- portato dalla Cina, allungato con acqua in Italia per renderlo “doppio concentrato” di pomodoro e falsamente dichiarato “Made in Italy” (cfr. Trib. di Nocera inferiore, sentenza 28 marzo 2012, n. 404, Donnarumma, in Alimenta, 2013, p. 16 ss.).
73 La mancata adozione di criteri definitori dell’origine a fini commerciali “autonomi” rispetto alla disciplina doganale appare ancor più incomprensibile al giorno d’oggi: il consumatore medio contemporaneo, infatti, non è refrattario alla sperimentazione di prodotti “nuovi” o provenienti da altri Paesi, essendo ormai abituato alla globalizzazione produttiva. Desidera, tuttavia, identifi- care ciò che sceglie nei suoi elementi differenzianti, ed in ciò può fungere da stimolo alla concor- renza su basi nuove, ancorate ad una identità ben delineata in un mercato sempre più dinamico.
misura gli Stati membri possano aver conservato una capacità di intervento con regole nazionali “di integrazione” o “specificazione” in merito.
La questione verrà qui valutata sotto un duplice profilo: per un verso la ne- cessaria prevalenza del diritto UE su quello nazionale, laddove disposizioni adot- tate unilateralmente possano confliggere in modo evidente con norme UE di di- ritto derivato dedicate a disciplinare la materia; per altro verso con riferimento al concetto collegato della c.d. “preclusione di campo”, ossia della natura esau- riente delle disposizioni settoriali anche laddove queste non contengano dispo- sizioni specifiche in materia di etichettatura di origine o “Made in”.
È noto che sin dalle prime pronunce sul rapporto fra l’ordinamento comuni- tario e gli ordinamenti nazionali la Corte di giustizia ha particolarmente insistito sull’effetto preclusivo derivante dall’esercizio delle competenze comunitarie me- diante adozione di norme di diritto derivato 74.
Secondo orientamento costante «le disposizioni del Trattato e gli atti delle isti- tuzioni, qualora siano direttamente applicabili hanno l’effetto (…) non solo di rendere “ipso iure” inapplicabile qualsiasi disposizione contrastante della legi- slazione nazionale preesistente, ma anche (…) di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali (…) incompatibili con le norme comunitarie» 75.
L’effetto, così descritto in termini assolutamente generali, viene poi scompo- sto in funzione degli elementi che possano caratterizzare l’insorgere di un con- flitto fra norme nazionali e norme UE.
L’esistenza di una contraddizione esplicita fra le diverse fonti in questione non genera particolari problemi interpretativi, dovendosi, ovviamente, accorda- re priorità alla norma dell’Unione in funzione della sua indiscussa supremacy ri- spetto al diritto interno 76.
74 Sebbene la Corte non abbia mai elaborato un “approccio sistematico” al tema della preemp-
tion (come, viceversa, è avvenuto negli Stati Uniti ad opera della Corte Suprema), le pronunce in
cui il tema è stato affrontato sotto vari profili (e, principalmente, in chiave di conflitto – potenziale od effettivo – fra norme nazionali e norme di diritto derivato comunitario) sono piuttosto nume- rose. In prosieguo si farà riferimento ad alcuni casi particolarmente significativi, con rinvii alla dottrina per un più articolato esame della questione.
75 Cfr. la celebre sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, in Racc., 1978, p. 00629 ss. 76 Il dato è ormai ovvio, e non merita particolare approfondimento. Sia consentito rifarsi esclu- sivamente ed a titolo puramente esemplificativo alle sentenze della Corte di giustizia più famose in merito: 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. ENEL, in Racc., 1964, p. 585 ss., ove la Corte ha chia- ramente affermato che «l’integrazione del diritto di ciascuno Stato membro di norme che proma- nano da fonti comunitarie [oggi dell’Unione], e, più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale, per- tanto, non potrà essere opponibile all’ordine comune. Se l’efficacia del diritto comunitario varias- se da uno Stato all’altro in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l’at- tuazione degli scopi del Trattato (…)». Nella successiva sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77,
Simmenthal, cit., la Corte ha poi ulteriormente precisato che l’applicabilità diretta «va intesa nel
senso che le norme di diritto comunitario [oggi dell’Unione] devono esplicare la pienezza dei loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per
Più complesso appare, al contrario, il tema connesso dell’esaurimento degli spazi di intervento regolatorio nazionale negli ambiti non esplicitamente disci- plinati dalla norma UE di riferimento, specialmente laddove questa non chiari- sca la propria portata.
La giurisprudenza della Corte ha operato al riguardo alcune precisazioni con- sentendo di distinguere la c.d. “preclusione di campo”, nel caso in cui la disci- plina dell’Unione inibisca l’intervento degli Stati membri 77, dalle ipotesi di pre-
clusioni “indirette” o “per omissione”, in cui, rispettivamente, l’intervento rego- latorio nazionale, pur non sovrapponendosi formalmente alla disciplina UE, ne pregiudichi comunque l’efficacia ostacolandone il funzionamento 78 o si inserisca
in spazi non formalmente regolati dal diritto derivato ma che in realtà esprimo- no la volontà che la materia resti non regolamentata 79.
tutta la durata della loro validità; (…) inoltre, in funzione del principio della preminenza del dirit- to comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto nei loro rapporti con il diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere “ipso iure” inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposi- zione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche – in quanto dette disposi- zioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordi- namento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri – di impedire la valida formazio- ne di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie». La posizione è stata, in seguito, in parte attenuata quanto alla c.d. “validità” della normativa interna contrastante con il diritto UE nel suo momento “genetico”, quanto agli effetti del contrasto (cfr., in particolare, con riferimento alla nota questione del “giudicato” delle senten- ze). Per maggiori approfondimenti sia consentito rinviare alla manualistica istituzionale già men- zionata.
77 Sul punto sia consentito rinviare, per una esemplificazione concreta, a quanto verrà illustra- to in prosieguo, nel cap. 3, con riferimento alla natura “esauriente” del regolamento UE sui regimi di qualità dei prodotti alimentari tipici o provenienti da zone determinate. Per una trattazione ge- nerale del tema si veda A. ARENA, Il principio della preemption in diritto dell’Unione europea.
Esercizio delle competenze e ricognizione delle antinomie tra diritto derivato e diritto nazionale, Na-
poli, Editoriale Scientifica, 2013.
78 Si consideri a titolo esemplificativo il noto caso Pigs Marketing Board (sentenza 29 novembre 1978, causa 83/78, Pigs Marketing Board c. Raymond Redmond, in Racc., 1978, p. 02347 ss.) in cui la Corte, con riferimento alla OCM carni suine e ad una norma nazionale che vincolava gli opera- tori ad interporre la mediazione obbligatoria di un ente ad hoc per la commercializzazione dei propri prodotti, ha ritenuto che «qualsiasi disposizione o prassi nazionale atta a modificare le cor- renti d’importazione o di esportazione o ad influire sui prezzi di mercato» fosse da ritenere con- traria al principio del c.d. “libero accesso” al mercato sotteso, implicitamente, alla disciplina UE in discussione nella misura in cui fosse capace di «ostacolare il funzionamento dell’organizzazione comune dei mercati» attribuendo «vantaggi ingiustificati a determinati gruppi di produttori o consumatori, ai danni dell’economia di altri Stati membri o di altri gruppi economici nella Comu- nità» (cfr. punti 57 ed 80 della sentenza).
79 Cfr. sul punto a titolo esemplificativo la sentenza della Corte di giustizia 23 novembre 1989, causa C-150/88, Kommanditgesell Schaft in Firma Eau de Cologne & Parfumerifabrik Glockengasse
n. 4711 c. Provide Srl, in Racc., 1989, p. 03891 ss. in materia di etichettatura dei cosmetici, ove la
Corte ha ritenuto che l’elenco delle indicazioni obbligatorie contenuto nella direttiva 76/768/CEE allora applicabile fosse esauriente e, di conseguenza, gli elementi non previsti non potessero essere implementati a livello nazionale.
La questione della natura di una norma derivata UE (e delle sue disposizioni) deve quindi essere affrontata e risolta in base all’esame puntuale del suo testo, onde verificare se le istituzioni dell’Unione con l’atto in questione abbiano inte- so esaurire ogni elemento suscettibile di disciplina positiva (caso in cui non resi- duerebbe alcuno spazio di intervento per gli Stati membri), ovvero accertare il grado di contrasto delle norme interne con il testo della disposizione UE 80 in
esame.
Seguendo questi basilari principi (che, di fatto, altro non esprimono se non la necessità di riconoscere il primato e garantire l’effettività del diritto dell’Unione europea) è quindi possibile effettuare alcune valutazioni circa il quadro com- plessivo della normativa descritta nei paragrafi precedenti con riferimento alla possibilità per gli Stati membri di intervenire unilateralmente sulla “nozione” di origine di un prodotto e sul relativo obbligo di etichettatura.
Si è visto che in alcuni settori le disposizioni verticali dell’Unione forniscono indicazioni specifiche e complete al riguardo, di fatto esaurendo ogni margine di manovra a livello nazionale.
A titolo esemplificativo nel settore dell’olio di oliva il regolamento (UE) n. 29/2012, cit., adottato da ultimo dopo notevoli contrasti (anche giurispruden- ziali) fra l’Italia e l’Unione europea proprio sul tema della “nozione” 81 dell’ori-
80 Cfr. sul punto la sentenza della Corte di giustizia 25 novembre 1986, causa 218/85, Associa-
tion Comité économique Agricole Régional Frits et Légumes de Bretagne c. A. Le Campion, in Racc.,
1986, p. 03513 ss., relativa al grado di esaustività della OCM frutta, spec. punto 13.
81 La vicenda è nota, e risale alla l. 3 agosto 1998, n. 313, «Disposizioni per la etichettatura d’ori- gine dell’olio extravergine di oliva, dell’olio di oliva vergine e dell’olio di oliva», pubblicata nella
GURI, n. 201 del 29 agosto 1998, nei confronti della quale la Commissione aveva avviato una proce-
dura di infrazione. Nel frattempo la Corte di giustizia CE, investita pregiudizialmente della vicenda, si è pronunciata con sentenza del 26 settembre 2000, causa C-443/98, Unilever Italia SpA c. Central
Food SpA, in Racc., 2000, p. I-07535 ss., dichiarando inefficace la norma nazionale per violazione
della direttiva 98/34/CE (c.d. “direttiva allarme” sulle notifiche alla Commissione delle regole tecni- che nazionali). La querelle ha poi trovato, da ultimo, composizione, con l’adozione del regolamento (CE) n. 1019/2002 della Commissione, del 13 giugno 2002, relativo alle norme di commercializza- zione dell’olio d’oliva, in GUCE, L 155 del 14 giugno 2002, p. 27 ss., più volte modificato ed oggi sostituito dal regolamento (UE) n. 29/2012, cit. I regolamenti in questione attribuiscono l’origine al prodotto in funzione del luogo di raccolta e di molitura delle olive (fasi che devono essere dichiarate in etichetta, ma possono essere espresse con la dicitura generica “UE” per i prodotti provenienti da- gli Stati membri e “non UE” per quelli provenienti dagli Stati terzi). La questione, peraltro, non pare ancora conclusa, posto che, successivamente al regolamento in parola, lo Stato italiano ha adottato una ulteriore disposizione in materia (cfr. la l. 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la traspa- renza della filiera degli oli di oliva vergini, in GURI, n. 26 del 31 gennaio 2013) di cui la Commissio- ne ha chiesto formalmente l’abrogazione di alcuni articoli. Sulla vicenda dell’olio si vedano in dottri- na con riferimento al contenzioso Italia-UE risalente, i commenti di L.COSTATO, L’olio vergine di
oliva tra diritto interno e diritto comunitario, in Rivista di diritto agrario, 1998, I, p. 553 ss.; S.MASINI,
Etichettatura dell’olio di oliva (osservazioni alla l. 3 agosto 1998, n. 313), in Diritto dell’agricoltura, 1998,
p. 491 ss.; F.ALBISINNI, Ma l’Europa è dalla parte dei consumatori? Il caso della legge sull’etichettatura
dell’olio di oliva, in Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, 1999, p. 73 ss.; ID., La Commis-
sione europea e l’etichettatura dell’olio di oliva, in Diritto dell’agricoltura, 1999, p. 465 ss.; ID., L’olio
gine del prodotto in questione, contiene oggi come regola generale l’obbligo di indicare il luogo di raccolta e molitura delle olive, peraltro con la formula alter- nativa “Unione europea” o “Stato membro dell’Unione europea” o “Stato ter- zo” per designare i luoghi della filiera da segnalare in etichetta 82.
Norme di questo tipo costituiscono senz’altro una forma di preemption inte- grale della materia, non residuando alcun margine di autonomia nazionale nel- l’imporre aggiunte o precisazioni di elementi ulteriori rispetto a quelli individua- ti come rilevanti dalla disciplina dell’Unione.
Tuttavia, anche laddove le disposizioni di diritto derivato UE risultino più “vaghe”, la natura “generale” e di “chiusura” della disciplina sull’origine non preferenziale contenuta nel Codice doganale unionale – ove ritenuta applicabile per i fini che qui interessano – costituirebbe una preclusione non suscettibile di eccezioni, dovendosi intendere – seppur in via sussidiaria – l’intera materia esauri- ta dalle disposizioni in oggetto.
La questione produce conseguenze di non poco conto, non solo nei casi in cui il Legislatore nazionale – in modo improvvido – cerchi soluzioni autonome per filiere e prodotti che dispongano di una regolamentazione dell’Unione già piuttosto articolata 83, ma anche per quegli ambiti produttivi meno regolamenta-
Firenze, Polistampa, 2000, p. 211; con riferimento alle ultime vicende, L.COSTATO, Norme tecniche
relative ai prodotti agricoli e redisua competenza nazionale in materia, in Rivista di diritto agrario,
2000, II, p. 131 ss.; ID., La Corte di giustizia e le etichette dell’olio di oliva, ibidem, 2001, II, p. 34; ID.,
Ancora sulle etichette dell’olio di oliva, ibidem, 2002, I, p. 807 ss.; F.ALBISINNI, Lavar la testa all’asino
o la designazione d’origine dell’olio di oliva vergine o extravergine, ibidem, 2002, I, p. 79.
82 Cfr. l’art. 4, par. 5 del regolamento, la cui formulazione esatta è «qualora le olive siano state raccolte in uno Stato membro od in un Paese terzo diverso da quello in cui è situato il frantoio la designazione dell’origine reca la dicitura seguente: “Olio (extra)vergine di oliva ottenuto [nel- l’Unione o in (denominazione dello Stato membro interessato] da olive raccolte (nell’Unione) in determinazione dello Stato membro o del paese terzo interessato)».
83 Cfr., ex plurimis, la l. 3 agosto 2004, n. 204, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 157, recante disposizioni urgenti per l’etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca” (in GURI, n. 18 del 10 agosto 2004), contenente disposizioni specifiche sull’origine dei prodotti agroalimentari, e da cui sono suc- cessivamente derivati i decreti del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali 27 mag- gio 2004, concernente la rintracciabilità e la scadenza del latte fresco (in GURI, n. 152 del 11 luglio 2004), con il quale è stato imposto l’obbligo di indicazione della provincia italiana o dello Stato membro UE di mungitura; 17 febbraio 2006 sulla “Passata di Pomodoro” (in GURI, n. 57 del 9 marzo 2006) con il quale è stata imposta l’indicazione dell’origine della materia prima utilizzata nel prodotto trasformato, nonché, come meglio si analizzerà in prosieguo, il decreto interministeriale del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 9 dicembre 2016, Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informa- zioni sugli alimenti ai consumatori (in GURI, n. 15 del 19 gennaio 2017) nonché i due decreti del mese di agosto 2017 sull’origine del riso e del grano (per i quali si veda oltre). Per un commento sulla l. 204/2004 si veda G.COSCIA, La via italiana all’etichettatura dei prodotti agroalimentari. Un provve-
dimento senza futuro, in Alimenta, 2004, p. 151 ss.; G. DE GIOVANNI, L’origine dei prodotti alimenta-
ri, cit. Più in generale, sul tema del grado di armonizzazione dell’etichettatura degli alimenti, cfr. G.
ti 84, rispetto ai quali è ragionevole ipotizzare che l’Unione faccia valere l’ultima
trasformazione sostanziale quale unico criterio applicabile (seppur in forma re- siduale), sebbene caratterizzato dalle criticità già evidenziate in precedenza.
Ancora una volta l’esemplificazione può apparire utile per delineare i con- torni della questione.
La particolare attenzione dei consumatori verso la connessione fra l’origine del prodotto e l’origine delle materie prime da cui è composto aveva già spinto il Legislatore italiano in varie occasioni 85 ad introdurre regole ad hoc per alcuni
specifici alimenti, talora “tollerate” dalla Commissione europea sulla base (inve- ro poco condivisibile) di una valutazione di “marginalità” rispetto al mercato unico 86, in altri casi bloccate in sede di notifica con apposite decisioni 87.
Nel 2011 l’instancabile legislatore italiano è tornato alla carica, approvando la l. 3 febbraio 2011, n. 4 recante “Disposizioni in materia di etichettatura e di quali- tà dei prodotti alimentari” 88, ove si dispone che «al fine di assicurare ai consuma-
tori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimen- tari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, non- ché al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari, è ob- bligatorio, nei limiti e secondo le procedure di cui al presente articolo, riportare nell’etichettatura di tali prodotti, oltre alle indicazioni di cui all’articolo 3 del de- creto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza (…). 2. Per i prodotti alimentari non tra- sformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l’indicazione ri-
Diritto & Diritti, rivista giuridica elettronica pubblicata su internet, febbraio 2005; on line all’indirizzo https://www.diritto.it/materiali/alimentare/coscia.pdf.
84 L’elenco delle disposizioni al riguardo è lungo. Per rimanere all’Italia ed a titolo meramente esemplificativo si pensi, oltre alla già richiamata questione degli oli di oliva, alla già cit. “legge Re- guzzoni” 8 aprile 2010 n. 55 in materia di origine dei prodotti tessili, pelle, pelletteria e calzature.
85 Cfr. i già citati decreti sull’origine del latte, della passata di pomodoro, ecc. e le leggi indica- te nelle note seguenti.
86 Nonostante i decreti sulla passata di pomodoro e sull’origine del latte fresco non apparissero in linea con la già accertata esaustività in materia della direttiva sull’etichettatura (cfr. la sentenza della Corte di giustizia 25 luglio 1991, causa C-32/90, Commissione delle Comunità europee c. Re-
pubblica italiana, in Racc., 1991, p. I-04189 ss. a proposito di una norma italiana che imponeva
l’indicazione di origine sui formaggi a pasta filata) la Commissione europea non ne ha bloccato l’entrata in vigore nell’ambito della procedura di notifica preventiva.
87 Come è avvenuto con il tentativo italiano di estendere l’obbligo di indicazione dell’origine anche al latte a lunga conservazione (prevalentemente di importazione), bloccato con decisione di esecuzione della Commissione UE del 28 agosto 2013 relativa al progetto di decreto dell’Italia re- cante modalità di indicazione dell’origine del latte a lunga conservazione, del latte UHT, del latte pastorizzato microfiltrato e del latte pastorizzato ad alta temperatura, in GUUE, L 232 del 30 ago- sto 2013, p. 35 ss., su cui, per un commento, si veda M.MINELLI, Etichettatura di origine del latte
e dei prodotti derivati, in Rivista di diritto agrario, 2010, I, p. 410 ss.
88 Cfr. la l. 3 febbraio 2011, n. 4, recante “Disposizioni in materia di etichettatura e qualità dei prodotti alimentari”, in GURI, n. 41, del 19 febbraio 2011.
guarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti» 89.
La norma, quindi, pur richiamando in via principale il c.d. “criterio sostan- zialista” del CDUE lo integra con l’obbligo di indicazione dell’origine del c.d. “ingrediente primario”, sull’assunto che, evidentemente, l’ultima trasformazione non possa bastare a fornire in modo trasparente al consumatore le informazioni di cui necessita per effettuare in modo libero e consapevole i propri acquisti.