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Limiti alla tutela del “Made in” ed integrazione europea: una possibi le rilettura critica della materia.

Valutazioni conclusive Tutela del “Made in” e nuove sfide per l’integrazione europea

1. Limiti alla tutela del “Made in” ed integrazione europea: una possibi le rilettura critica della materia.

L’analisi effettuata nei capitoli precedenti ha mostrato quali siano gli attuali vincoli imposti dal rispetto del diritto dell’Unione europea con riferimento al te- ma del c.d. “Made in”.

In estrema sintesi è possibile riepilogarli come segue:

1) la salvaguardia dell’integrità del mercato interno impone di limitare la tu- tela nazionale dell’origine (e la sua valorizzazione pubblica con i vari strumenti della comunicazione e della proprietà industriale e commerciale) solo alle fatti- specie in cui questa sia effettivamente espressione sintetica di una rilevante dif- ferenza qualitativa dei prodotti, o, quantomeno, di fattori di notorietà già acqui- siti nel tempo da specifiche merci realizzate in località determinate; ciò, infatti, assicura la corretta applicazione degli artt. 34-36 TFUE, non ostacola l’accesso ai mercati nazionali da parte di merci realizzate in altri Paesi membri (se non nei limiti di quanto giustificato sotto forma di “eccezione”) e garantisce, al contem- po, la crescita economica secondo il modello dell’espansione del mercato attra- verso l’aumento dell’offerta;

2) l’approccio descritto si riflette sulla stessa nozione di “origine” delle merci nel diritto dell’Unione europea, essenzialmente delegata a norme doganali che

non perseguono finalità comunicative, ma sono improntate a logiche tariffarie e quantitative: una simile abdicazione, che si sostanzia nell’indirizzare – nella mi- gliore delle ipotesi – le discipline “di prodotto” verso la regola generale dell’ulti- ma trasformazione sostanziale, rende “inintelligibile” la filiera, valorizzando solo il momento produttivo finale cui spesso non si associa alcun valore aggiunto a livello “territoriale”;

3) al fine di superare l’effetto inevitabilmente “ablativo” delle differenze che l’approccio produttivista descritto determina, l’Unione si è dotata di una propria “politica della qualità”, incentrata sulla promozione dei prodotti di eccellenza, che debbono le proprie caratteristiche o la propria rinomanza all’ambiente (com- prensivo dei fattori naturali ed umani) in cui sono stati realizzati, associando una serie di regole di certificazione dei processi produttivi ed i controlli, un sistema unitario e centralizzato di registrazione, riconoscimento e tutela dei toponimi.

Il meccanismo, seppur sotteso a generare valore aggiunto per i beneficiari, ap- pare frammentario nell’estensione (di fatto tutt’oggi limitata alle diverse tipolo- gie di prodotti alimentari), estremamente costoso (gravando la filiera – ed in ul- tima analisi i consumatori – degli oneri derivanti dal sistema certificativo) ed in- fine eccessivamente “rigido” (poiché “ingessa” il progresso scientifico e tecno- logico con procedure di modifica dei disciplinari complesse e burocratiche).

La natura tendenzialmente “esauriente” delle norme adottate dall’Unione nel contesto di questa politica ha, poi, scatenato una vera e propria “corsa” alla re- gistrazione di nomi geografici ritenuti altrimenti non tutelabili a livello naziona- le, sebbene molti di questi presentino caratteristiche di rilevanza meramente lo- cale (o addirittura individuale! 1) e nessun rischio attuale di fenomeni quali la

“volgarizzazione” o la contraffazione internazionale.

Ciò ha causato per un verso atteggiamenti in parte speculativi da parte di gruppi di produttori locali, determinati ad assicurarsi il controllo monopolistico dei nomi geografici a scapito della libera concorrenza sul mercato fra operatori che legittimamente potevano in precedenza riferirsi a quei toponimi; per altro verso un paradossale “effetto annacquamento” del valore complessivo dei rico- noscimenti in questione, che rischia di banalizzare anche i riconoscimenti in que- stione (ormai comuni ad una pletora di prodotti spesso sconosciuti ai più), con danno anzitutto dei prodotti di maggiore notorietà e diffusione, stretti fra l’ero- sione dei contributi dedicati alla loro promozione e l’emergere di una babele di richiami a fattori territoriali sempre meno significativi e sempre più disorientanti per il “consumatore medio”.

La preemption che l’integrazione positiva ed i meccanismi dell’integrazione negativa generano nei confronti degli Stati membri crea poi, sul piano istituzio- nale, una diffusa insoddisfazione, venendo percepita come ingiustificato ostaco- lo alla possibilità di offrire risposte alternative (in termini di “prossimità”) alla

1 Alcune DOP-IGP, sfruttando una eccezione prevista dal regolamento, sono state registrate nonostante risultasse esistente un solo produttore.

crescente domanda di trasparenza nella comunicazione, di tutela delle differen- ze sociali e culturali (a torto o a ragione ritenute a rischio di estinzione per gli effetti della globalizzazione), e di conservazione degli asset strategici della voca- zione manifatturiera nazionale.

Sentimenti non dissimili sono, peraltro, condivisi anche dai consumatori, sem- pre più desiderosi – come la stessa Commissione europea ha più volte notato nelle proprie comunicazioni in materia – di poter effettuare scelte di acquisto li- bere, informate (quindi consapevoli), ed improntate a contribuire alla costruzio- ne della c.d. “economia collaborativa”.

Questa crescente insoddisfazione, di fatto determinata dai vincoli descritti, non va sottovalutata, soprattutto se la si analizza nel più generale contesto della perdita di entusiasmo nei confronti del processo di integrazione economica do- po la grande crisi che ha colpito anche l’Europa nell’ultimo decennio.

Il Rapporto Monti del maggio 2010 sulla situazione del mercato unico e della società europea nell’attuale frangente storico 2 ha, infatti, ben evidenziato il pro-

blema del “consenso” nei confronti dell’integrazione europea e dell’attuale visio- ne del mercato da parte dei suoi principali attori.

Secondo l’Autore, infatti, benché ovviamente il consenso non costituisca ele- mento giuridicamente necessario per l’applicazione delle norme sull’integrazione economica, la crisi abbattutasi sull’Europa (nel frattempo aggravatasi per via di altri fattori) ha evidenziato un sentimento diffuso di avversione verso il mercato unico (considerato sempre più frequentemente non come veicolo di opportunità, ma come strumento di limitazione di diritti individuali, fonte di diseguaglianze e di perdita di posizioni di benessere), sì da imporre un cambio di prospettiva an- che a coloro che invocano più mercato, più concorrenza e più integrazione 3.

In sostanza, ciò che viene evidenziato nel rapporto è che la maturità dell’inte- grazione economica non accompagnata da adeguate politiche di sostegno all’in- dividuo ed alle collettività nazionali finisce per frustrare la dimensione non eco- nomica del mercato di cui i cittadini dell’Unione vogliono beneficiare, rafforzan- do la convinzione più volte assertivamente affermata – benché in assenza di ele- menti giustificativi concreti – secondo cui le regole sulla libera circolazione si sono trasformate da fattori attivi di creazione di benessere a vincoli da subire passi- vamente (o, in alcuni casi, a veri e propri “strumenti” di trasferimento del lavoro in altre regioni europee) 4.

In questo senso, forse in modo eccessivamente drammatico, il rapporto pro- fetizza che «se la componente del mercato e la componente sociale non trovano un punto di equilibrio, una delle due dovrà cedere» 5.

2 Si tratta del già menzionato documento “Una nuova strategia per il mercato unico. Al servizio dell’economia e della società europea. Rapporto al Presidente della Commissione europea José Ma- nuel Barroso”, di M.MONTI, 9 maggio 2010, disponibile sul sito della Commissione ec.europa.eu.

3 Cfr. il documento ult. cit., pp. 24-25. 4 Cfr. il documento ult. cit., p. 27.

Si impone, dunque, un cambio di passo che consenta di rileggere l’integra- zione economica nella prospettiva di un maggiore riconoscimento delle identità e delle specificità che ciascuno Stato membro (e, con esso, ciascun popolo euro- peo) possono esprimere per ragioni storiche, culturali, antropologiche, econo- miche e sociali.

L’origine delle merci, opportunamente gestita in questo contesto, può porta- re un contributo importante, essendo lo strumento attraverso cui i valori del ter- ritorio, del suo savoir-faire, e delle sue strutture sociali vengono sintetizzati.

Attraverso questa indicazione i consumatori sono posti in condizione di “sce- gliere” non solo in base alla meccanica selezione del prezzo e delle caratteristi- che funzionali della merce, ma anche in relazione ad informazioni che consen- tono loro di valutare le ricadute della propria attività di consumo e di premiare – se lo desiderano – l’insieme dei fattori ambientali ed umani che quella merce hanno contribuito a generare 6.

In quest’ottica i prodotti, pur non essendo in sé beni culturali (ove si assuma che un oggetto è “culturale” se sopravvive a qualsiasi uso per cui sia stato creato), costituiscono tuttavia “espressione” della cultura, poiché possono materializzare una serie di elementi distintivi unici di determinati popoli e delle loro attitudini.

Scegliendo la gastronomia o la moda italiana, le auto tedesche, i vini francesi, ecc. non si compie soltanto una scelta di specifiche caratteristiche di prodotto: si scelgono tutti i fattori che concorrono a determinarle (ivi inclusa la particolare inclinazione di determinate popolazioni ad esprimere la propria creatività e la propria dimensione culturale attraverso quella specifica manifattura, come rico- nosciuto recentemente dal Tribunale di Torino nella nota vicenda sulla proteg- gibilità del design italiano espresso dalla forma del motociclo denominato “Ve- spa” 7) e – più in generale – si sceglie di continuare a conservarli nella forma e

nei luoghi dove si sono sviluppati nel tempo.

nuzione dell’interesse per il mercato e le crescenti preoccupazioni per le diseguaglianze, non è as- solutamente scontato che sarà il mercato, ovverosia il mercato unico, a prevalere». La Brexit, in questo senso, pare essere un segnale (l’ennesimo) particolarmente negativo.

6 Non è un caso se sul mercato sempre più frequentemente si sono diffuse le c.d. “etichette narranti”, in cui accanto alle informazioni obbligatorie il produttore inserisce una serie di indica- zioni su come il prodotto è stato realizzato e da chi, dove, con quali metodiche etc. L’avvento del- le nuove tecnologie ha poi “espanso all’infinito” questa opportunità di “identificazione” della sto- ria del prodotto: con un semplice QRCode ed un comunissimo smartphone si accede oggi ad una quantità di informazioni illimitate, filmati, descrizioni puntuali della filiera produttiva etc. un tem- po inimmaginabili. In questo modo l’esigenza che ha dato impulso alla trasformazione dell’offerta viene a sua volta “alimentata”, in un circolo sempre crescente che si impone di fatto alle logiche di controllo “politico” o “normativo” dello sviluppo di determinati fattori.

7 Cfr. la sentenza del Trib. di Torino n. 1900/2017, del 4 aprile 2017, Piaggio & C. S.p.a. c.

Zhejiang Zhongneng Industry Group, non pubbl., ove il Tribunale ha stabilito che «la forma della

Vespa è senz’altro nota come oggetto di design industriale e nel corso dei decenni ha acquisito talmente tanti riconoscimenti dell’ambiente artistico (e non solo industriale) che ne ha celebrato grandemente le qualità creative e artistiche, da diventare un’icona simbolo del costume e del de- sign artistico italiano».

Questo dato, intuitivamente comprensibile per molti prodotti, si è reso parti- colarmente evidente quando il legame territorio-prodotti-cultura è stato di re- cente riconosciuto dall’UNESCO con l’inserimento, a titolo esemplificativo, della c.d. “dieta mediterranea” nel patrimonio culturale immateriale dell’umani- tà 8 affermando che questa, il cui etimo deriva dal greco δίαιτα (diaita, ossia “sti-

le di vita”) «è molto più che un semplice alimento. Essa promuove l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di cono- scenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle at- tività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comuni- tà del Mediterraneo».

Le valutazioni sono state successivamente estese al paesaggio ed al “saper fa- re tradizionale”, come avvenuto nell’analogo riconoscimento ottenuto nel 2014 dalla zona delle Langhe-Roero-Monferrato inclusa nei “siti patrimonio del- l’umanità” in quanto «include il range dei processi tecnici ed economici relativi alla coltivazione della vite e produzione del vino che ha caratterizzato per secoli la regione» 9.

Sicché, in definitiva, alcuni prodotti, associandosi a determinati fattori am- bientali, storici e culturali in luoghi determinati, condizionano gli assetti sociali dei popoli che in quelle aree vivono e prosperano, costituendo un elemento fon- damentale di identificazione e riconoscimento tanto sul piano della auto-consa- pevolezza, quanto all’esterno, nella percezione del mondo 10.

8 Si tratta della delibera del 17 novembre 2010 del Comitato intergovernativo tenutosi a Nai- robi, nell’ambito della Convezione UNESCO del 2003, su cui si tornerà più diffusamente oltre.

9 Così la deliberazione 38 COM 8B.41 del World Heritage Committee del 7 luglio 2014 assunta a Doha (disponibile sul sito www.uneco.org), nelle cui motivazioni si legge: «The cultural land- scapes of the Piedmont vineyards provide outstanding living testimony to winegrowing and winemaking traditions that stem from a long history, and that have been continuously improved and adapted up to the present day. They bear witness to an extremely comprehensive social, rural and urban realm, and to sustainable economic structures. They include a multitude of harmonious built elements that bear witness to its history and its professional practices. The vineyards of Langhe-Roero and Monferrato constitute an outstanding example of man’s interaction with his natural environment. Following a long and slow evolution of winegrowing expertise, the best pos- sible adaptation of grape varieties to land with specific soil and climatic components has been car- ried out, which in itself is related to winemaking expertise, thereby becoming an international benchmark. The winegrowing landscape also expresses great aesthetic qualities, making it into an archetype of European vineyards».

10 Gli studi sociologici ed antropologici sul punto sono troppo numerosi per poter essere qui esaustivamente citati. Sulla specifica valenza dell’alimentazione nei processi di identificazione e riconoscimento sociale sia consentito rinviare, anche per ulteriori citazioni, aM.MONTANARI, Il

cibo come cultura, cit.;L.MEGLIO, Sociologia del cibo e dell’alimentazione. Un’introduzione, Mila-

no, Franco Angeli, 2012; A. BELLONI, Food Economy. L’Italia e le strade infinite del cibo tra società

e consumi, Venezia, Marsilio, 2014; B.GHIRINGHELLI, La sfida del cibo. Alimentazione, cultura e

territorio, Roma, Carocci, 2014;A.ZINOLA, Nuovi modelli di consumo alimentare. Dal social eating

ai prodotti “senza”: come sta cambiando il nostro rapporto con il cibo, Milano, Tecniche Nuove,

La crescente richiesta di riconoscimento (tanto sul versante “passivo”, di chi deve essere riconosciuto, quanto “attivo”, di chi – dovendo compiere delle scel- te – vuole “riconoscere”) impone quindi soluzioni giuridiche nuove, che consen- tano di superare le criticità e le inefficienze del quadro descritto in precedenza non in modo sporadico o per “eccezioni”, ma nel contesto di una ridefinizione complessiva della materia.

Non si tratta, ad ogni modo, di rimettere in discussione le conquiste del mer- cato interno proponendone una lettura antagonistica.

Semmai appare opportuno promuoverne una rilettura che muova proprio dal- l’ormai raggiunto “consolidamento” della sua esistenza e del suo ruolo essenzia- le per la collettività in Europa, spogliandosi così delle preoccupazioni eccessive legate alla costante riaffermazione del primato dei suoi principi, per abbracciare una prospettiva che al suo interno – e nell’ambito dei pilastri giuridici che lo hanno costruito e sorretto – garantisca oggi che l’integrazione tenga in adeguata considerazione l’espressione e la conservazione delle diversità come diritti fon- damentali riconosciuti dall’Unione tanto agli individui quanto alle collettività.

In altre parole occorre individuare sulla base di quali norme costitutive della libertà di circolazione e dell’integrazione economica possa trovare spazio la ri- chiesta di riconoscimento qui in discussione (che sempre più spesso viene evo- cata con la formula della “identità plurale dell’Unione europea”), garantendo un soddisfacente contemperamento fra la differenziazione del tessuto sociale euro- peo e gli elementi giuridici strutturali dell’integrazione del mercato interno.

2. Origine delle merci e diritti culturali. Considerazioni preliminari e qua-

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