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Le indicazioni geografiche come diritti “sui generis” fra proprietà in dustriale e valorizzazione del territorio nell’ordinamento giuridico del-

commerciali sleal

2. Le indicazioni geografiche come diritti “sui generis” fra proprietà in dustriale e valorizzazione del territorio nell’ordinamento giuridico del-

l’Unione europea.

L’attitudine dei toponimi a comunicare ben più di una semplice provenienza del prodotto è nota.

Pronunciare nomi quali “Parmigiano Reggiano”, “Bordeaux”, “Bayerisches Bier” o “Jamón Serrano de Huelva” significa richiamare immediatamente nella mente del consumatore di qualsiasi parte del Mondo non solo gli straordinari sapori che questi prodotti esprimono, ma anche il complesso di fattori che ca- ratterizza i luoghi e le genti che hanno contribuito realizzarli 24.

La dottrina, di conseguenza, ha più volte osservato come i nomi geografici possiedano capacità evocativa straordinaria, o, per essere più precisi, sono cer- tamente lo strumento più adatto ad esprimere in forma sintetica «l’immagine di una terra e, con essa, i pregi, le qualità, la rinomanza dei suoi prodotti e l’indu- striosità della sua gente» 25 raccontando, in definitiva, «il luogo e la storia di un

cibo o di una bevanda» 26.

to europeo per promuovere i sapori dell’Europa”, COM (2011) 436 def., del 14 luglio 2011 (dispo- nibile sul sito www.eur-lex.eu). Al di là del titolo (ove le tipicità territoriali sono individuate come “sapori d’Europa”) a p. 12 si legge a proposito della strategia di reclamizzazione delle eccellenze enogastronomiche dei diversi Paesi europei che «un approccio strategico chiaramente definito do- vrebbe permettere di fare maggiormente leva sulla capacità di certi marchi o di certe indicazioni di origine, che conferiscono particolare pregio ai prodotti, di aprire l’accesso a determinati mercati e di fungere così da autentico propulsore per tutti i prodotti europei, in particolare sul mercato estero. Una delle possibilità sarebbe anche quella di valorizzare l’europeità dei prodotti nell’ambito di pro- grammi di promozione presentati dalle organizzazioni professionali e/o interprofessionali rappresen- tative, senza tuttavia obbligarle ad escludere un’indicazione di origine più precisa o un marchio. Oc- correrà però garantire che il messaggio europeo sia decisamente in primo piano rispetto al marchio o all’indicazione dell’origine del prodotto (…)» (cfr. il Libro Verde, cit., p. 12).

24 A ben guardare questa può essere considerata una caratteristica unica dei Paesi europei: per effetto della nostra storia e delle nostre tradizioni siamo noti in tutto il mondo, molto più di quan- to le varie località del mondo siano note a noi.

25 Cfr. A.GERMANÒ, Marchi e segni “territoriali” e il Made in Italy, in Tuscany, in Florence, in A. GERMANÒ, G.STRAMBI (a cura di), Il nuovo diritto agrario dell’Unione europea: i regolamenti 1169/

2011 e 1151/2012 sull’informazione e sui regimi di qualità degli alimenti e i regolamenti del 17 dicembre 2013 sulla PAC, Milano, Giuffrè, 2014, p. 73. L’A. esemplifica il concetto con un aneddoto storico

assai significativo: nel 1055 Enrico III, giungendo in Italia, inviava un proprio emissario a Bonifacio, marchese di Toscana, per chiedere «di quell’aceto che aveva udito farsi perfettissimo in Canossa». Era quello che oggi denominiamo “Aceto Balsamico di Modena”. Sul legame cibo, storia, cultura e territo- rio sia consentito richiamare M.MONTANARI, Il cibo come cultura, Roma-Bari, Laterza, 2004;J.-P. POULAIN, Sociologies de l’alimentation. Les mangeurs et l’espace social alimentaire, Paris, Presses Uni- versitaires de France, 2005;M.MONTANARI,F.SABBA, Storia e geografia dell’alimentazione, Torino, Utet, 2006 (voll. I e II);M.MONTANARI, L’identità italiana in cucina, Roma-Bari, Laterza, 2010; M. FRANCHI, Il cibo flessibile, Roma, Carocci, 2009; A.G.CHIZZONITI (a cura di), Cibo, religione e Diritto,

Roma, Libellula, 2015; C.SINI, Il cibo umano e lo spirito, Milano, Albo Versorio, 2015; M.MONTANA- RI, Magiare da cristiani, Milano, Rizzoli, 2015.

Nell’assolvere questa funzione i toponimi assumono una valenza giuridica plu- rale: in quanto segni capaci di distinguere un prodotto proveniente da una zona particolare e dotato di caratteristiche specifiche sono indubbiamente ascrivibili ai diritti di proprietà industriale, ancorché eventualmente collocati all’interno di norme fondate sulla base giuridica (prevalente) della politica agricola, come più volte riconosciuto dalla stessa Corte di giustizia dell’Unione europea 27 in perfet-

ta coerenza con l’inquadramento giuridico dato a queste fattispecie in ambito in- ternazionale 28.

Il loro utilizzo, infatti, è l’espressione dell’ingegno umano tanto nel creare il prodotto che contraddistinguono quanto nello scegliere – in modo a sua volta “originale” – di denominarlo con il toponimo della località ove viene realizzato e da cui trae le proprie caratteristiche essenziali 29.

27 L’elenco delle sentenze in cui la Corte ha formalmente dichiarato l’appartenenza delle indica- zioni geografiche all’ambito dei diritti di proprietà industriale e commerciale è lungo, e non può qui essere esaustivamente riprodotto. Sia perciò consentito richiamare, a titolo puramente esempli- ficativo, 20 maggio 2003, in causa C-469/00, Ravil SARL c. Bellon import SARL e Biraghi SpA, in

Racc., 2003, p. I-05053 ss.; 20 maggio 2005, causa C-108/01, Consorzio Prosciutto di Parma e al. c. Asda Store Ltd et al., in Racc., 2005, p. I-05121 ss.; 8 settembre 2009, causa C-478/07, Budějovický Budvar, národní podnik c. Rudolf Ammersin GmbH (c.d. “Bud II”), in Racc., 2009, p. I-07721 ss.

28 In questa sede non sarà possibile, per evidenti ragioni, procedere ad una ricognizione delle diverse fonti internazionali pattizie che hanno ad oggetto le denominazioni geografiche e la loro natura giuridica. Per estrema sintesi sia consentito richiamare solamente la Convenzione d’Unione di Parigi del 1883, che per prima ha incluso i nomi geografici fra i diritti di proprietà industriale distinguendoli dai marchi (cfr. art. 1, par. 2). Il successivo Accordo di Lisbona del sulla protezio- ne delle denominazioni di origine e sulla loro registrazione internazionale del 31 ottobre 1958, (ratificato in Italia il 10 luglio 1968 con l. 4 luglio 1967, n. 676 in GURI, n. 202 del 12 agosto 1967), più volte emendato e da ultimo, con l’Atto di Ginevra del 20 Maggio 2015, aperto all’ade- sione dell’Unione europea) ha creato un registro multilaterale di toponimi soggetti a protezione da parte di tutti gli Stati membri, ed ha introdotto una definizione di indicazione geografica in parte “nuova”: l’art. 2 collega, infatti, l’origine materiale del prodotto alle qualità o caratteristiche che da questa derivano, ivi inclusa la dimensione “umana” dell’ambiente che ha contribuito a for- marle (base concettuale su cui sarà successivamente costruita anche la nozione “comunitaria” di DOP e IGP). Infine l’Accordo TRIPs, allegato al Trattato di Marrakech, del 15 aprile 1994 relati- vo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (ratificato dall’Italia con l. 29 dicembre 1994, n. 747, in GURI, n. 7 del 10 gennaio 1995, S.O. n. 1), pur nascendo nel con- testo di un sistema multilaterale dedicato alla agevolazione degli scambi commerciali (e, di conse- guenza, tendenzialmente ostile ai fattori protettivi che possono ostacolarli) definisce i toponimi come gli strumenti atti a garantire, nel contesto della proprietà intellettuale ed industriale, le ca- ratteristiche qualitative e la reputazione dei prodotti che contraddistinguono derivanti in forma univoca dal territorio di appartenenza (cfr. art. 22.1). Il testo utilizza il termine “reputation” volu- tamente al fine di qualificare una indicazione geografica anche in relazione alla notorietà delle pra- tiche produttive tradizionali di una determinata zona, così cogliendo il progressivo emergere del- l’interesse a proteggere le valenze ulteriori dei toponimi, non strettamente riconducibili al dato della loro capacità distintiva e della relativa dimensione “privatistica” che apparentemente potreb- be essere dedotta dall’inquadramento nel contesto dei diritti di P.I. La natura “polifunzionale” delle indicazioni geografiche trova così pieno riconoscimento anche nella sua dimensione sociale, che diventa parte inscindibile della natura giuridica di questi istituti.

29 Cfr. A. GERMANÒ, Le indicazioni geografiche nell’Accordo TRIPS, in Rivista di diritto agrario, 2000, I, p. 413 ss., ove l’A. conclude affermando che «nella fantasia creativa di una gente nel dosa-

La privativa che a ciò viene ricondotta, per quanto “allargata” ad una intera comunità territoriale, fornisce in definitiva una esclusività del diritto di utilizzo del nome registrato in favore dei soggetti che risiedano nell’area geografica asso- ciata giuridicamente al nome in questione e si assoggettino al rispetto del c.d. “di- sciplinare” (ossia la “regola” produttiva storica).

La capacità evocativa dei toponimi rivela, tuttavia, anche una “seconda ani- ma” che assume rilevo soprattutto nell’ambito degli strumenti di valorizzazione del territorio connessi alla dimensione “culturale” dei prodotti che designano 30.

L’espressività delle DOP-IGP, infatti, divenendo un fatto sociale, si carica di valenze ulteriori che rendono “sui generis” il diritto associato al loro riconosci- mento: alla natura prevalentemente “proprietaria” che connotava in origine que- ste fattispecie, si è andato, infatti, affiancando e, progressivamente, sostituendo un rilievo pubblicistico, dapprima identificabile nell’obiettivo di migliorare il red- dito delle popolazioni rurali o ultraperiferiche onde mantenerne l’insediamento in aree disagiate dell’Unione; quindi nella funzione di custodire e continuare ad esprimere l’identità culturale delle “comunità” formatesi nel corso dei secoli an- che grazie all’aggregazione intorno alla produzione ed al consumo di questi pro- dotti 31.

Del maturare di questa consapevolezza c’è traccia non solo nei documenti esplicativi delle varie politiche redatti dalle istituzioni europee, ma anche nel sus- seguirsi delle diverse norme che hanno disciplinato la materia.

Rinviando al prosieguo l’analisi del settore vitivinicolo, la cui storia (e pecu- liarità) ha reso più complesso e articolato lo sviluppo descritto (pur approdan- do, da ultimo, agli stessi risultati), è sufficiente porre a confronto i considerando introduttivi del primo regolamento sulla protezione delle denominazioni di ori- gine ed indicazioni geografiche dei prodotti alimentari di qualità (regolamento del Consiglio (CEE) 2081/92 32) con quelli attualmente contenuti nel regolamen-

to (UE) 1151/2012 sui regimi di qualità (che dal primo discende) per rendersi con- to del profondo mutamento di approccio.

Nel regolamento (CEE) 2081/92 l’origine e le caratteristiche dei prodotti ti- pici sono visti come uno strumento della PAC per conseguire gli obiettivi dello sviluppo rurale 33, mentre risultano totalmente assenti considerazioni in merito

re gli elementi e nell’individuare il procedimento per la produzione di determinati prodotti di una certa terra, ma soprattutto nell’idea di sfruttare per il commercio il nome di quell’area geografica meglio vocata per quelle produzioni, sta l’originalità e la novità del nome, e, dunque, la meritevo- lezza della tutela esclusiva a favore di coloro che in quel territorio realizzano la produzione».

30 Cfr. E.MONTELIONE, La produzione agroalimentare, cit., p. 463 ss.

31 Cfr. sul punto A.TREGAR, From Stilton to Vimto: Using Food History to Re-think Typical

Products in Rural Development, in Sociologia Ruralis, 2003, p. 91 ss.

32 Cfr. il regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla prote- zione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed ali- mentari, in GUCE, L 208 del 24 luglio 1992, p. 1 ss.

33 Cfr. il 2° considerando del regolamento, ove si afferma che «nel quadro del riorientamento della politica agricola comune è opportuno favorire la diversificazione della produzione agricola

alla valenza culturale dei toponimi, o, tutt’al più, a ciò vengono dedicati fugaci passaggi in chiave prettamente economica 34.

La stessa posizione dei consumatori, ben presente nelle motivazioni che hanno spinto il Legislatore europeo ad adottare la norma, assume rilievo sempre in forma ancillare a questi obiettivi (ossia come mera “domanda di mercato” e disponibilità a pagare un “premium price” per la garanzia di ottenere prodotti autentici 35), dan-

do alla disciplina in questione un taglio “funzionale” e “proprietario” che sembra escludere dal proprio orizzonte i diritti fondamentali degli individui che, seppure dal lato della semplice “domanda”, sono certamente parte essenziale del sistema.

Viceversa il regolamento (UE) n. 1151/2012 muove da presupposti radical- mente diversi e concettualmente ben più articolati.

Nel primo considerando del regolamento viene infatti inserito un chiaro rife- rimento al ruolo “sociale” svolto dai prodotti a denominazione geografica registra- ta, che va ben oltre il dato funzionale della PAC presente nel regolamento (CEE) n. 2081/92: il testo afferma infatti che la qualità e la varietà della produzione agricola, ittica e dell’acquacoltura, oltre a costituire un punto di forza sul piano della competitività dell’Unione, è «parte integrante del suo patrimonio culturale e gastronomico vivo. Ciò è dovuto alle competenze e alla determinazione degli agricoltori e dei produttori dell’Unione, che hanno saputo preservare le tradi- zioni pur tenendo conto dell’evoluzione (…)».

Anche al consumatore viene attribuito un rilievo affatto diverso da quello in- teso nei testi precedenti della disciplina in oggetto, non essendo più visto come destinatario passivo dell’offerta di prodotti, ma come vero e proprio soggetto por- tatore di interessi e titolare di diritti anche non strettamente economici che l’or- dinamento deve tutelare.

per conseguire un migliore equilibrio fra offerta e domanda sul mercato (…) la promozione di prodotti di qualità aventi determinate caratteristiche può rappresentare, di conseguenza, una carta vincente per il mondo rurale, in particolare nelle zone svantaggiate o periferiche, in quanto garan- tirebbe da un lato il miglioramento dei redditi degli agricoltori, e favorirebbe dall’altro, la perma- nenza della popolazione rurale nelle zone suddette».

34 Cfr. il 3° considerando, ove si afferma che «nel corso degli ultimi anni si è constatato che i consumatori tendono a privilegiare, nella loro alimentazione, la qualità anziché la quantità; che questa ricerca di prodotti specifici comporta tra l’altro una domanda sempre più consistente di prodotti agricoli o di prodotti alimentari aventi un’origine geografica determinata»; da questa pre- messa vengono tratte alcune conseguenze nel 5° considerando, laddove si afferma che le denomi- nazioni di origine, fino a quel momento regolamentate solo a livello nazionale, «si sono diffuse e sono apprezzate dai produttori che conseguono risultati migliori in termini di reddito quale con- tropartita per uno sforzo qualitativamente sostenuto, nonché dai consumatori che dispongono di prodotti pregiati che offrono una serie di garanzie sul metodo di fabbricazione e sull’origine».

35 Cfr.I.A.VAN DER LANS,K.VAN ITTERSUM,A.DE CICCO,M.LOSEMBY, The role of the re-

gion of origin and EU certificates of origin in consumer evaluation of food products, in European Review of Agricultural Economics, 2001, p. 451 ss.;G.STEFANI,D.ROMANO,A.CAVICCHI, Regio-

ne di origine e disponibilità a pagare per prodotti alimentari tipici: un approccio di economia speri- mentale applicato a tre prodotti toscani, in Rivista di economia agraria, 2005, p. 39 ss.; F.ARFINI,G.

BELLETTI,A.MARESCOTTI, Prodotti tipici e denominazioni geografiche. Strumenti di tutela e valo-

Il 2° considerando del regolamento ricorda, infatti, come la domanda speci- fica di prodotti di qualità dipenda dalla preoccupazione dei consumatori circa il mantenimento della varietà della produzione agricola in Europa, ossia è animata anzitutto da interessi “immateriali” di natura sociale meritevoli di soddisfaci- mento e protezione.

Queste considerazioni – che occupano un posto assolutamente preliminare rispetto ai dati “tecnici” relativi alle modalità della tutela – si riflette nell’emer- sione di una piena consapevolezza del fatto che l’origine dei beni è anche un da- to culturale, e che dalla connessione territorio-tradizioni-capacità artigianale o produttiva – distinzione sul mercato dipende la sopravvivenza di intere comuni- tà che sono espressione della storia e della identità dei Paesi membri.

Gli elementi descritti sono infatti ormai determinanti nelle scelte dei consu- matori, e richiedono chiarezza nell’identificazione: attraverso la propria attività “tipica” (appunto, il gesto quotidiano dell’acquisto) il consumatore vuole (e può) influenzare la realtà socio-economica europea, assicurandosi il mantenimento della diversità delle regioni d’Europa sia sul piano della conservazione del know-

how produttivo, sia, in senso assai più ampio, in chiave antropologica.

Il dato innovativo nell’approccio dell’Unione al problema è stato peraltro ben compreso dal nostro legislatore, che su questo sustrato concettuale e giuri- dico ha volutamente costruito l’incipit della norma che ha dato esecuzione alla disciplina europea sulla tutela dei toponimi in ambito vitivinicolo.

Appare, in questo senso, particolarmente significativo l’art. 1 della recente l. n. 238/2016 concernente la disciplina organica della coltivazione della vite e del- la commercializzazione del vino 36 adottata per conformare l’ordinamento italia-

no alle ultime modifiche dell’O.C.M. Unica, laddove afferma che «il vino, pro- dotto della vite, la vite ed i territori viticoli, quali frutto del lavoro, dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni costituisco- no un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di so- stenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale».

Non v’è chi non avverta in simili parole l’eco del complesso lavoro che ha por- tato a concepire la materia come una delle principali espressioni della dimensione “culturale” della produzione di beni di consumo, così come, peraltro, più volte ri- conosciuto in ambito UNESCO (non ultimo con l’inserimento dell’area delle Lan- ghe, Roero e Monferrato fra i siti patrimonio dell’Umanità proprio per il paesag- gio vitivinicolo e per il significato sociale a questo connesso, su cui si tornerà oltre). Se, dunque, le denominazioni geografiche sono il veicolo privilegiato per co- municare l’insieme di questi valori e la loro tutela giuridica non si esaurisce nel- l’applicazione dei meccanismi della privativa industriale nell’interesse dei soli pro- duttori, estendendosi alla salvaguardia di un intero spazio sociale ed al comples- 36 Cfr. la l. 12 dicembre 2016, n. 238, disciplina organica della coltivazione della vite e del commercio del vino, in GURI, n. 302 del 28 dicembre 2016, che ha riformulato la normativa na- zionale in materia per adattarla alla nuova OCM Unica ed in particolare alle disposizioni sulla tu- tela delle indicazioni geografiche vitivinicole in essa contenute.

so insieme delle aspettative che lo compongono, l’analisi giuridica del tema non potrà, per quanto qui più strettamente interessa, che esaminare le norme dell’U- nione in materia in relazione al loro rapporto con il più ampio problema della comunicazione del “Made in”.

3. Segue. La definizione di “indicazione geografica” quale denominazio-

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