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Segue L’acquisizione del “carattere originario” di una merce in base al CDUE e le sue “aporie” sul piano comunicativo.

Origine delle merci e comunicazione al consumatore

5. Segue L’acquisizione del “carattere originario” di una merce in base al CDUE e le sue “aporie” sul piano comunicativo.

Nei limiti in cui si possa ritenere la disciplina contenuta nell’art. 59 ss. del Codice doganale unionale applicabile anche per le finalità della comunicazione commerciale, l’attribuzione del carattere originario di un determinato luogo ad una merce viene determinata prioritariamente dalle regole contenute nell’art. 60 CDUE facendo ricorso a tre criteri complementari: quello “sostanzialista”, il c.d. “valore aggiunto” e le regole specifiche contenute nei regolamenti delegati e di esecuzione del Codice per alcuni prodotti.

Il criterio “sostanzialista” è certamente il più importante, e prevede, come già anticipato in precedenza, che le merci ottenute interamente in un unico Pae- se debbano essere considerate originarie di quel luogo, mentre quelle alla cui pro- duzione abbiano concorso due o più Paesi siano considerate originarie del paese o del territorio in cui hanno subito l’ultima lavorazione o trasformazione sostan- ziale ed economicamente giustificata, effettuata presso una impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto “nuovo” o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

La regola, chiaramente funzionale a valutazioni tecniche per la determinazio- ne delle obbligazioni doganali (per ciò stesso frutto di compromessi “politici” e valutazioni di carattere internazionale totalmente slegate dalla comprensibilità per un semplice “consumatore”), mostra tutti i suoi limiti laddove applicata alla sfera della informazione commerciale, data l’estrema difficoltà di comprendere anche solo intuitivamente gli effetti del criterio citato 64 nonché l’esito spesso

64 La difficoltà è testimoniata, peraltro, dal proliferare di linee guida, manuali ed altri strumen- ti destinati agli operatori economici per comprendere, caso per caso, come la “trasformazione so- stanziale” debba essere interpretata nella specifica lavorazione di riferimento. Lo stesso legislatore UE, per ovviare in parte all’estrema incertezza sulla materia, ha previsto delle regole di trasforma- zione specifiche, finalizzate a standardizzare le soluzioni per interi settori ai fini dell’applicazione della TARIC. Le indicazioni (definite “regole di lista”, essendo contenute in tabelle riassuntive che rappresentano la posizione ufficiale dell’Unione europea nell’ambito del Comitato per l’armo- nizzazione delle regole d’origine del WTO) testimoniano l’estrema difficoltà per un soggetto pri- vato, pur normalmente informato ed accorto, di trarre dall’attuale dicitura “Made in …” riportata in etichetta informazioni realmente utili ad orientare le proprie scelte. Sulle c.d. “regole di lista”,

confliggente della norma con gli ordinari processi cognitivi o razionali che pre- siedono alla cernita dei prodotti da parte del consumatore.

La c.d. “lavorazione sostanziale”, che del paradigma indicato è senza dubbio il fattore principale 65, appare infatti concetto sfuggente, di fatto in molti casi

opinabile 66, al punto da aver generato un abbondantissimo contenzioso di cui si

ha evidenza anche solo compulsando le sentenze interpretative della Corte di giustizia.

Al riguardo quest’ultima ha anzitutto chiarito che il processo di lavorazione in questione deve necessariamente condurre alla realizzazione di un prodotto che abbia composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di esse- re sottoposto a tale trasformazione o lavorazione 67, così escludendo che la mera

separazione, frantumazione, e la pulitura nonché la vagliatura, la cernita e l’im- ballaggio finali possano costituire elementi sufficienti a conferire carattere origi- nario al prodotto che ne risulta 68.

Al contempo, con riferimento ai c.d. “prodotti assemblati”, la Corte ha rite- nuto che il mero “montaggio” o l’incorporazione di pezzi diversi possa bastare e, più in generale, sui criteri dell’acquisizione del carattere originario in base al codice doganale unionale si veda F.VISMARA, Lineamenti di Diritto doganale dell’Unione europea, Torino, Giappi-

chelli, 2016, p. 142 ss.

65 Ben potendosi considerare gli elementi dello svolgimento dell’attività da parte di una impre- sa attrezzata allo scopo e della conclusione del processo con la fabbricazione di un prodotto “nuovo”, pur se formalmente autonomi, semplici precisazioni “antielusive” con carattere ancillare rispetto al criterio principale indicato.

66 La letteratura che si è occupata del tema sino ad oggi è troppo vasta per poter essere qui utilmente ed esaustivamente richiamata. Sia consentito rinviare, in forma riepilogativa, a T. LYONS, EC Custom Law, Oxford, Oxford University Press, 2008; G.DESIDERIO,M.GIFFONI, Le-

gislazione doganale comunitaria e nuovo codice doganale, Torino, Giappichelli, 2009; L. MORICO- NI, M. ZANGA, Guida pratica …, cit.; G.BERTOLI, R.RESCINITI, Made in Italy e Country of origin

effect, in Mercati e Competitività, 2013, p. 13 ss.; D.VISMARA, Lineamenti di diritto doganale …, cit.; M.FABIO, Manuale di diritto e pratica doganale, Milano, Wolter Kluwer, 2016. Merita segna-

lazione il tentativo di distinguere concettualmente nel settore alimentare le trasformazioni “fisi- che” (quali gli sminuzzamenti, le separazioni, le vagliature, ecc.), di per sé “reversibili” e quindi “non sostanziali”, da quelle “chimiche”, che implicano un cambiamento tecnicamente irreversibi- le di natura inevitabilmente sostanziale (come, ad esempio, la precipitazione della cagliata dal latte una volta inserito l’apposito coadiuvante). Cfr. sul punto A.NERI, La trasformazione sostanziale e

l’indicazione dell’origine, in Alimenta, 2014, p. 1 ss. L’ipotesi è stata, tuttavia, smentita dalla giuri-

sprudenza della Corte di Cassazione, che ha dichiarato “Made in Italy” una macedonia di frutta ottenuta interamente da frutta estera parzialmente tagliata e mescolata in Italia (cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 marzo 2007, n. 27250, su cui si tornerà oltre).

67 Cfr. le sentenze della Corte di giustizia 26 novembre 1977, causa 49/76, Gesellshaft Fur

Uberseehandel, in Racc., 1977, p. 41 ss.; 23 febbraio 1984, causa 93/83, Zentrag, in Racc., 1984, p.

1095 ss.; 10 febbraio 2009, causa C-260/08, Heko, in Racc., 2009, p. I-11571 ss.

68 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 11 febbraio 2010, causa C-373/08, Hoesh Metal, in

Racc., 2010, p. I-951 ss., su cui si vedano i commenti di M.MEISTER, Notion de trasformation ou

d’ouvraison substantielle, in Europe, 2010, p. 16 ss.; T. LYONS, Highlights & Insights on European

Taxation, 2010, p. 103 ss. L’indicazione è, peraltro, contenuta anche nelle disposizioni esecutive

ai fini della acquisizione dell’origine, allorché sotto il profilo tecnico e rispetto alla definizione della merce in questione questa fase rappresenti lo stadio pro- duttivo determinante durante il quale si concretizzi la destinazione funzionale dei componenti utilizzati e nel corso del quale siano conferite alla merce in que- stione le proprietà qualitative specifiche del prodotto 69.

In altre parole, la creazione di un prodotto “nuovo” attraverso l’unione di componentistica interamente fabbricata in altri Paesi può giustificare l’indica- zione della origine nel Paese di mero assemblaggio, purché ciò che si ottiene (o il suo “valore aggiunto economico” come criterio residuale 70) giustifichino una

distinzione netta fra il semilavorato o i componenti precedenti ed il prodotto “finale” 71.

L’applicazione di criteri tecnici così complessi non può che disorientare un consumatore “medio”, privo delle competenze (e delle relative informazioni) ne- cessarie a comprendere il significato di claims sul “Made in” determinati in sif- fatta maniera, ed al contempo decisamente più interessato ad elementi quali la provenienza delle materie prime prevalenti, la geolocalizzazione di alcuni passaggi produttivi “a monte” del luogo dell’ultimo “assemblaggio” (ritenuti a torto o a ragione più significativi), o, più semplicemente, i legami fra il prodotto e la sto- ria, le tradizioni o anche solo la notorietà che un determinato luogo può confe- rirgli.

Alcuni esempi forniscono, in effetti, prova della “forbice” cognitiva fra ciò che ci si potrebbe attendere e ciò che realmente una dichiarazione di origine do- ganale comunica.

Una macedonia di frutta ottenuta esclusivamente da materia prima estera può essere dichiarata, in base alle regole elencate, “italiana” laddove la frutta venga sminuzzata e confezionata nel nostro Paese. Il prodotto finito, infatti, non risul- ta composto da «frutta commercializzata così come raccolta, né da merce inte- ramente ed esclusivamente ottenuta mediante frutti raccolti in un determinato Paese o da loro derivati, bensì da merce alla cui produzione avevano contribuito due o più Paesi, ossia di prodotti finali che avevano subito un procedimento di

69 Cfr. sul punto la sentenza della Corte di giustizia CE 13 dicembre 2007, causa C-373/06,

ASDA Stores, in Racc., 2007, p. I-11223 ss., nonché le osservazioni in merito di S.ARMELLA, Dirit-

to doganale, cit., p. 208.

70 La c.d. “regola del valore aggiunto” costituisce un criterio sussidiario cui ricorrere nei casi di maggiore incertezza. L’incremento del valore conseguente alle lavorazioni effettuate in un deter- minato Paese giustifica la relativa attribuzione dell’origine al prodotto finito quando superi il 45% del prezzo franco fabbrica. Si pensi, in proposito, al caso dei numerosi apparecchi elettronici as- semblati da componentistica proveniente da Paesi terzi, su cui la Corte si è pronunciata più volte (cfr., ex plurimis, le sentenze 13 dicembre 1989, causa C-26/88, Brother International, in Racc., 1989, p. 4253 ss.; 8 marzo 2007, cause C-447/05 e 448/05, Thomson e Vestel France, in Racc., 2007, p. I-2049 ss.).

71 La natura prioritaria del criterio sostanzialista è stata più volte ribadita dalla Corte. Sul pun- to si vedano, ex plurimis, le sentenze 23 febbraio 1984, causa 93/83, Zentralgenossenschaft, in

lavorazione o trasformazione in un paese diverso da quello della raccolta (…)» 72.

Allo stesso modo un formaggio può essere dichiarato “italiano” anche se de- riva dalla mera rifusione delle cagliate tedesche (in base alla regola sostanziali- sta), mentre il luogo di origine di una scarpa è dato dalla cucitura della suola alla tomaia (in base al combinato disposto delle diverse regole elencate) e non, come sarebbe forse lecito attendersi, dal luogo di concia delle pelli e del cuoio che la compongono.

Se per un olio extravergine assume rilievo sia il luogo di raccolta che quello di molitura delle olive (cfr. regolamento 29/2012 cit.), un orologio può essere dichiarato “svizzero” anche se tutti i suoi componenti sono fabbricati in Cina e così via: il quadro normativo vigente non pare corrispondere alla logica comune, vuoi per l’impossibilità di conciliare le finalità doganali con quelle comunicative, vuoi per la frammentazione delle fonti, che esaspera la dinamica regola-eccezio- ne, dando così l’impressione di un sistema che non è in grado di assicurare tra- sparenza, accordando preferenza a logiche circolatorie tarate su tutt’altre finalità rispetto a quelle del consumatore che dei beni in questione è destinatario 73.

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