commerciali sleal
9. Segue Le c.d “autodichiarazioni” sul “Made in” ed il problema del “sounding” Cenni sugli strumenti internazionali di tutela.
Sul versante dell’iniziativa “privata” la crescente domanda di prodotti che identificano i valori territoriali di cui si è detto ha prodotto negli ultimi anni una proliferazione (quasi incontrollata) di autodichiarazioni sulle confezioni dei beni di consumo relative alla tracciabilità, ai metodi produttivi leali e costanti, alla localizzazione degli stabilimenti, nonché allusioni più vaghe all’origine attraver- so paesaggi, personaggi in costumi tradizionali, monumenti, ecc.
Si tratta, a ben vedere, della frontiera più complessa e delicata del tema del “Made in”, perché, a differenza della proprietà industriale ove la sussistenza del titolo formale giustifica l’esclusione dei soggetti non legittimati e la protezione del toponimo con strumenti sanzionatori pubblici e privati, nei casi in esame il contrasto agli abusi deve fondarsi sull’accertamento della natura decettiva della pratica in forza di regole giuridiche che poggiano su sensibilità inevitabilmente differenziate e “locali”.
Dal punto di vista internazionale le convenzioni che affrontano il problema sono tutt’oggi numericamente esigue, ed ancor più scarne nei contenuti.
Se si eccettuano gli accordi commerciali bilaterali di cui si è detto (ove, peral- tro, la lotta al “sounding” è limitata alla imposizione per alcuni specifici topo- nimi non inseriti nelle “liste” dei nomi “protetti”, di chiarimenti in etichetta ri- feriti alla vera origine del prodotto), la problematica della lotta alla concorrenza sleale nello specifico settore dell’origine delle merci è essenzialmente riferibile alla Convenzione di Unione di Parigi del 1883 153 ed all’Accordo di Madrid del
1891 (che della prima costituisce “estensione”).
La Convenzione di Unione conteneva nella sua prima versione una defini- zione del proprio campo di applicazione piuttosto vaga, laddove, accanto alla protezione dei titoli di proprietà industriale in senso proprio (marchi, brevetti, opere dell’ingegno, ecc.) si estendeva dalle “indications of sources” 154 alla “re-
152 Sono parole di F.ALBISINNI, L’Aceto Balsamico di Modena …, cit., p. 119.
153 Cfr. la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà intellettuale del 20 marzo 1883, riveduta a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all’Aja il 6 novembre 1925, a Londra il 2 giugno 1934, a Lisbona il 31 ottobre 1958 e a Stoccolma il 14 luglio 1967, cit.
154 Il fatto che la Convenzione si concentri su questi aspetti è strettamente legato alla sua gene- si “storica”: in occasione della mostra internazionale delle invenzioni di Vienna del 1873 numerosi inventori invitati a partecipare si erano rifiutati di esporre le proprie opere temendo di veder co-
pression of unfair competition”, aprendosi così anche a questa dimensione del
problema.
Tuttavia il testo inizialmente approvato si limitava a proibire l’uso inganne- vole di marchi ed indicazioni di provenienza (prevedendo anche obblighi di at- tivazione “ex officio” delle autorità pubbliche di controllo degli Stati aderenti) concentrandosi ancora una volta sull’uso esplicito di toponimi o indicazioni geo- grafiche semplici 155.
In occasione della revisione del testo effettuata dalla Conferenza dell’Aja nel 1925 venne tuttavia aggiunto l’art. 10-bis, significativamente rubricato “concor- renza sleale”, che, ad ulteriore rafforzamento del quadro giuridico descritto, sta- bilisce che «i paesi dell’Unione sono tenuti ad assicurare ai cittadini della Unio- ne una protezione effettiva contro la concorrenza sleale. Costituisce atto di con- correnza sleale ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia indu- striale e commerciale. Dovranno, in particolare, essere vietati: 1. Tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il mezzo, con lo stabili- mento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente; 2. Le attestazioni false, nell’esercizio del commercio, tali da discreditare lo stabilimen- to, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente; 3. Le indi- cazioni o le asserzioni il cui uso, nell’esercizio del commercio, possa trarre in er- rore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche, l’attitudine all’uso o la quantità delle merci» 156.
piate e sfruttate commercialmente le invenzioni da parte di cittadini di altri Stati. L’episodio rese così evidente la necessità di creare uno strumento di tutela internazionale della proprietà intellet- tuale ed industriale, da dare impulso ai lavori che portarono nel giro di pochi anni alla stesura del testo convenzionale approvato a Parigi nel 1883.
155 L’art. 9 della Convenzione recita «1. Qualsiasi prodotto che porti illecitamente un marchio di fabbrica o di commercio o un nome commerciale, sarà sequestrato all’importazione in quei Paesi dell’Unione nei quali detto marchio o nome commerciale ha diritto alla protezione legale. 2. Il sequestro sarà eseguito o nel Paese dove l’illecita apposizione avrà avuto luogo, o in quello dove sarà stato importato il prodotto. 3. Il sequestro avrà luogo su richiesta del Pubblico Ministero, o di qualsiasi altra autorità competente, o di una parte interessata, persona fisica o giuridica, i n con- formità della legislazione interna di ciascun Paese. 4. Le autorità non saranno tenute a procedere al sequestro in caso di transito. 5. Se la legislazione di un Paese non ammette il sequestro all’im- portazione, esso sarà sostituito col divieto d’importazione o col sequestro all’interno. 6. Se la legi- slazione di un Paese non ammette né il sequestro all’importazione, né il divieto d’importazione, né il sequestro all’interno e in attesa che tale legislazione sia modificata in tal senso, queste misure sa- ranno sostituite dalle azioni e dai mezzi che la legge di detto Paese accorderebbe ai nazionali in casi analoghi». L’art. 10 estende gli obblighi in questione alle mere attestazioni di provenienza, stabilendo che «1. Le disposizioni dell’articolo precedente saranno applicate in caso di utilizza- zione diretta o indiretta di una indicazione falsa relativa alla provenienza del prodotto o all’iden- tità del produttore, fabbricante o commerciante. 2. Sarà in ogni caso riconosciuta come parte inte- ressata, sia essa persona fisica o giuridica, ogni produttore, fabbricante o commerciante che si oc- cupi della produzione, della fabbricazione o del commercio del prodotto e che sia stabilito nel luo- go falsamente indicato come luogo di provenienza, o nella regione ove questo luogo è situato, o nel Paese falsamente indicato, o nel Paese in cui è adoperata la falsa indicazione di provenienza».
156 Al riguardo l’art. 10-ter della Convenzione impegna gli Stati membri a «ad assicurare ai cit- tadini degli altri Paesi dell’Unione i mezzi legali idonei a reprimere efficacemente tutti gli atti con-
L’indicazione, pur se declinata chiaramente in termini concorrenzialistici (e, dunque, nell’ottica prevalente di proteggere le “imprese” dall’aggressione di
competitors sleali) pare sufficientemente esplicita nel costituire un obbligo di
contrasto anche nei confronti delle pratiche fraudolente che riguardino l’attri- buzione ad un prodotto di caratteristiche originarie o di tradizionalità che non possiede, tanto laddove nell’etichettatura o presentazione siano presenti richia- mi ad un paese estraneo, quanto nelle ipotesi di attestazioni o caratterizzazioni che hanno assunto oggi la definizione generale di “sounding”.
In quest’ottica l’Accordo di Madrid sul divieto di indicazioni di provenienza false o fallaci 157 del 1891, nel tentativo di espandere la portata dell’art. 10 ss.
della Convenzione di Parigi, stabilisce l’obbligo di disporre il sequestro in do- gana o il diniego di importazione nei confronti di tutti i beni recanti direttamen- te o indirettamente indicazioni di provenienza false o fallaci 158.
La previsione, inizialmente piuttosto generica, è stata a sua volta successiva- mente arricchita mediante l’inserimento dell’art. 3-bis nel testo convenzionale, che ha esteso i relativi divieti al campo della pubblicità e della presentazione dei prodotti, stabilendo che «i paesi ai quali si applica il presente accordo si impe- gnano altresì a vietare l’uso, per quanto riguarda la vendita, l’esposizione e l’of- ferta dei prodotti di qualsiasi indicazione che abbia carattere pubblicitario, e sia tale da trarre in inganno il pubblico sulla provenienza dei prodotti, facendola fi- gurare su insegne, annunci, fatture, carte dei vini, lettere o documenti commer- ciali o in qualsiasi altra comunicazione commerciale».
templati negli articoli 9, 10 e 10-bis. 2. Essi si impegnano, inoltre, ad adottare provvedimenti atti a permettere a sindacati e associazioni rappresentanti gli industriali, i produttori o i commercianti interessati e la cui esistenza non sia contraria alle leggi dei loro Paesi, di agire in via giudiziaria o amministrativa per la repressione degli atti previsti negli articoli 9, 10 e 10-bis, nella misura in cui la legge del Paese dove è chiesta la protezione lo consenta ai sindacati e alle associazioni del Paese stesso».
157 Cfr. l’Accordo di Madrid del 14 aprile 1891 sulla repressione delle false o fallaci indicazioni di provenienza delle merci, cit., ratificato in Italia con D.P.R. 12 giugno 1950, n. 865 (in GURI, n. 255 del 7 novembre 1950), nonché, con riferimento all’aggiornamento successivo, dalla l. 4 luglio 1967, n. 676 (in GURI, n. 202 del 12 agosto 1967), e dal D.P.R. 26 febbraio 1968, n. 656 (in GU-
RI, n. 133 del 27 maggio 1968) che ne disciplina l’applicazione per gli aspetti doganali.
158 L’art. 1 dell’Accordo stabilisce che «(1) Qualsiasi prodotto recante una falsa o ingannevole indicazione di provenienza, nella quale uno dei paesi, cui si applica il presente Accordo, o un luo- go situato in uno di essi, fosse direttamente o indirettamente indicato come paese o come luogo d’origine, sarà sequestrato alla importazione in ciascuno dei detti paesi. (2) Il sequestro sarà ese- guito anche nel paese in cui la falsa o ingannevole indicazione di provenienza sarà stata apposta, o in quello in cui sarà stato import to il prodotto recante tale falsa o ingannevole indicazione. (3) Se la legislazione di un paese non ammette il sequestro all’importazione, questo sarà sostituito dal divieto d’importazione. (4) Se la legislazione di un paese non ammette né il sequestro all’importa- zione, né il divieto d’importazione, né il sequestro nell’interno, dette misure, nell’attesa che detta legislazione sia adeguatamente modificata, saranno sostituite dalle azioni e dai mezzi che la legge di quel paese assicura in simili casi ai propri cittadini. (5) In mancanza di sanzioni speciali che as- sicurino la repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza, saranno applicabili le sanzioni previste dalle corrispondenti disposizioni delle leggi sui marchi o sui nomi commerciali».
La valutazione di quali condotte possano ricadere nell’una o nell’altra fatti- specie è rimessa ai tribunali nazionali (cfr. art. 4), ai quali toccherà anche stabili- re quali riferimenti geografici siano ammissibili per intervenuta “volgarizzazio- ne” o per l’uso generico e non decettivo che ne venga fatto.
Fuori dagli strumenti indicati il diritto internazionale affida il contrasto alle pra- tiche commerciali sleali nell’ambito della “comunicazione” essenzialmente agli stru- menti doganali ed alla legislazione territoriale di ciascuno Stato membro, creando di fatto una certa frammentazione in funzione della sensibilità per il tema in discus- sione, nonché per la diversa concezione della capacità del consumatore di com- prendere i messaggi a lui rivolti anche nei termini del richiamo a semplici “ricette”. Per quanto qui più strettamente interessa, la disciplina sostanziale da esami- nare sarà dunque anzitutto quella relativa alla lotta alle pratiche pubblicitarie e commerciali sleali UE, che, pur non derivando direttamente dalle convenzioni in questione (di cui l’Unione europea non è parte), ne ha di fatto ricalcato i conte- nuti uniformando gli ordinamenti giuridici dei propri Stati membri al riguardo.