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La giurisprudenza della Corte di giustizia sulla valenza dei diritti cul turali rispetto alle libertà fondamentali.

Valutazioni conclusive Tutela del “Made in” e nuove sfide per l’integrazione europea

4. La giurisprudenza della Corte di giustizia sulla valenza dei diritti cul turali rispetto alle libertà fondamentali.

L’auspicio dell’innalzamento della soglia di sensibilità per le diverse espres- sioni della cultura, efficacemente indicata come «specifica espressione della plu- ralità costitutiva dell’Unione europea» nelle conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro sul caso Regno di Spagna c. Eurojust 49, nel contesto del bilan-

ciamento con gli altri fattori confliggenti nel processo di integrazione europea sembrerebbe allo stato ancora poco visibile nella giurisprudenza dell’Unione, il cui atteggiamento in materia rimane sotto molti profili improntato alla cautela.

La Corte di giustizia, pur riconoscendo alla protezione dei fattori culturali di- gnità di obiettivo legittimo di interesse generale, ha innanzi tutto escluso l’ade- guatezza di questa base giuridica per fondare iniziative normative il cui “centro di gravità” non sia esattamente ed esclusivamente la tutela di una qualche forma di espressione culturale 50.

Gli effetti dell’incidenza sociale dell’integrazione economica sono stati, poi, tendenzialmente ricondotti alla lettura “classica” del concetto di “ordine pub- blico”, ossia a quelle situazioni che «in ogni caso, oltre alla perturbazione del- l’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge» consentissero di ravvi- sare anche «l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività» 51.

49 Cfr. le conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro del 16 dicembre 2004, causa C- 160/03, Regno di Spagna c. Eurojust, in Racc., 2004, p. I-2079 ss. a proposito del fattore linguistico.

50 Cfr., a titolo esemplificativo, la sentenza della Corte di giustizia 23 febbraio 1999, causa C- 42/97, Parlamento c. Consiglio, in Racc., 1999, p. I-869 ss., punti 42-43.

51 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, in Racc., p. 1999 ss., punto 35 delle motivazioni.

L’applicazione dell’approccio descritto alla materia culturale ha portato, quin- di, la Corte ad assumere atteggiamenti più “accomodanti” nelle vicende in cui il dato giuridico si innestava su aspetti fortemente connotati dal sentimento nazio- nale e dagli interessi prevalentemente “immateriali” (e.g. salvaguardia delle mino- ranze, tutela del patrimonio linguistico tradizionale, ecc.). Al contrario, laddove le questioni sociali sono state utilizzate per tentare di arginare gli effetti dell’inte- grazione economica dei mercati (e, dunque, laddove il dato strettamente mate- riale tendeva ad assumere maggior “peso” rispetto a quello culturale) le soluzio- ni offerte sono risultate molto meno aperte.

Così, a titolo esemplificativo, nel noto caso Groener 52 la Corte ha ritenuto

che, pur non essendo il gaelico indispensabile per l’insegnamento artistico nelle scuole, la volontà di valorizzare le tradizioni culturali per il tramite dell’insegna- mento di questa lingua (espressione identitaria e tradizionale del popolo irlan- dese) poteva giustificare l’imposizione fra i requisiti di un concorso pubblico per l’assunzione di un insegnante la sua piena conoscenza e padronanza 53.

La Corte ha poi confermato una certa sensibilità per la tutela dei fattori ca- paci di contribuire al mantenimento dell’identità e dell’autonomia nazionale lad- dove si è dovuta occupare del pluralismo dell’informazione e della libertà di espressione.

Nel caso Familiapress 54, giostrandosi fra gli incerti confini delle nozioni di

“requisiti tecnici di prodotto” e “modalità di vendita”, i giudici del Lussembur- go hanno fatto pesare in modo determinante i rischi “ablativi” dell’apertura in- discriminata a forme di competizione basate sulla dimensione economica dei singoli players del mercato, facendo prevalere, nella ponderazione delle diverse esigenze, il diritto fondamentale alla libertà di espressione ed al pluralismo della stampa (tutelato dall’art. 10 CEDU, ed oggi anche dall’art. 11 CDFUE) sulla tentazione di una lettura iper-liberista del mercato unico.

La sentenza ha, così, garantito di fatto il mantenimento di una certa autono- mia culturale nazionale, seppur demandando al giudice del rinvio il compito di accertarne la sussistenza dei presupposti e della correlata proporzionalità della norma posta in discussione 55.

52 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia del 28 novembre 1989, causa C-379/87, Anita Groe-

ner c. Minister for Education and The City of Dublin Vocational Education Commettee, in Racc.,

1989, p. 3987 ss.

53 Cfr. i punti 15, 18 e 19 delle motivazioni.

54 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 26 giugno 1997, causa C-368/95, Vereinigte Familia-

press Zeitungs Verlags– Und Vertriebs GmbH, in Racc., 1997, p. I-3709 ss. Com’è noto la vicenda

riguardava il divieto di vendita sul territorio austriaco di periodici contenenti giochi a premi di ri- levante valore economico, per lo più di provenienza tedesca. Il Governo austriaco aveva difeso la propria normativa in materia affermando che in una nazione come l’Austria, ove la ridotta popo- lazione non consentiva la crescita di grandi gruppi editoriali, il pluralismo dell’informazione sa- rebbe stato esposto ad un rischio mortale se le testate competitors avessero potuto far leva, sul piano “attrattivo”, su giochi per a premi di rilevante entità per i lettori.

Le “ragioni di mercato”, normalmente privilegiate nel campo di applicazione delle norme sulle libertà fondamentali, hanno dovuto “cedere” anche nel noto caso Grogan 56 sulle c.d. “cliniche abortive inglesi”, laddove la Corte si è trovata

a scegliere fra il pieno rispetto di un sentito convincimento etico irlandese an- tiabortista e la richiesta di difendere la libertà di scelta ed informazione utiliz- zando gli argomenti del diritto comunitario, ivi inclusa la rilevanza economica di quello che veniva a tutti gli effetti presentato come un “servizio transfrontalie- ro” (dato che le cliniche propagandate si trovavano nel vicino Regno Unito). La soluzione, invero un po’ “pilatesca”, è stata nel caso di specie individuata nella mancanza di un collegamento organico fra chi forniva l’informazione e chi ero- gava il servizio, di modo da spezzare quel “legame economico” che avrebbe ine- vitabilmente condotto a far collidere le esigenze della libera circolazione con il sentimento etico irlandese sul tema 57.

Nello sforzo argomentativo della Corte, tuttavia, non può non rilevarsi la chia- ra intenzione di non interferire con un approccio culturale nazionale che, sep- pur potenzialmente rilevante sul piano economico, veniva percepito come prio- ritario e preponderante sui riflessi di mercato chiamati in causa.

La cautela della Corte nel muoversi in ambiti socialmente e culturalmente così “delicati” ha trovato conferma anche nelle recenti “sentenze gemelle” sul- l’ostentazione di simboli religiosi sul luogo di lavoro 58.

In entrambe le vicende che hanno dato origine ai rinvii pregiudiziali era in discussione l’interpretazione della direttiva 2000/78/CE sulla parità di tratta- mento in materia di occupazione e condizioni di lavoro 59 con riferimento al li-

cenziamento di alcune lavoratrici per il rifiuto opposto alla intimazione discipli- nare di non utilizzare il c.d. “velo islamico” durante lo svolgimento della propria attività lavorativa.

I commenti “a prima lettura” dei media hanno affermato l’esistenza di una sor- ta di intrinseca ed inspiegabile contraddittorietà delle due pronunce, rese lo stesso giorno con esiti apparentemente opposti 60, deducendone, peraltro, la conferma

sto come potenzialmente contraddittorio con le premesse teoriche date dalla Corte. Se, infatti, l’accertamento della proporzionalità viene demandato all’Autorità giudiziaria nazionale, è ragio- nevole immaginare che questa sia adeguatamente attrezzata a cogliere l’effettiva incidenza del fat- tore culturale nella vicenda, avendo ben presente la sensibilità locale per la questione.

56 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Society for the Pro-

tection of Unborn Children Ireland LTD e Stephen Grogan et al., in Racc., p. I-4733 ss.

57 Cfr spec. il punto 32 delle motivazioni.

58 Si tratta, com’è noto, delle due sentenze, entrambe del 14 marzo 2017, causa C-157/15, Sa-

mira Achbita, Centrum Voor Gelijkheid Van Kansen en Voor Racismebestrijding c. G4S Secure So- lutions NV, in Racc. digit., ECLI:EU:C:2017:203, e causa C-188/15, Asma Bougnaoui, Association de défense del sroits de l’homme (ADDH), c. Micropole SA, in Racc. digit., ECLI:EU:C:2017:204.

59 Cfr. la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in

GUCE, L 303 del 2 dicembre 2000, p. 16 ss.

di una asserita tendenza “sociofaga” della giurisprudenza dell’Unione sul rap- porto fra mercato interno e diritti dei lavoratori, in cui rientrerebbe anche la giustificazione del divieto di utilizzo del velo islamico durante l’orario lavorativo qui in discussione.

In realtà una lettura più attenta evidenzia il contrario, ossia il (sia pur diffici- le) tentativo della Corte di tenere assieme tutte le tessere del complesso mosaico che dipinge oggi la realtà sociale europea, ricercando un equilibrio nell’obietti- vità e nella proporzionalità delle soluzioni giuridiche.

Nella sentenza Achbita 61, infatti, la Corte traccia con assoluta chiarezza i pas-

saggi logico-giuridici che devono guidare la lettura delle norme dell’Unione a presidio dei diritti sociali, rifacendosi tanto alla giurisprudenza CEDU 62, quanto

ai propri precedenti specifici sulla tutela dei lavoratori contro le discrimina- zioni 63.

In sostanza la sentenza ricorda che la necessità di una lettura “ampia” della libertà di religione come diritto fondamentale nell’ordinamento dell’Unione im- pone di includere in questa nozione anche le diverse forme con cui può trovare espressione, ivi incluso il ricorso a segni, simboli od oggetti che reifichino i sud- detti sentimenti (cfr. punti 27-30 delle motivazioni). Tuttavia la necessità di bi- lanciare questi diritti con l’autonomia imprenditoriale (a sua volta riconosciuta dalla Carta come libertà fondamentale ex art. 16) impone di verificare non solo ha stigmatizzato la divergenza delle soluzioni a causa di una lettura frettolosa delle conclusioni, dalle quali potrebbe sembrare che la Corte legittimi il licenziamento della lavoratrice nel caso

Achbita, mentre si schieri all’opposto nella sentenza Bougnaoui. In realtà, come si evidenzierà in

prosieguo, le due sentenze si muovono lungo la stessa linea di pensiero, differenziandosi le solu- zioni solo per la differenza dei presupposti fattuali dei due casi. Per esemplificare gli approcci mediatici alle sentenze è possibile consultare su internet i commenti “Islam: Corte Europea divisa su divieto del velo al lavoro. Conclusioni opposte su due casi, ora tocca ai giudici decidere”, su

www.ansamed.it; “Velo sui luoghi di lavoro, la Corte europea ha dato due pareri opposti”, su www.secoloditalia.it; “Imporre alle dipendenti di toglierlo è discriminazione. Anzi no, l’Ue si

spacca sul velo islamico a lavoro”, su www.notizie.tiscali.it.

61 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia 14 marzo 2017, causa C-157/15, Samira Achbita, cit. 62 La Corte si richiama, in particolare, nel punto 39 delle motivazioni alla sentenza della Corte di Strasburgo del 15 gennaio 2013, Eweida e altri c. Regno Unito (CE:ECHR:2013:0115JUD004842010, punto 94) per sostenere la compatibilità della compressione entro certi limiti dei diritti religiosi per il perseguimento di finalità consentite, anche di natura economica.

63 Cfr., in particolare, le sentenze della Corte di giustizia 10 marzo 2009, causa C-169/07, Hart-

lauer Handelsgesellschaft mbH c. Wiener Landesregierung e Oberösterreichische Landesregierung,

in Racc., 2009 p. I-01721 ss. e 12 gennaio 2010, causa C-341/08, Domnica Petersen c. Berufung-

sausschuss für Zahnärzte für den Bezirk Westfalen-Lippe, in Racc., 2010, p. I-00047 ss., richiamate

dalla Corte riguardo alla “appropriatezza” della norma interna che limita le libertà di espressione dei lavoratori (cfr. il punto 40 delle motivazioni sentenza Achbita), nonché 2 gennaio 2010, causa C-229/08, Colin Wolf c. Stadt Frankfurt am Main, in Racc., 2010, p. I-00001 ss.; 13 settembre 2011, causa C-447/09, Reinhard Prigge e altri c. Deutsche Lufthansa AG, in Racc., 2011, p. I-08003 ss.; 13 novembre 2014, causa C-416/13, Mario Vital Pérez c. Ayuntamiento de Oviedo, in Racc. digit., ECLI:EU:C:2014:2371; 15 novembre 2016, causa C-258/15, Salaberria Sorondo, in Racc. digit., EU:C:2016:873, cit. al punto 37 della sentenza Bougnaoui riguardo all’interpretazione della diret- tiva 2000/78/CE, cit. sul concetto di “disparità di trattamento”.

la c.d. “neutralità apparente” dei provvedimenti adottati dal datore di lavoro 64,

ma anche la sussistenza di una finalità legittima delle restrizioni imposte nonché l’appropriatezza dei mezzi utilizzati per perseguire le finalità economiche in di- scussione 65.

Nei casi in questione la Corte, pur demandando un simile apprezzamento in ultima analisi al giudice nazionale, ha comunque ritenuto necessario segnalare come, con riferimento alla “finalità legittima”, occorra verificare se la volontà di mantenere nei confronti della clientela una politica di neutralità filosofica o reli- giosa venga perseguita in modo effettivo (ossia coerente e sistematico nel tempo, anche prima dei fatti contestati 66).

Quanto alla proporzionalità, le sentenze ricordano come il limite di ragione- volezza di un simile orientamento non possa che coincidere con le finalità per- seguite, e, dunque, essere confinato ai rapporti commerciali esterni, nonché ac- compagnato dalla possibilità di un eventuale ricollocamento interno della lavo- ratrice in una posizione che non comporti una simile problematica.

Così lette, le due pronunce di fatto non fanno che confermare l’orientamento classico della Corte in questi frangenti, e, dunque, per un verso l’utilizzo delle libertà fondamentali per affermare i diritti della persona in tutte le sfere della sua esistenza individuale; per altro verso il costante sforzo di far coesistere que- ste spinte sociali con l’integrità dei principi che governano il mercato interno.

In questa tensione permanente appare chiaro come non possa allo stato esi- stere nell’ordinamento dell’Unione una “preferenza” generale per gli argomenti culturali rispetto a quelli economici, non essendo la posizione della “cultura” concettualmente e giuridicamente equiparabile a quella di altri diritti fondamen- tali di primaria (ed assoluta) importanza come la tutela della vita o della salute.

Lo spostamento, quindi, caso per caso del baricentro verso l’uno o l’altro pro- filo (persona vs. mercato ed economia) sarà largamente condizionato dalla fatti- specie concreta esaminata.

In particolare, man mano che i casi sottoposti alla Corte sono risultati conno- tati in modo più evidente dall’incidenza dell’aspetto economico rispetto a quello sociale, la revisione giudiziale delle norme si è mostrata decisamente più rigida nella valutazione delle eccezioni alle libertà fondamentali del Trattato rispetto alle situazioni in cui, al contrario, il substrato della controversia si presentava meno ancorato ai temi della circolazione dei beni o delle persone.

A fronte della c.d. “eccezione culturale”, la Corte si è mostrata particolar- mente attenta nella verifica della proporzionalità, ossia, per quanto qui interessa, nella esclusione della compresenza di scopi economici di carattere prevalente occultati dalle finalità sociali.

Nella vicenda delle licenze abilitanti all’esercizio della professione di guida

64 Cfr. i punti 34-35 della sentenza Achbita ed i punti 33-34 della sentenza Bougnaoui. 65 Cfr. i punti 35-39 della sentenza Achbita; 35-40 della sentenza Bougnaoui.

turistica” in Francia, Italia e Grecia 67, pur dandosi atto dell’“interesse generale”

sotteso alla corretta comunicazione ai turisti delle caratteristiche del patrimonio storico ed archeologico ai fini della salvaguardia dell’immagine e dell’identità nazionale, le discipline esaminate non hanno superato il c.d. “test di proporzio- nalità” in forza di una sorta di “argomento linguistico alla rovescia”.

Nelle motivazioni si legge, infatti, che la peculiarità della presentazione (ac- compagnamento di turisti stranieri durante tutto il corso del loro soggiorno nei tre Paesi in questione) richiederebbe, contrariamente all’effetto indotto dalle nor- me in discussione, il ricorso a personale della stessa nazionalità dei turisti, in quanto l’utilizzo di guide locali presenterebbe per i «beneficiari delle prestazioni dei servizi di cui trattasi l’inconveniente di non poter disporre di una guida avente familiarità con la loro lingua, con i loro interessi e con le loro aspettative specifi- che» 68. Una sorta di “argomento culturale al contrario” che sorprenderebbe, se

non fosse letto in stretto abbinamento alle valutazioni – questa volta strettamen- te “concorrenzialistiche” – circa la necessità dei Tour Operators di selezionare il personale più “apprezzabile” dalla clientela estera per questo specifico servi- zio 69.

Nel settore radiotelevisivo la necessità di evitare l’utilizzo “strumentale” del- l’argomento culturale è stata ben rappresentata in una serie di sentenze relative alla restrizione della distribuzione di programmi o spot pubblicitari in lingua straniera prodotti da emittenti collocate in Stati diversi da quello del pubblico destinatario o concernenti la riserva dei canali distributivi in favore di enti o so- cietà nazionali 70.

La Corte ha riconosciuto che la tutela della qualità dei programmi, la libertà di espressione delle diverse componenti sociali, religiose o filosofiche esistenti negli Stati membri in questione e la preservazione dell’identità nazionale posso-

67 Si tratta delle tre sentenze della Corte di giustizia 26 febbraio 1991, cause C-154/89, Com-

missione c. Repubblica francese, in Racc., 1991, p. I-659 ss.; C-180/90, Commissione c. Repubblica italiana, in Racc., 1991, p. I-709 ss.; C-198/89, Commissione c. Repubblica ellenica, in Racc., 1991,

p. I-727 ss.

68 Cfr. in particolare i punti 19 della sentenza Commissione c. Repubblica francese, e 23 della sentenza Commissione c. Repubblica ellenica, cit.

69 Cfr. il punto 20 della sentenza Commissione c. Repubblica francese cit; punto 23 della sen- tenza Commissione c. Repubblica italiana, cit.; punto 24 della sentenza Commissione c. Repubblica

ellenica, cit. ove, in modo pressoché identico nelle tre pronunce in questione, la Corte afferma che

«una gestione redditizia di questi viaggi di gruppo dipende dalla reputazione commerciale dell’or- ganizzatore, il quale è sottoposto alla pressione della concorrenza di altre imprese del turismo», e che «il mantenimento di tale reputazione e la pressione della concorrenza determinano già una certa selezione delle guide turistiche ed un controllo della qualità delle loro prestazioni».

70 Cfr. le sentenze della Corte di giustizia 26 aprile 1988, causa 362/85, Bond Von Adverteer-

ders, in Racc., 1988, p. 2085 ss.; 25 luglio 1991, causa C-288/89, Collective Antennevoorziening Gouda, in Racc., 1988, p. I-4035 ss.; 25 luglio 1991, causa C-353/89, Commissione c. Regno dei Paesi Bassi, in Racc., 1991, p. I-4088 ss.; 16 dicembre 1992, causa C-211/91, Commissione c. Regno del Belgio, in Racc., 1992 p. I-6757 ss.; 4 maggio 1993, causa C-17/92, Federacion de Distribudores Cinematograficos (Fedicine), in Racc., 1993, p. I-2266 ss.

no, ovviamente, essere ricondotti a legittimi obiettivi di politica culturale; tutta- via, applicando in modo ordinario il criterio di proporzionalità, nei casi in esa- me ha escluso che questi fattori potessero legittimamente sostanziarsi nel divieto assoluto di diffondere via cavo programmi radiofonici o televisivi trasmessi da altri Stati membri contenenti messaggi pubblicitari o trasmissioni in una lingua diversa da quella nazionale o in violazione del monopolio concesso ad enti na- zionali 71 o, ancora, nel vincolo di concessione delle licenze di doppiaggio alla

produzione di una percentuale di film in lingua nazionale 72.

In altre parole nel bilanciamento fra i fattori culturali e le contrapposte esi- genze economiche, laddove si operi in ambiti strettamente “di mercato”, gli aspetti sociali non sembrano assumere un peso “maggiore” o preponderante ri- spetto alle libertà fondamentali, risolvendosi, in definitiva, la ponderazione in sede di revisione giudiziale nella verifica sulla meritevolezza della misura e sul fatto che non ecceda quanto strettamente necessario per il perseguimento dei suoi obiettivi.

L’indicazione, in questo modo, non pare contraddetta nemmeno dalla più re- cente giurisprudenza della Corte in materia (cfr. in particolare, le sentenze Uni-

ted Pan Europe Communications Belgium 73 e Union de Televisiones Comerciales Asociadas – UTECA 74), ove è stata affermata la legittimità di norme nazionali

che riservavano una quota degli introiti delle emittenti televisive allo sviluppo di produzioni cinematografiche nella lingua ufficiale dei Paesi coinvolti.

Nella sentenza UTECA la Corte, infatti, ribadisce il proprio orientamento circa il fatto che la lingua rientra fra gli aspetti della cultura la cui tutela può co- stituire una esigenza imperativa di carattere generale (specialmente in paesi, co- me la Spagna, connotati da forti tradizioni territoriali) tanto dal punto di vista del diritto dell’Unione (cfr. sentenza Groener cit. nonché le conclusioni del- l’Avvocato generale Kolkott nel caso in esame), quanto in ambito internazionale (con riferimento al quale la Corte cita espressamente la Convenzione UNESCO del 2005 sulla diversità delle espressioni culturali).

71 È il caso della sentenza Bon von Adverteerders, cit., in cui la Corte non ha messo in discus- sione la natura “culturale” delle finalità pluralistiche del sistema di regole sulla radiodiffusione na- zionale, ma ha applicato il richiamato presupposto della proporzionalità ritenendo che gli scopi enunciati avrebbero potuto essere altrimenti raggiunti con mezzi meno invasivi o discriminatori per gli operatori stranieri (cfr. il punto 37 delle motivazioni). Sulla questione linguistica si veda altresì la sentenza 16 dicembre 1992, Commissione c. Regno del Belgio, cit., punti 9-10 delle moti- vazioni.

72 Cfr. la sentenza Fedicine, cit. Sulla rilevanza del cinema nel contesto del bilanciamento fra fattori culturali e libertà economiche sia consentito rinviare alle puntuali osservazioni di F.MUCCI,

La convenzione UNESCO del 2005, cit., pp. 343-344.

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