31 campus americano, che probabilmente ha vinto come modello spaziale e distributivo del locus
4. Egemonia dello Sguardo
Tecnoevo è un prodotto essenzialmente teoretico, che appoggia le proprie radici sull’osservazione della realtà, basandosi sul valore esperienziale della scoperta. La ricerca condotta sul campo, sottolinea una serie di aspetti critici attorno all’universo dei grandi eventi, che portano l’individuo ad
64 “Quanto più analizziamo i rapporti educatore/educando, nella scuola, a qualunque livello o fuori di essa,
sempre più ci convinciamo che questi rapporti presentano un carattere speciale e evidente: sono fondamentalmente rapporti narrativi, nozionistici. Narrazione di contenuti, che per ciò stesso tendono a fossilizzarsi, sia che si tratti di valori, sia che si tratti di dimensioni empiriche della realtà. Narrazione o dissertazione che comporta un soggetto (colui che narra) e degli oggetti pazienti che ascoltano (gli educandi)”. All'interno di La concezione “depositaria” dell'educazione in P. FREIRE, La Pedagogia degli
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essere sottomesso ad una visione che non gli appartiene. Non si fa riferimento ad un’epoca in cui questo non avveniva; in questo senso, il Tecnoevo trascende la propria attualità e si conferma negli studi condotti in questi anni sul tema dell’accelerazione65.
Tecnoevo è la confutazione del modello di sviluppo e di progresso dominante; esso si pone come termine retroattivo rispetto alla nascita della modernità e alla trasformazione delle tecnologie in relazione agli usi e costumi di un'epoca, il tardo novecento, in cui l'essere umano è stato sommerso dalla capacità artificiale di risolvere i propri bisogni, procedendo ancora oltre in un universo di comunicazione permanente e reperibilità permanente, che, di fatto, ha spostato la soglia dell'attenzione e la capacità umana di relazionarsi – fisicamente – con il prossimo. Questa mutazione, tutt'ora in atto, modifica le relazioni interpersonali, lavorative, espressive, in una maniera che possiamo considerare, da un punto di vista pedagogico, regressiva. Per affermare questo è necessario prima sottolineare il valore e l'opportunità essenziale contenuta nello strumento tecnologico in quanto tale, che deve essere utilizzato e non subito. Per strumento tecnologico s’intende qualsiasi oggetto attraverso il quale compiamo azioni che sviluppano e supportano la nostra vita. Il termine di origine greca, perde il suo connotato legato al mestiere, ovvero al dialogo con la tecnica, per diventare sinonimo di risoluzione di problemi legati alla pratica, all’ottimizzazione dei risultati, alla gestione delle risorse, e alla trasmissione di contenuti. In questa tesi le tecnologie sono pensate molto spesso nella loro accezione relativa alla comunicazione, ma in questo senso non ci si può fermare alla semplice contemplazione dell’azione comunicativa, ma vengono comprese anche, nella trasmissione dei dati, una serie di funzioni ed azioni che interagiscono con la nostra capacità di relazionarci con il mondo inteso come conglomerato di servizi burocratici e amministrativi. Le tecnologie pertanto non si riferiscono soltanto alla soluzione di problemi, ma corrispondono anche alla creazione di problemi, e alla loro relativa risoluzione. Queste risoluzioni, che si ripetono nel corso della vita, sono momenti portanti della modernità; problemi di cui una classe tecnocratica di funzionari si occupa per amministrare la pianificazione della città, intesa a sua volta come organismo tecnologico. Secondo le tesi più ortodosse, possiamo considerare come una tecnologia anche l’utilizzo di un cavallo, come strumento per spostarci da A verso B, mentre partendo da una visione digitale e virtuale della realtà, le tecnologie di comunicazione sono considerate come gli apparecchi che ci permettono di trasmettere testualità, dati e informazioni, tra un essere vivente e un altro, molto spesso passando per intermediari astratti e di natura inconsistente, interfacce programmate che a loro volta riproducono il messaggio, facendo derivare la natura stessa della comunicazione secondo una filtrazione che inizia ad auto-generarsi, secondo un procedimento che potremmo definire auto- poietico. Recentemente, stanno aumentando le telefonate che si ricevono da parte delle compagnie telefoniche, in cerca di dati e pronte ad offrire nuove offerte e promozioni; per curiosità
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è stata posta una domanda coerente con il diritto del consumatore di non essere disturbato nella propria privacy: Chi vi ha fornito questo numero, e la risposta di una sincerità disarmante è stata, “il computer genera numeri in maniera automatica”, ed è proprio questo che si intende con auto- poiesi delle informazioni, da un lato, mentre i data, divengono la nuova merce di scambio di questa età che Mario Morcellini definisce Mediaevo66, in contrapposizione ad un Tecnoevo, considerando i
Media come degli oggetti astratti e le tecnologie come oggetti concreti. Questa definizione è importante per aumentare il dibattito su che cosa si considera tecnologia, in questa età catartica. Nel solco che esiste tra opportunità di utilizzo degli strumenti tecnologici di comunicazione, che lentamente conquistano non soltanto l'intimità ma anche lo spazio urbano delle nostre vite, e la sopraffazione che questi stessi strumenti impongono nelle nostre abitudini e nel nostro abitare, esiste il conflitto. Si tratta di un conflitto potenzialmente economico, essendo questi strumenti la manifestazione del nuovo consumo che avanza, così come gli elettrodomestici e le autovetture furono l'oggetto del progresso durante il boom economico. L'industria si concentra sulle tecnologie di comunicazione, esse diventano protagoniste non solo del mercato, ma del discorso comune, penetrando nella rappresentazione della realtà messa in atto dalla televisione – altro oggetto tecnologico inserito nella fase precedente. Dunque l'opportunità di utilizzarli, deve essere messa a confronto con la portata di mutamento che presuppone.
In Tecnoevo il tempo diventa tridimensionale. Per questo non è una storicizzazione, ma l’apertura di un ambiente storico duttile, capace di rappresentare momentaneamente i propri elementi stereotipici nel corso del loro avvenire: Tecnoevo è più simile ad una macchina del tempo. Figlio della post-modernità, ha a che fare con lo sguardo e con la nostra capacità di saper vedere e di saper essere visti dal di fuori, da noi stessi; potrebbe coincidere con la necessità di un pittore di autorappresentarsi. Tecnoevo è un autoritratto. In questo modo riesce a parlarci del presente, un luogo talmente inconsistente, talmente veloce, da venire tralasciato, cronicamente sospeso, essendo per natura quasi infrequentabile, ma ugualmente efficace, costante, presente. Tra lo sguardo e il tempo esiste l’egemonia che viene prodotta67 dalla scelta inevitabile di pochi, che la trasmettono nei confronti della massa, e diventa stereotipo, clichè, vulgata. Proprio in questo frangente sta la capacità di controffensiva della Pedagogia: liberare Tempo per permettere allo Sguardo di essere protagonista individuale. Nell’epoca del tempo che manca, del tempo contato, del tempo considerato come valore preziosamente custodito ed elargito, trionfa l’immagine egemonica; dunque la liberazione del tempo diventa una delle azioni pedagogiche prioritarie, e può corrispondere ad una prassi educativa. Attendere. Essere in grado di attendere non ha più a
66 M. MORCELLINI, Il Mediaevo italiano. Carocci, Roma, 2005
67 In questo caso si intende la produzione di comunicazione pubblica attraverso la cartellonistica stradale, gli
schermi nelle stazioni e negli aeroporti, così come sui mezzi pubblici, che allargano lo sguardo una volta contenuto nelle riviste e nella televisione; questo avviene anche attraverso la costruzione dello spazio del grande evento, tipicamente uno spazio di avanguardia e sperimentazione di nuove formule diffusive di disseminazione commerciale, oltre che culturale.
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che fare con la dote della pazienza, e solo lateralmente con un’altra azione come quella dell’ascolto, ma diventa oggi un atteggiamento che assume un valore resistenziale. Riflettendo su questo termine dal sapore romantico, notiamo la coesistenza di varie forze, decisive per la comprensione profonda dell’azione. Esistere, ma anche Stare, stare di nuovo, esistere di nuovo.
Ri-Esistere.
Se si considera il concetto di resistenza, si potrebbe valutare fantasiosamente – o in maniera
fantacognitiva (Luigi Guerra68) – una narrazione all'interno del termine stesso per cui esiste una
resistenza ad un attacco, ad uno sforzo, perciò al contatto con un agente esterno, che è in grado di alterare la natura di partenza. Da qui non è distante il concetto di trauma, e non si assicura che la resistenza debba essere senza fine, e nemmeno il metro di paragone per la qualità dell’oggetto.
III.
GRANDE EVENTO
Mais plus encore que la mort, c'est la vie elle – meme qui semble en passe de devenir un accident technique69
È possibile deviare l’attenzione sul piccolo evento in relazione al grande evento. La vita è il grande evento. Nel momento in cui esistiamo accade ciò che è paragonabile al grande evento. Prima è importante ancora procedere nella comprensione di che cosa si intende per grande evento. Esso è il conglomerato di funzioni, l’insieme di avvenimenti, l’organizzazione di un complesso organismo e collettivo, in uno spazio dato. La versione sociologica70 più diffusa che sta entrando lentamente nel
linguaggio comune – questo processo non è stabilizzato – intende le grandi manifestazioni internazionali che agiscono per la creazione di eventi seriali, talvolta competitivi, talvolta non competitivi, che riuniscono forze planetarie: Olimpiadi, Mondiali di Calcio, Esposizioni Universali, così come una candidatura a Capitale della cultura da parte di una città; principalmente il grande evento è definito dalla pianificazione e successiva messa in atto di un processo urbanistico di ripristino urbano su ampia scala.
Vengono ad evidenziarsi inizialmente quattro grandi casi, i primi due legati allo Sport – competitivi – mentre il terzo e il quarto legati alla promulgazione e disseminazione di Scienza e Cultura – non competitivi. Questi eventi agiscono sul territorio della città, in quanto ambiente complesso. Non
68 L. GUERRA, Finalità e strategie di una didattica dell'incontro. Università di Bologna, 2008 69 P. VASSORT, L'homme superflu. De Minuits, Paris, 2012
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intervengono infatti su aree limitate, o se lo fanno è per una intenzione precisa di recupero – dal punto di vista del capitale – di quelle aree. Questi processi presentano se stessi come colossali forme di investimento e si impongono nel piano generale di gestione – coercizione – dello spazio urbano. Talvolta, specialmente negli ultimi decenni, sono stati utilizzati i grandi eventi per impostare politiche di recupero – rigenerazione, riqualificazione – di aree industriali dismesse prossime ai centri storici delle città. Questo processo è parte della trasformazione epocale che esploriamo. La città industriale ottocentesca e novecentesca è oggi archeologia della modernità. La vicinanza con il centro storico, di antichi magazzini e di centri manifatturieri di vario tipo, e i conseguenti quartieri popolari che nascevano, non è più regolare nello sviluppo urbano. Oggi i centri di produzione sono localizzati lungo le autostrade, arterie di movimento. Il terziario ha sostituito l’industria secondaria, mentre la tecnologia è diventata comunicazione, grafica, gestione – talvolta virtuale e sempre più virtuale – dei nostri fabbisogni. Parliamo di questo come di una breccia storica, ineludibile e definitiva nello stretto arco di passaggio, tra II e III millennio. Il grande evento, modificandosi nel corso del tempo, partecipa a questa invasione tecnologica, presentandosi come alternativa possibile a riempire questi vuoti urbani, le famose aree post- industriali – horror vacui della fine del secondo millennio.
Competizione o manifestazione, poco importa. I nostri occhi, come sguardo di chi ricerca un oggetto così vasto, sono particolarmente attenti a questi processi, vivendo nel contesto metropolitano occidentale dove avviene uno scambio attivo e costante di messaggio culturale, il quale messaggio è contingente e produce una lingua universale e trasversale contenuta non soltanto nella sfera digitale, ma essenzialmente intrinseca nel paesaggio urbano. Avendo la possibilità di decodificare questa lingua interna dell'urbanità, l'essere umano riuscirebbe a spezzare il giogo egemonico del discorso dominante, ma in questo caso la lingua da comprendere è un linguaggio oscuro, costruito e concepito per essere latente e omnicomprensivo, attraverso l'economia di scala, che domina il rapporto umano in confronto allo spazio vissuto. Questo codice neutrale si fa portatore del linguaggio pubblicitario, un linguaggio che si presenta in forma etero- spaziale, ovvero che fuoriesce dalla dialettica mutuale, per favorire la creazione dei bisogni da soddisfare. L'individuo viene allontanato dal luogo in cui lavora e produce, si creano ampi percorsi di attraversamento cittadino in cui ciò che si realizza è l'azione del transito, più simile ad un vagare forsennato, che ad una direzione consapevole.
Esiste un’altra tipologia di grande evento, che apparentemente si discosta dalla categoria che stiamo delineando, ma che è riconducibile dal punto di vista delle dinamiche di pianificazione dell'emergenza. Questo grande evento non è artificiale e non risulta prevedibile dall'uomo; è la catastrofe71 naturale. Il terremoto a L'Aquila in Abruzzo72, portato come esempio, ha rappresentato
71 Dal greco Katastrophè: capovolgimento.
72 La serie di scosse, avvenuta il 6 aprile 2008, produsse oltre 200 morti, e 100.000 persone rimasero
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una opportunità perfetta per movimentare energie economiche – e creative – nella risoluzione di una gigantesca catastrofe abitativa, ma non soltanto, un evento che ha sconvolto dal punto di vista culturale e sociale, industriale e produttivo, la comunità di una città di medie dimensioni del centro Italia. Il terremoto – incendio – maremoto che colpì Lisbona il 1 novembre 1755, diede modo alla civiltà portoghese dell’epoca di intervenire sull’assetto urbano, creando una nuova organizzazione della città, d'ispirazione illuminista. Nel caso di Lisbona una serie di eventi concatenati diede il via ad un dibattito intellettuale europeo, d'ispirazione illuminista, che coinvolse anche Immanuel Kant. Il giovane studioso tedesco, appresa la notizia con un mese di ritardo, si dedicò immediatamente alla comprensione della catastrofe naturale da un punto di vista scientifico, compiendo una straordinaria raccolta di informazioni sull'evento, e producendo una serie di interventi pubblicati tempestivamente l'anno successivo (1756). Partendo da queste riflessioni di natura geografica, si parlerà successivamente della nascita della sismologia proprio a partire dal lavoro di Kant, oltre che della nascita della filosofia del disastro. Le sfere istituzionali portoghesi, dovettero affrontare il disastro anche da un punto di vista teologico, confrontandosi con la presa di coscienza del brutale sfruttamento effettuato nelle colonie, e in modo particolare nel Brasile del nord nei confronti delle popolazioni indigene catechizzate dai gesuiti.
Lisbona rappresenta un caso eclatante nel quadro delle catastrofi naturali che colpiscono una città, ma non è una esperienza isolata, considerando quanto accaduto nella città di Catania dopo il terremoto del 1693, la città, praticamente distrutta, venne ricostruita – anche utilizzando la pietra lavica solidificata – secondo un nuovo impianto barocco, con tutto ciò che ne consegue.
Notiamo una curiosa relazione tra queste tipologie di Eventi. Le Olimpiadi previste a Roma nel 1908 vennero annullate e ricollocate a Londra, a causa del tragico terremoto – e conseguente maremoto – che distrusse quasi totalmente la città di Messina in Sicilia, terremoto per cui si contarono quasi 100.000 morti, impegnando lo stato italiano nella risoluzione prioritaria della calamità naturale. Ancora oggi a distanza di un secolo, una parte della popolazione è costretta a vivere in condizioni precarie, presso alcuni quartieri di baracche, sulle alture della città, simili ad una favela secolare. Sarebbe allora logico pensare ad una associazione tra Evento e Morte
(Calamìta e Calamità), oppure al valore dell'Evento come risolutore della distruzione, o ad un
doppio grande evento, quasi un'azione – reazione espansa a livello sociale – collettivo. Questo ci interessa e permette di ragionare intorno alla vita di una persona sola, la cui morte, o la cui esperienza traumatica, attraverso il Grande Evento, definisce queste qualità.