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190 mantenimento della autoimmagine etnica420.

L’antropologia culturale, che cerca di analizzare informazioni e dati raccolti sul campo, si confronta costantemente con il dubbio scientifico e con un limite imposto dalla quantità dei casi osservabili in cui ogni situazione costituisce una storia autonoma. Dove sarebbe possibile individuare dunque con chiarezza la necessità e il bisogno di una ricerca antropologica? Forse nella fragilità, e nel conseguente pericolo di estinzione di queste popolazioni a contatto con la pressione di quelli che Ribeiro ha definito nuclei invasori?

Al contrario delle uniformità già segnalate anteriormente, questi fattori tendono a particolarizzarsi a tal punto che difficilmente potrebbero essere oggetto di analisi generali. Il loro ambito di variabilità è così grande quasi quanto il numero etnie, il che rende sterili i tentativi di formulare regolarità congruenti alla base di queste varianti. L’importante è che, nonostante l’esistenza di questo residuo di fattori aleatori, irriducibili all’analisi, lo studio comparativo delle situazioni di congiunzione della società nazionale con le popolazioni tribali permette di ricostruire il processo di trasfigurazione etnica come una successione di effetti di determinati agenti causali che corrispondono a istanze di un processo naturale e necessario che, una volta scatenato, conduce a risultati prevedibili. Ancora, permette di segnalare le principali deviazioni da questa successione, spiegabili come reazioni differenziali dei gruppi indigeni all’impatto con la civilizzazione421.

L’esperienza di Aldeia Maracana si è avverata negli spazi di in un antico palazzo coloniale, non lontano dallo stadio Maracana e dall’università statale. Questo palazzo, costruito negli anni ’60 del XIX secolo dal Duca de Saxe, un genero dell’allora imperatore Pedro II, è stato convertito varie volte nel corso del novecento. A partire dal 1911 è divenuto la sede del Servizio per la protezione degli Indio, un organo molto discusso del quale è stato presidente il maresciallo Candido Rondon, la cui figura è particolarmente emblematica. Esploratore del Mato Grosso e fautore della costruzione delle linee telegrafiche nella regione selvaggia, il maresciallo condusse una vita avventurosa a contatto con le ultime tribù isolate dei territori occidentali brasiliani, ancora privi di civilizzazione. La sua opera è considerata fondativa nella creazione del Brasile moderno e a lui sono dedicate facoltà, fondazioni, strade, autostrade, aeroporti, e uno stato omonimo, proprio nell’area da lui esplorata (Rondonia). Controversa rimane l’attività del Servizio di Protezione degli Indios, al quale subentrò Darcy Ribeiro negli anni ’50, contribuendo ad una modernizzazione dell’ente e all’apertura del Museo do Indio, luogo di confronto dedicato alla cultura indigena dei nativi, all’interno del palazzo del Duca de Saxe. Negli stessi anni era stato costruito lo Stadio Maracana, inaugurato nel 1950 (ma completato soltanto nel 1965), dopo aver demolito un antico

420 Idem.

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tracciato da corsa per cavalli presente nella zona. Il nome Maracana proviene dalla lingua Tupì- Guaranì, uno dei principali ceppi linguistici indigeni del Brasile e si riferisce ad un piccolo pappagallo originario della zona. Dopo un periodo fiorente di studio delle popolazioni indigene, che corrisponde agli anni dell’attività di Ribeiro, il Museo do Indio venne chiuso nel 1977 per essere trasferito nella nuova sede nel centro della città nel quartiere di Botafogo. L’edificio antico si trasformò in un ricettacolo per tossicodipendenti e prostituzione cadendo in una profonda fase di degrado. Nel 2006 un gruppo composito di indios ha occupato lo stabile con l’obiettivo di riqualificarlo sulle basi di una progettualità condivisa che prevede l’ospitalità dei nativi urbanizzati, costituendo quello che è stato considerato una aldeia urbana, ovvero una comunità urbana popolata da popoli nativi. Tra il 2006 e il 2013, Zè Urutau Guajajara ha partecipato nelle attività di Aldeia Maracana.

Zè non è mai arrivato a quell’appuntamento all’università di Rio. In ogni caso il tempo trascorso ad attenderlo mi ha permesso di riflettere e di conoscere alcune delle persone che lavorano in quell’insieme di edifici, scoprendo alcune relazioni tra il gruppo degli occupanti di Aldeia Maracana e il personale della UERJ. Dopo essere stati rimossi violentemente dalla sede del Museo Antiguo

do Indio prima nel 23 di marzo 2013, e definitivamente il 16 dicembre del 2013, si riunirono –

anche per proteggersi – all’interno dell’università, manifestando le proprie intenzioni pacifiche per alcune settimane.

Sembrano stanche le palme di questi tristi tropici E il mio vagare ondivago

Risulta coerente con le forme del paesaggio O incoerente con quelle del trasporto, che qui è chiamato transito422

O Dia 8; Si esce prima del solito per andare a incontrare il direttore del Museo do Indio di

Botafogo. Si chiama Josè Carlos Levinho. È un uomo sulla sessantina che ci viene presentato dalla sua segretaria come “Homem que brinca muito423”. La città è attanagliata dal traffico. Il tema

del traffico, o transito, come viene chiamato qui, fa parte del conflitto urbano e, in questo caso, nella sua accezione di utilizzo del tempo – o di spreco del tempo – corrisponde al bene più prezioso che si possa possedere. La distanza tra il luogo di vita e il luogo di lavoro, e il susseguente calcolo di tempo impiegato per spostarsi, equivale quasi in maniera proporzionale alla propria classe sociale di appartenenza, con una eccezione sensibile, i sobborghi particolari dei ricchi, come ad esempio il Recreio dos Bandeirantes, al lato occidentale della Barra da Tijuca, un

422 Una poesia raccolta nel Diario Brasiliano.

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ambiente costruito per isolare i ricchi in quartieri autosufficienti, lontano dal caos urbano - e dal trauma acustico - carioca.

L’intervista è condotta in maniera strutturata. Josè Levinho seduto alla scrivania, nel suo ufficio al piano superiore di una palazzina che ricorda le forme di una capanna amazzonica, a metà della mattina, dopo aver rispettato una semplice procedura di richiesta ufficiale. La prima domanda è la seguente: “Uma pequena reflexão sobre a situaçao do Brasil, a partir da ultima Constituçao, em relaçao a questão indigena”.

La costituzione del 1988 si rivela essenziale nella comprensione della realtà brasiliana contemporanea. La generazione che ha ideato, combattuto e promosso questa costituzione, che ha vissuto la sua scrittura e il suo tentativo di attuazione, dopo gli anni di piombo della dittatura, è proprio la generazione di Josè Carlos Levinho. Per questo il momento attuale brasiliano, è così decisivo per le sorti del paese. Una società che sta ancora tentando di risolvere alcune questioni primarie, come ad esempio quella dei popoli nativi, una società che si trova in un momento di profonda recessione economica, dopo due decenni di crescita esponenziale, che si riflette anche in una grave crisi culturale. La svolta autoritaria che sta vivendo il Brasile alla metà degli anni ’10, durante il lungo potere del Partito dos Trabalhadores424 (PT) di Lula da Silva e Dilma Rousseff, riporta lo scenario del paese indietro di 50 anni. Il personaggio più inquietante del panorama politico – e sociale – si chiama Eduardo Cunha, Il cui potere travalica la politica. Viene considerato vicino alle fasce ideologiche conservatrici dei fazendeiros, oltre ad essere un esponente di punta della Iglesia Universal, un organismo difficile da decifrare, a metà strada tra proselitismo commerciale e nuova forma di credo religioso, che mette in pratica le proprie strategie di promozione utilizzando un canale televisivo e un sistema di prestito. Le risposte di Josè Carlos Levinho sono molte soddisfacenti. Egli si prende il tempo di elaborare intellettualmente un discorso – parola che utilizza con proprietà – che abbia la funzione di trasmettere la complessità della situazione ad un osservatore esterno, per quanto analiticamente coinvolto, che è e rimane estraneo ad una dinamica culturale tipicamente brasiliana. Levinho ha una formazione come antropologo in primo luogo e, successivamente, come linguista, con molti anni di lavoro sul campo nelle aree interiori del territorio brasiliano a contatto con la realtà indigena.

Le sue parole tradiscono una sensibilità per i temi della ricerca e una preoccupazione per il presente del suo paese, ammettendo che il museo di cui è responsabile, non è stato ancora coinvolto (novembre 2015) in un coordinamento di promozione generale rispetto alle Olimpiadi.

O Ultimo Dia; Urutau Guajajara finalmente risponde. Dice di abitare nel quartiere di Tomaz Coelho,

424 Partito al quale partecipò anche Paulo Freire, come racconta nel libro Aprender com a propria Historia, a

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un sobborgo del nord, e ci lascia un indirizzo esatto. Prendiamo il metrò dopo aver perimetrato425

ancora una volta il lato Sud dello Stadio. È domenica. La statua di Bellini426 che alza al cielo la coppa del mondo, è sotto scacco. Un gruppo generalista globale di turisti. Noi non siamo da meno. Ci siamo mossi con armi leggere e il gruppo si è diviso. Alcuni piani delle cancellate neutrali del Maracana. A.B.C.D.E. Broadcasting Saida. Ovvero l’uscita particolare dei giornalisti dallo stadio. Le biglietterie con fessure simili a quelle di una feritoia per tiratori scelti nel maschio di un forte tardo rinascimentale del Montefeltro italiano. VIP Saida. Il Maracanazinho, tempio della pallavolo, attende il suo turno da protagonista. È come se fosse un’astronave, questo enorme predio venuto dal futuro. Non basterebbero migliaia di cartoline per raccontare l’aneddotica sportiva di questo conglomerato di strutture anni ’50.

Sul lato Est, ancora esiste l’antico Museo do Indio, anche chiamato Aldeia Maracana. Le due parole associate, evidentemente, raccontano la storia di un luogo straordinario. Il termine Aldeia, deriva dall’arabo, e significa villaggio. Venne trasmesso ai portoghesi del sud a contatto con le terre saracene, dominio dei mori. Maracana è un termine di origine Tupi-Guarani, il cui tronco antico è considerato come la lingua brasilica che fino all’inizio del XVIII secolo costituì la lingua franca utilizzata dai coloni portoghesi per comunicare con gran parte della popolazione indigena della costa. Un gruppo di indigeni provenienti dagli stati del nord – Maranhao, Cearà, Parà,

Pernambuco –inurbato nella metropoli di Rio per trovare fortuna e conoscere il mondo, e di

conseguenza contaminarsi, ha occupato questo edificio nel 2006. L’Aldeia è un edificio maestoso, protetto dalla soprintendenza come patrimonio culturale e architettonico (il suo stile può essere definito eclettismo o storicismo). Perfino a fianco del gigantesco Maracana (lo stadio più capiente del mondo dopo il monumentale di Lima) mantiene intatta la sua poderosa presenza che ricorda l’epoca coloniale. Un gruppo di uomini attende di entrare allo stadio seduti all’ombra degli eucalipti e delle palme che circondano il palazzo dell’Aldeia. Sono operai del controllo. Lavorano per

Sunset, un’agenzia di sicurezza che gestisce il Maracana, in questi anni in cui un nuovo tipo di

nuclei invasori, come direbbe Ribeiro, si espande nel territorio brasiliano; prima i giochi pan- americani, poi i mondiali di calcio e infine le Olimpiadi. Una di queste guardie è entrata di diritto nel film Lepanto; un suo sguardo di preoccupazione, al di là dei cancelli assediati durante le manifestazioni che infiammarono il Brasile, contro la privatizzazione di alcuni spazi ai margini dello

425 Sulla pratica della Perimetrazione, si fa riferimento al testo pubblicato su Academia.edu dal titolo Viagem no Brasil.

426 Capitano del Brasile campione del mondo nel 1958 e nel 1962. Per comprendere l’affezione quasi

spirituale del popolo brasiliano nei confronti del Futebol, è giusto segnalare l’esistenza di un altro personaggio, ricordato da un busto custodito all’interno dello Stadio, che ha attirato su di se la vena creativa di un importante poeta come Carlos Drummond De Andrade. Questo un ricordo dedicato a Garrincha, il giorno dopo della sua scomparsa: “Se há um Deus que regula o futebol, esse Deus é sobretudo irônico e farsante, e Garrincha foi um de seus delegados incumbidos de zombar de tudo e de todos, nos estádios. Mas, como é também um Deus cruel, tirou do estonteante Garrincha a faculdade de perceber sua condição

de agente divino. Foi um pobre e pequeno mortal que ajudou um país inteiro a sublimar suas tristezas. O pior é que as tristezas voltam, e não há outro Garrincha disponível. Precisa-se de um novo, que nos alimente o sonho.”

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stadio, e più in generale per i soprusi, le rimozioni, gli sprechi, oltre alla morte degli operai nell’incidente all’arena corinthians di San Paolo e all’arena amazonas di Manaus, nel corso delle costruzioni per i mondiali di calcio del 2014.

Le manifestazioni di giugno del 2013 sono lontane. Ora inizia un nuovo momento di lotta per il Brasile democratico, che nel suo gigantismo vive oggi in uno stato latente di paranoia e terrore. La sicurezza, messa a repentaglio da bande armate, scontri, assalti e violenza del transito, è il tema principale sul quale insistono gli organi di comunicazione che qui vengono chiamati la Midia, tra i quali l’onnipresente Rete Globo. Sul lato Nord, il traffico vero, separa lo stadio dalla comunità di Mangueira. Tomaz Coelho è a sole sei stazioni di distanza, in direzione Pavuna. Una piccola fermata dal design brutalista, in equilibrio tra due favelas, o Comunidades, come vengono chiamate a Rio. Secondo alcune statistiche, dei quasi 7 milioni di abitanti di Rio, 1,5 vive nelle

Comunidades. Superiamo la passerella verso nord-est. Due bar co-esistono a fianco della strada,

con signori anziani seduti ai tavolini. Poco distante, una centrale dell’elettricità in abbandono, anch’essa in stile brutalista tardi anni ’70, con la scritta CESAC. È un centro culturale dedicato alla comunità indigena. Fuori della porta alcuni moto-taxisti che attendono di accompagnare qualche abitante più in alto sull’altura del morro. La porta esterna è aperta. Alcuni ragazzi seduti sul gradino fumano marijuana, indicandoci l’entrata della palazzina. È un locale spoglio, grigio, ampio, con disegni indigeni sulle pareti, che ricordano quelli del suo predecessore, Aldeia Maracana. Urutau mi viene incontro. Ha alcuni fogli tra le mani, ci abbracciamo. “Vivo qui, siamo in cinque famiglie.” “Il nome del centro è dedicato a mio padre.” Ci porta dalla sua famiglia, che ci offre acqua e caffè. Riconosco vari volti dell’occupazione precedente. È una domenica nella periferia nord di Rio de Janeiro. Urutau inizia a raccontare:

O objetivo também era criar uma universidade indígena para ser administrada por nós indígenas. Não tem, no Brasil inteiro não existe nenhum imóvel, nenhuma universidade e curso que seja administrado por nós indígenas, não existe. Não tem. Depois de 515 anos de dominação, não tem nenhum espaço administrado por nós. Então fomos ali e o primeiro grande embate foi quando estávamos já no ano de 2006. 20 de outubro de 2006, assumimos, uma sexta feira, assumimos aquele imóvel ali para revitalizar. Nós administramos. Então está dentro do conflito quer nos retirar em 2007 para os jogos Pan Americanos. Já no governo Cabral em 2012 ele anuncia, vamos comprar da União esse imóvel que era do Ministério da agricultura porque os imóveis da questão indígena eram sob os cuidados do Ministério da Agricultura na virada do século 20 para 21. Ainda era Ministério da Agricultura. Sendo um imóvel do Ministério da agricultura era todo um patrimônio. Mais de um século de historiam estava ali, 150 anos de história indígena que não volta. Então tínhamos essa consciência, por isso, como não preservou nós fomos lá para preservar. Nossa memória que estava ali. Mas o estado não admitiu isso, como você viu a primeira retirada foi em janeiro de 2013. Não conseguiu por conta dos movimentos sociais. Imprensa internacional, por isso o estado recuou e também porque não tinha papel. O advogado falou que o documento de imissão de posse, que era para colocar o estado na posse mas o estado não estava na posse, quem estava na posse éramos

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