117 impegnarsi nella lotta per la loro liberazione274.
2. Per un’iniziazione pedagogica: l’imago puerilis.
Quicumque ille fuit, puerum qui pinxit Amorem, nonne putas miras hunc habuisse manus? is primum vidit sine sensu vivere amantis, et levibus curis magna perire bona. idem non frustra ventosas addidit alas, fecit et humano corde volare deum: scilicet alterna quoniam iactamur in unda, nostraque non ullis permanet aura locis. et merito hamatis manus est armata sagittis, et pharetra ex umero Cnosia utroque iacet: ante ferit quoniam, tuti quam cernimus hostem, nec quisquam ex illo vulnere sanus abit. in me tela manent, manet et puerilis imago: sed certe pennas perdidit ille suas; evolat heu nostro quoniam de pectore nusquam, assiduusque meo sanguine bella gerit. quid tibi iucundum est siccis habitare medullis? si pudor est, alio traice tela una! intactos isto satius temptare veneno: non ego, sed tenuis vapulat umbra mea. quam si perdideris, quis erit qui talia cantet, (haec mea Musa levis gloria magna tua est), qui caput et digitos et lumina nigra puellae, et canat ut soleant molliter ire pedes?316
315 In questo caso l’autonomia dell’epoca che corrisponde all’Umanesimo e al rinascimento, ovvero un ritorno
ai fasti all’epoca classica.
316 “Chiunque fu quello che dipinse Amore fanciullo, non pensi che abbia avuto una mano straordinaria?
Costui anzitutto vide che gli amanti vivono senza giudizio, e per lievi affanni perdono grandi benefici. Pertanto non inutilmente aggiunse ali ventose, e fece volare il dio nel cuore degli uomini: certo poiché siamo
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Le forze che convergono, le nostre energie mentali che diventano sforzo e poi azione, il tentativo di nominare le cose, tutto questo fa parte di una semplice necessità: essere in grado di spiegarsi razionalmente ciò che accade. Esistono altre forze, altri popoli e numerosi, altri spazi dove non è necessariamente obbligatorio spiegare razionalmente ciò che accade. Esiste, al contrario, anche il bisogno di sapersi raccontare agli altri; essere in grado di riconoscersi, nello studio approfondito di se, o semplicemente esprimere la convinzione rispetto ad una materia precisa, una capacità particolare che basterebbe a renderci abili in quella materia che è la scrittura, la comunicazione, e in ultima istanza, l’insegnamento. L’opera di tramandare la propria esperienza è stata sempre e comunque, un’occupazione bastevole a risolvere la nostra esistenza.
Non si può negare che qui si cela uno dei più impervi arcani della filosofia. Le scienze esatte, da questa prospettiva, rappresenterebbero delle vie di fuga più sicure all’interno delle quali il confronto è serrato sul binario della logica, la stessa logica che avrebbe preso il sopravvento – a partire dalla contrapposizione Aristotele / Socrate – nella conduzione egemonica dei sistemi di potere. Forse non basta considerare le scienze esatte come una scappatoia rispetto alle più insidiose scienze umane, basate su associazioni, riferimenti arbitrari, opinioni riportate, che trovano conferma di nuovo appoggiandosi su altre associazioni, iper-testi complessi di difficile lettura, se non portatori parziali, mancanti, infermi. Per questo si scrive e si legge della poetica del frammento, del gusto per la visione delle macerie, di un rapporto ego-sincretico tra noi e la scrittura, un individualismo espanso, fino alla scomparsa dello spirito di comunità.
Allo stesso tempo né le scienze esatte, né quelle umane o sociali prendono in considerazione a sufficienza le potenzialità narrative e analitiche di una materia come quella della nostalgia; oppure lo fanno ma seguendo altri discorsi, altre revisioni parallele, che confermano un distacco tra i saperi avvenuto forse con la perdita dello studio del trivio e del quadrivio, ovvero le arti liberali. Questa forza di nostalgia riesce a pervadere comunque gran parte del recit collettivo. Forse si distingue come una compensazione tra le nostre imago puerilis, ovvero tra le matrici che possediamo a partire dalla nostra infanzia – quel sistema per cui ogni mutazione avvenuta nel corso della vita adulta, sarebbe alterazione e non progressione lineare nel nostro percorso intellettivo esperienziale – e la forma concreta degli archetipi solidificati e stratificati. Questo livello di equilibrio tra una immagine infantile, com’è stato deciso di chiamarla partendo da Properzio, e il consolidarsi della sedimentazione archetipica successiva, riuscirebbe ad esprimere questo sistema
travolti fra alterne onde, e il nostro soffio non rimane in alcun luogo. E giustamente la mano è armata da frecce uncinate, e la faretra cretese pende da entrambe le spalle: poiché colpisce prima che, al sicuro, vediamo il nemico, né alcuno si allontana salvo da quella ferita. In me restano le frecce, resta anche
l'immagine infantile: ma certo quello perse le sue ali; poiché non vola mai, ahimè, dal mio petto, e assiduo,
nel mio sangue porta la guerra. E che, ti è piacevole abitare nelle ossa inaridite? Se c'è pudore, lancia un dardo a un altro! E' meglio tentare con questo veleno i sani: non io, ma la mia ombra tenue viene percossa. Che se avrai perso, chi sarà che canterà tali cose, (questa mia Musa leggera è una grande gloria tua), costui canterà il capo e le dita, e gli occhi neri della fanciulla, e come i piedi siano soliti procedere lievemente?” Properzio, Libro II, Elegia 12. Fabrizio Serra, Pisa, 2010
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di scarto. Questo scarto si sovrappone al nostro desiderio innato – per chi lo possiede, o meglio, per chi riconosce di possederlo – di dominare l’universo sensibile con il quale iniziamo il confronto. Tutto questo processo viene modificandosi, in maniera più rapida, in un’epoca in cui la tecnologia s’impadronisce del nostro spazio più intimo.