93 Franchi; nella Gallia orientale, i Burgundi; in Italia, succeduti ai Visigoti, gli Ostrogoti221.
3. I limiti della ragione (illuminista)
Là dove non trova egli prevede, promette, indirizza. In questa foresta dei sogni, sotto ogni foglia si celano i frutti che raccoglierà il futuro231.
Dopo essere stato tradotto dal russo in italiano, Bachtin cita Michelet, che parla a sua volta di Rabelais in questo modo, ed è proprio in questo spazio, puramente letterario, che esiste la competenza rivoluzionaria del testo. La capacità di trasmissione di un concetto, di una pura idea, come può essere quella espressa dal pensiero scritto di un maestro del novecento, che a sua volta si avvale di un passaggio storico nella interpretazione di quello che viene ritenuto un testo classico, che a sua volta era nato dalla raccolta della sapienza, e del gioco, della cultura popolare del medioevo (in questo caso francese), diviene uno strumento straordinario, quella che possiamo
gerarchicamente separate”.
230 Cfr. M. BACHTIN, L’opera di Rabelais e la Cultura Popolare. 1979 10
231 Con queste parole di Michelet, riportate da Bachtin nell'impostazione del problema all'inizio della sua
opera, riusciamo a immaginare attraverso una piccola frase, l'effetto suscitato da altre parole, quelle di Rabelais appunto, a cui è dedicato il saggio di Bachtin; in questa ipertestualità consiste il potere del testo, il potere della scrittura.
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considerare una vera Esperienza conoscitiva.
Parliamo di verità e ragione. Bachtin, ripercorrendo storicamente l’alternarsi delle stagioni del grottesco, approda all’illuminismo, del quale individua diversi limiti:
Razionalismo sentenzioso e ristretto, autoritarismo statale e logico-formale, tendenza verso tutto ciò che è dato, compiuto e univoco, didatticismo e utilitarismo degli illuministi, ottimismo ingenuo e banale232.
Emerge chiaramente da queste parole il contesto in cui scriveva il filosofo del linguaggio Russo, ed è lo stesso contesto che lo rende così peculiare e inavvicinabile. L’attacco alla presa di potere da parte della borghesia, la presa di distanza tra quella rivoluzione russa promossa dal popolo, e una rivoluzione francese che ha affermato la classe della borghesia come nuova classe dominante. L’accusa di didatticismo e autoritarismo, ci riporta alla separazione tra il principio dell’Istruzione e quello dell’Educazione espressa in precedenza. Questi limiti, sono limiti imposti dalla festa ufficiale, ciò che oggi non è così chiaro, è il limite tra la festa ufficiale – il grande evento, le Olimpiadi – e il carnevale. Nel caso sportivo, durante il suo momento di liberazione propiziatorio si avvererebbe un’altra profezia, come quella proposta dal padre gesuita Antonio Vieira (1607-1692), che nella sua Historia do Futuro233 prevede la nascita di un quinto impero, che avrà le sorti di dominare il
mondo. Questo impero, il più potente del mondo, sarebbe stato il Portogallo in espansione attraverso le proprie colonie sparse per la terra, e in Brasile avrebbe raggiunto la concreta realizzazione. Il compimento della profezia, non si sarebbe avverato nella costituzione di un paese fisico, di uno stato nazione preciso e determinato, ma nella nascita di organismi interplanetari, multinazionali, capaci di controllare il pianeta senza muovere la propria sede da una piccola città nel cuore della vecchia Europa. Il comitato olimpico internazionale, organo profondamente astratto, non dissimile da ONU, UNESCO e altri, ha incarnato, nella ultramodernità, il ruolo dominatore previsto dal padre gesuita, dove il dato ancora più paradossale è che Antonio Vieira, concepito da una impiegata dell’organo dell’inquisizione e da un avventuriero portoghese, fu perseguito dalla santa inquisizione stessa, per aver osato pronosticare un tale successo nel futuro.
Tutto questo ci permette di circoscrivere e di arginare il campo, restituendo alla materia quel
pathos teorico di cui proprio Bachtin ammette la deficienza, nelle opere che raccolgono il sapere,
secondo un principio didascalico e non interpretativo.
Dunque la profezia del quinto impero si sarebbe incarnata nell’imperialismo stesso, producendo il fenomeno del colonialismo, fino a divenire a sua volta vittima della decomposizione naturalistica234;
giunto alla sua apoteosi negli anni ’30 del XX secolo, con la capitolazione dell’ultimo regno indipendente africano (L’Etiopia, “conquistata” ed annessa dall’Impero italiano nel 1936),
232 Cfr. M. BACHTIN, L'Opera di Rabelais e la cultura popolare.1979 233 Pubblicato postumo a Lisbona nel 1718.
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l’imperialismo, non potendo più generare altro che guerra, ha finito con il trasformarsi in un organo astratto, sovranazionale, incarnato possibilmente nello spirito olimpico, che coincidentalmente, proprio nel 1936, veniva celebrato a Berlino nella capitale del III reich hitleriano. La natura astratta, a livello geografico, di questo nuovo tipo di organizzazioni, come la croce rossa internazionale235 e
la società delle nazioni (1920-1946), garantiva l’adeguamento strategico – dell’imperialismo - al movimento spazio-temporale della modernità. Questo sviluppo fu osservato drammaticamente dall’anziano Coubertin ai giochi di Berlino, ai quali non prese parte se non come privato, avendo lasciato la guida e gli incarichi del comitato con qualche anno di anticipo, e fortemente contrario alla svolta autoritaria intrapresa dalla politica internazionale, espressa anche nello spirito di competizione mediatizzata dello Sport, come riporta Lasch:
These same developments have destroyed the value of athletics. Commercialization has turned play into work, subordinated the athlete’s pleasure to the spectator’s, and reduced the spectator himself to a state of vegetative passivity – the very antithesis of the health and vigor sport ideally promotes236.
Si prospetta dunque uno scenario in cui, la rinascita di un evento rituale classico, concretizzato nella formula olimpica e rituale dei giochi, si trasforma in un oggetto utile ai principi della modernità e dell’imperialismo.