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183 Io non mi vergogno! Io devo parlare!

I miei soldi, che dovrebbero essere usati per l’istruzione e per [migliorare le condizioni di vita], finiscono nell’Arena Corinthians! E i soldi pubblici non dovrebbero essere usati per questo407.

L’ultima grande stagione del Brasile si è avverata a partire dalla fine della dittatura militare nel 1985, per arrivare alla redazione una nuova costituzione nel 1988 - cosiddetta Constituçao Cidadà - la settima nella storia dello stato Brasiliano408. Il conseguente periodo di euforia si è protratto per una ventina d’anni, fino alla metà degli anni 2000. Oggi è in corso una fase di crisi recessiva che si manifesta anche a livello del discorso pubblico. L’argomentazione della crisi coinvolge il tema della sicurezza e della fiducia nei confronti della classe politica. Il termine Maquillagem409, naturalmente

afferente al mondo dell’estetica, ritorna più volte in queste conversazioni riferito all’atteggiamento non limpido della classe politica e della società civile brasiliana in generale.

Dopo aver parlato con i tre uomini sulla collina di Sant’Antonio, una chiesa del 1915 in stato di abbandono da cui si gode una vista importante sulla regione settentrionale di Rio e sul Becco do Papagaio, una delle alture di origine vulcanica di cui Rio è circondata, trovo alcuni operai di

Commlurb410 che lavorano a fianco dei tassisti privati. Uno di loro accetta di essere intervistato, ma prima si toglie la divisa arancione, su consiglio di un collega più giovane che lo rassicura che ciò che esprimerà è un’opinione personale e, per questo, non ha niente da temere.

Ripete lo stesso concetto dei tassisti. Ciò di cui il Brasile ha bisogno veramente sono infrastrutture, sicurezza, educazione. Una sua collega, con i capelli biondi tinti e impegnata nella cura delle proprie unghie artificiali, ammette di non voler aggiungere niente. Il suo compagno ha già espresso tutto. Continuiamo a comunicare. Un grande viale trafficato si avvicina a quello che credevo essere l’epicentro di una enorme operazione di propaganda. Il Maracana, come simbolo del Calcio mondiale, è sempre là, alla fine di una piccola via alberata le cui case hanno il filo spinato sul muro di cinta. Un parcheggiatore abusivo si avvicina con fare minaccioso. Indossa una maglietta di una squadra di calcio di cui non riconosco il nome: Kiko 77. Quasi un presagio, quasi una

407 Con queste parole si è espressa Diana (di cui non conosciamo il cognome) abitante della comunità di

Itaquera all’estrema periferia di San Paolo. La comunità, composta da 370 famiglie, è stata sotto minaccia di evacuazione per la costruzione del nuovo stadio di Itaquera, denominato Arena Corinthians.

408 Il Brasile si proclama indipendente dal Portogallo nel 1822 e rimane corona imperiale fino al 1889. Questo

avviene in seguito alla dichiarazione della legge aurea che abolisce la schiavitù nel 1888, quando l’aristocrazia agricola abbandona il partito monarchico cooperando alla fine della monarchia. Il 15 novembre 1889, viene proclamata la repubblica e “Il vecchio e saggio sovrano Pedro II s’imbarca per l’Europa, e muore pochi mesi dopo a Parigi”. In G. FREYRE, Interpretazione del Brasile. Giorgio Bocca Editori, Milano, 1954. Mi permetto di notare che il vecchio e saggio sovrano avrà probabilmente assistito all’inaugurazione della

Tour Eiffel, completata proprio nel 1889, anno dell’esposizione universale di Parigi.

409 Il termine Maquillagem possiede la stessa radice di Maquis, ovvero Partigiano, ma anche truccato,

nascosto. Il termine è stato utilizzato da Lucio Costa nella sua celebre affermazione: Eu sou Maquis da

Arquitectura. All’interno di L’urbanista come Maquis. La concezione della città capitale di Lucio Costa, di

Jacques Leenhardt in Brasilia: Primeiras Estorias a cura di R.VECCHI e M. GROSSI, Editrice La Mandragora, Imola, 2012

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premonizione. Non ci sono manifesti pubblicitari in riferimento alle Olimpiadi. Il confronto con la comunicazione londinese è disarmante. Il Maracana sarà semplicemente lo stadio del calcio, che non è esattamente una disciplina tradizionale Olimpica, e verrà utilizzato per le cerimonie di apertura e chiusura, per la sua capienza e il suo significato simbolico. La struttura Joao

Havelange, anche conosciuta come Engenhao, di proprietà del club Botafogo, sarà lo Stadio

Olimpico vero e proprio dove si disputeranno le gare di atletica principali. Lo spirito olimpico411 si

manifesta soltanto in una cancellata, dove due uomini sono alle prese con il lancio del giavellotto, chini su se stessi, tra i pochi simboli rimasti in questo immenso spazio obbligatorio.

O Dia 2; Il centro di Rio possiede alcune caratteristiche, e una di queste è quella di saper incutere

paura. Nei canyon delle architetture coloniali e post-coloniali, abitano uomini seminudi che possono lavorare come lustrascarpe, oppure nel vortice del traffico su di un moto-taxi. È una realtà ben conosciuta in tutto il mondo, a livello di stereotipo urbano, ma non cesserà mai di trasmettere la sua carica vitale. Ai margini del vecchio quartiere alle spalle del porto, che si affaccia sulla baia di Guanabara, si erge la mole della Candelaria, la severa cattedrale, e nelle sue vicinanze un piccolo cantiere olimpico. Praça Mauà e il suo molo a forma di coccodrillo che ricorda Tabù, il film di Miguel Gomes, è delimitata da un edificio che si espone nel proprio stile decò tropicale di fronte alla cordigliera nascosta nei fumi della baia; questo è il contesto che attende i turisti che giungono al Porto Meravilha, una delle attrazioni promesse e realizzate per il turismo generale generato da Mondiali di Calcio e Olimpiadi, da cui i lavori per una nuova rotaia del tram mostrano la vetrina del cantiere olimpico, dedicato anche alla risoluzione del problema del traffico. Bambini che si tuffano nel mare inquinato di fronte alle petroliere di passaggio. Essere in grado di seguire una di queste storie, riuscendo a non essere assaliti dall’ansia di raccontare ogni cosa – e nemmeno da una banda armata su un onibus che circola cigolante vicino alla stazione di Meier – è il compito dell’autore. La prima volta che visitai il Brasile nella primavera del 1997 non visitammo il centro della città. Era considerato troppo pericoloso. Oggi la polizia è ad ogni angolo, ma in queste giornate di ponte dei santi e dei morti il centro è completamente svuotato. Un’esperienza unica in confronto con la vitalità e il movimento di una metropoli qualsiasi in un giorno dedicato al lavoro. Veniamo fermati da un uomo che ci intima di non mostrare apparecchi fotografici e microfoni.

O Dia 3, nel giorno dei santi; Il luogo dove dormiamo è una grande casa che ospita almeno dieci

persone. C’è una cucina comune e delle fotografie di famiglia che formano una parete dei ricordi, a forma di albero. Nella cucina, alcune mappe geografiche attraggono la mia attenzione. Mauro Furlan sta percorrendo il lungo processo per adottare un bambino rimasto orfano, insieme a sua moglie Milçe Ramalho, originaria della periferia a nord di Rio, detta la Baixada fluminense. Gestiscono questa magione per conto di un’associazione, Macondo, derivata dalla CISL. La casa

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esiste in questa forma dal 2003, quando è stata acquistata per 100.000 euro. Oggi ha un valore di almeno quattro volte superiore. Come prima riflessione, a tutti i testimoni con cui ho avuto l’occasione di parlare e confrontarmi, ho proposta la stessa domanda di partenza: parliamo

dell’impatto dei giochi olimpici nel contesto della vostra vita. Il tema dell’impatto è cruciale nella

comprensione di un insieme di fattori precedenti e successivi molto complessi. Questi fatti si presentano in forma di manifestazioni urbane evidenti, costruzioni, servizi, infrastrutture, progetti che si fanno portatori di significato che interagiscono in maniera più profonda e sottile con il movimento e con la vita delle persone. Una di queste evidenze risulta nello sviluppo dislocato dei centri olimpici, interventi che agiscono su 4 aree precise della città: Deodoro, Barra, Maracana, Copacabana412.

È il giorno dei santi. Inalva è fuori dalla casa da Penha. Avevo provato, un po’ ingenuamente e un po’ di proposito, a proporre come punto d’incontro lo stesso botequim dove ci eravamo incontrati due anni prima. La sua risposta scritta:

Ok Enrico, se não houver mais botequim, nos encontraremos na casa da Penha413.

Lei era lì, poco distante dal Botequim e dall’Associazione degli abitanti, nella quale avevamo condotto la nostra prima intervista strutturata, alla porta della casa da Penha, indicata da una insegna azzurra che recita Bazar Autodromo, con la sua maglietta bianca e azzurra: VIVA VILA AUTODROMO. E anche questa volta sono bastati pochi sguardi di semplici convenevoli a lei per iniziare a parlare di sfruttamento, di esproprio, di guerra, di sopruso, di Cidade mercadoria.

“Nos somos os fracassados.”414

Le sue parole, in questo contesto, assumono un valore completamente differente; la situazione in cui siamo arrivati è quella di una comunità in avanzato stato di demolizione, nel giorno dei santi, nella città di Rio de Janeiro. La casa da Penha era considerata dalla comunità come un punto di riferimento, un havala415, e continua ad esserlo. Varie persone convergono qui, per mangiare un piatto di riso e farofa, un piatto povero di massa, un pollo, bere un succo di abacaxi. Robson si unisce al pranzo. È uno studente di educazione fisica al Fundao, la città universitaria. È riuscito ad ottenere con una borsa di studio. Preferisce non essere filmato, mentre ammette che non riesce a studiare in questo ambiente. Paragona la situazione di Vila Autodromo ad una situazione di guerra,

412 Mappa dei luoghi delle Olimpiadi, consultabile sul sito officiale - http://www.rio2016.com/en/venues-map 413 Letteralmente: Se non c’è più il bar, ci incontreremo nella casa di Penha. Email del 31 ottobre 2015. 414 Letteralmente: Noi siamo i perdenti.

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dice che lo scenario della propria vita quotidiana è simile a quello dell’Iraq. Racconta della propria situazione famigliare. Abita con la madre che ha deciso di non accettare la compensazione e dunque di attendere l’arrivo definitivo delle ruspe. Mentre camminiamo tra le macerie di quella che fu una comunità utopica, la stessa che vinse il premio per il miglior progetto di pianificazione partecipata, nuovi grattacieli attendono di continuare il proprio processo di costruzione, per il turismo, per i servizi necessari alle Olimpiadi, hotel di lusso, parcheggi, media center. Inalva chiede da che parte vogliamo proseguire. Verso la tua casa, le rispondo.

“Non esiste più la mia casa, è stata demolita. Ma andiamoci comunque”.

25 famiglie vivono ancora in quella che fu la comunità di Vila Autodromo (novembre 2015). La fase esecutiva della rimozione principale è avvenuta a metà di giugno 2015. Giungiamo lentamente alla sua casa, al luogo dove sorgeva la sua casa. L’aria in quel momento era bianca. Inalva scoppia in lacrime, si aggrappa ad un albero, un unico albero, come fosse un amico, un padre, una madre, o un marito.

“Questo era l’ingresso della mia casa” “Questo era l’albero che mi nutriva” ; “Questo era un luogo di pace.”

È un sentimento di pietà quello che coglie l’uomo alla vista di un suo simile che soffre per un lutto, la perdita di qualcosa di caro, qualcosa di non più oggettuale, qualcosa che non esiste più, un sentimento molto simile all’ineluttabilità della morte.

Seduta nel salotto della casa da Penha dove vivono anche Dona Antonia e Mafalda, Inalva mi chiede se ero già stato nella sua casa. No, non ci eravamo spinti fino a là. Era un giorno di metà dicembre 2013. A tavola parliamo a voce bassa di ciò che sta succedendo, mentre racconto dell’esperienza di Londra e delle mutazioni brutali, dell’esperienza della corsa nell’ultimo anno prima dei giochi, Inalva ammette di avvertire alcune similitudini con la vita di Mike Wells. Lo spettacolo a cui abbiamo assistito è tanto imponente quanto silenzioso e le 25 famiglie che continuano a resistere qui, in un territorio che sembra essere in stato di guerra, come dice Robson, passano il giorno dei santi riposando, ricevendo parenti, con la musica accesa nelle proprie case, e alcune capre libere camminano tra le macerie.

Non sono soltanto le macerie ad esprimere qualcosa di eloquente in questa situazione, ma la dignità di queste persone, e tra queste Robson, un mio coetaneo, che ci accompagna per il tragitto intero attraverso il nuovo fronte olimpico, frutto di un gigantismo tipico dei grandi eventi, rifiutandosi perfino di avvicinarsi alle guardie che sorvegliano il cantiere in questi giorni di chiusura per il fine settimana, le quali accettano di rilasciare qualche breve dichiarazione di superficie sull’impatto occupazionale dei giochi. Il suo timore di incontrare queste persone è estremamente significativo. Teme di essere riconosciuto e per questo perseguitato. Robson vive nell’ansia del giorno in cui le

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prossime ruspe arriveranno a radere al suolo la casa dove vive con la madre, la quale non ha ancora accettato l’idea del trasloco, probabilmente per mancanza di una lucidità gelida o per impossibilità di separarsi dallo spazio in cui abita. Ammette che l’energia non è favorevole e trova ogni possibilità di allontanarsi per facilitare gli studi. Se fosse per lui avrebbero già acconsentito alle pratiche di compensazione, ma la proprietà della casa è nelle mani della madre e quindi rispetta la sua decisione. Proseguendo sul fronte olimpico, alcuni cartelloni comunicano la trasformazione in corso.

PARQUE OLIMPICO. PRIMEIRO PARA OS ATLEITAS, DEPOIS PARA VOCE416.

“Le Olimpiadi sono qualcosa di positivo; non le abbiamo mai ospitate”. “É un’opportunità unica; siamo la prima città dell’America Latina”.

Non sembrano crederci neanche loro, gli operai ai cancelli, mentre ripetono queste poche frasi, a loro volta ripetute dalla rete Globo che domina l’immaginario delle notizie brasiliano. Come se fosse un’operazione al di là dell’umano, al di fuori del contatto diretto, qualcosa che appartiene semplicemente all’ordine dell’intrattenimento e della distopia, e qualcosa che in fondo non interessa realmente a nessuno, perché neutralizzato in se stesso, anche se capace di muovere i più grandi investimenti della terra e il pubblico più immenso del pianeta. Si potrebbe definire un multi-evento per la sua portata diffusa nel tempo e nello spazio. Una frase se possibile ancora più ambigua e distopica campeggia sulla facciata dell’enorme stazione mediatica o media center, da poco inaugurata dal prefetto di Rio Eduardo Paes, fabbrica d’informazione a lato di una schiera di stadi dedicati alle varie discipline.

OLIMPIADA TRAS MAIS DO QUE SO’ A OLIMPIADA417.

Mostrare e discutere queste immagini anche in un contesto Europeo ha una importanza, all’interno di una operazione di riconoscimento delle dinamiche della globalizzazione, ed è l’occasione per continuare a sviluppare un dibattito che non deve essere soltanto accademico bensì civile, concentrando sempre di più l’attenzione sulle tematiche del conflitto urbano. Inalva smette di

416 Slogan della campagna ufficiale di comunicazione della Municipalità di Rio de Janeiro – Cidade Olimpica

Letteralmente: Il Parco Olimpico, prima per gli Atleti, poi per voi. L’ambigua eloquenza di questa comunicazione, pervade l’aura della costruzione di questo nuovo ambiente. Al momento di visitare questo tipo di spazi, durante il compiersi di una lenta metamorfosi, si ha che fare probabilmente con l’essenza del tempo. Assistere a qualcosa che non andrebbe visto, una parte del mondo che non prevede di essere vissuta, tantomeno studiata, per un determinato periodo. Questa concezione riflette l’esistenza di un meccanismo al di sopra dell’essere umano, in cui il grande evento travalica la dimensione della dignità.

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piangere. Le chiedo se vuole parlare della questione della compensazione. Qualcuno ha detto che le hanno dato dei soldi. Si parla di cifre, nei vari casi di esproprio e rimozione coatta, tra 10.000 e 200.000 euro (50.000 – 1.000.000 Reais). Ammette di averli ricevuti e utilizzati per la comunità rurale, sulle montagne a 150 km a Nord di Rio, nella quale si è ritirata a vivere.

O Dia 5; Tanti discorsi, attraversando una città come Rio, una città che appare sempre avere due

itinerari quasi forzati e paralleli; questi non sono solo itinerari urbani, bensì del pensiero. Durante il viaggio si arriva ad un punto di saturazione. L’incontro con Antonio Amora Sena, ex campione nazionale di nuoto nel 1970, ci lascia un segno di speranza: è un possibile eroe positivo che vive a Leblon, originario dello stato nordestino del Cearà, che oggi vende bibite per una catena di Mega

Matte (succhi di frutta e guaranà), camminando avanti e indietro sulla spiaggia di Ipanema.

Afferma deciso quanto il valore dello sport abbia un peso nella risoluzione del conflitto all’interno delle comunità dei poveri. Sottolinea Il valore dell’azione pedagogica dello sport. Quanti ragazzi si sono salvati dal commercio di droga e dalla violenza di strada grazie alla pratica dello sport? Ci invita a incontrare alcuni attivisti presso un’associazione culturale di Vidigal, una delle comunità pacificate. Non lo incontreremo mai più. Scomparso nella immensa luce dei fari sull’oceano di Ipanema.

O Dia 6 – in attesa di Urutau, negli spazi dell’università statale; Il progetto urbano è eloquente. Il

campus Maracana è stato inaugurato nel 1976, nel luogo dove sorgeva l’antica favela do

Esqueleto. Una grande anima che si sviluppa in grigio e cemento, quasi 2000 docenti per 23.000

studenti da tutto il mondo brasiliano. Secondo una classifica del quotidiano O Estado de Sao

Paulo, la UERJ (Università Statale di Rio de Janeiro) è l’ottava miglior università del Brasile.

Davanti a questo spettacolo di movimento di studenti e di persone, ho avuto l’impressione di una società di massa estremamente impersonale. Ho pensato ad un individualismo passivo, in parte omologato, che è per coincidenza l’aggettivo utilizzato dagli antropologi del Museo do Indio de

Botafogo sulle loro carte per definire alcune popolazioni native che hanno già avuto una conferma

di regolarizzazione. Non si può paragonare alla realtà europea per motivi ovvi, anche se il nostro sguardo ritorna sempre alla struttura della vecchia Europa, in cui Bologna ha un ruolo importante come centro universitario di eccellenza. Siamo in attesa di Zè Urutao Guajajara, ricercatore di linguistica presso l’università, con il quale ci siamo dati appuntamento alla gigantesca UERJ, senza avere un numero di telefono. Ho conosciuto Zè nel viaggio precedente. Era tra i leader dell’esperienza di occupazione simbolica all’interno di Aldeia Maracana dove aveva partecipato all’organizzazione di una Università Indigena. Il principio guida da cui partiva il pensiero di questa esperienza era quello di riappropriarsi di uno spazio all’interno del quale fosse possibile discutere e studiare la questione indigena brasiliana non soltanto da un punto di vista linguistico, ma anche

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politico e sociale. Negli interessi personali di Zè, la difesa della lingua Tupi coincide con la difesa della cultura, essendo queste popolazioni portatrici di una cultura orale straordinaria, un patrimonio in via d’estinzione a causa di una serie complessa di fenomeni storici ed ecologici, come vengono definiti dall’antropologo Darcy Ribeiro.

Questa incapacità di elevarsi dalla condizione di strutture in diaspora a quelle di strutture statali, condannò i gruppi indigeni ad optare per la sottomissione o per la fuga, permettendo ai nuclei invasori di crescere in forma continua e di costituirsi in una etnia nazionale di dimensioni e forze irresistibili, che, nel corso della sua espansione, doveva raggiungere ogni tribù restia al contatto, in qualunque posto si nascondesse418.

Il lavoro Darcy Ribeiro, è considerato come la punta più alta del pensiero antropologico brasiliano del novecento, attivo in difesa del riconoscimento dei diritti e della salvaguardia delle tradizioni dei popoli nativi. Così leggiamo nell’avvertenza preposta al suo libro Fronteras indígenas de la

civilización:

La natura dei fenomeni studiati in questo libro ha dato ad esso un tono amaro che abbiamo intenzione di dissimulare. Si tratta tanto di uno studio scientifico che abbiamo elaborato con il più grande rigore, quanto di

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