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La filosofia è idolatria

Cosa mai intendiamo con il termine eidolon?

2.5 La filosofia è idolatria

I punti di contatto tra il pensiero di Platone e il divieto semitico di farsi immagine sono chiari e permettono di capire perché la tradizione giudaico-ellenistica si sia appropriata del termine eidolon invece di altri vocaboli, come per esempio agalma che era quello più usato per riferirsi alle immagini di culto. È chiaro anche perché Platone sia spesso citato – persino dallo stesso Flusser – quando si parla di lotta all’idolatria. E tuttavia le differenze tra le due prospettive sono profonde (e Flusser ne è consapevole).

Tanto la tradizione giudaica quanto Platone sembrano temere che la realtà sia ridotta al suo aspetto fenomenico e la diffidenza nei confronti delle immagini pare in qualche modo legata a questo timore. Tuttavia, ci mette in guardia Flusser, per il pensiero giudaico la realtà non si cela al di là dei fenomeni: il mondo in cui viviamo, il mondo come ci appare, con le sue imperfezioni e i suoi mutamenti, olam hazeh (letteralmente “questo mondo”46), e la trascendenza, il mondo perfetto, olam haba

(letteralmente “il mondo a venire”), sono ugualmente reali. Inoltre dimensione temporale di questo mondo non è «l’immagine mobile dell’eternità»47 , ma

un’intrinseca storicità che porterà l’olam hazeh a dissolversi nel mondo a venire. «La verità rivelata apre, nel frattempo, una finestra verso l’olam haba, una finestra che

46 Probabilmente è a quest’espressione ebraica che pensa Paolo quando scrive in Rm 12, 2: «non

conformatevi a questo mondo» (to aioni touto), o in 1 Cor 1, 20-21: «Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo [tou aionos toutou]? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo [tou kosmou]?».

l’attività esegetica dei commentari mantiene sempre aperta»48. Questa concezione,

secondo Flusser, «non resiste a un’analisi filosofica»49 e tuttavia si salva per il

potente dinamismo etico che mette in moto: non cercare un’immagine dell’altro mondo in questo, ma tentare di trasformare questo mondo per conformarlo all’altro50.

Idolatrica è quindi qualsiasi attività che non miri a questa conformazione.

Come abbiamo visto il termine eidolon nell’Antico Testamento traduce vocaboli ebraici che significano immagine, inconsistenza e falsi dèi. Queste tre accezioni si ritrovano tutte, in qualche modo, condensate nel concetto platonico di eidolon: un’immagine inconsistente come un’ombra, un riflesso o un sogno, che, se è presa per se stessa, è falsa. Come gli idoli dell’Antico Testamento, l’immagine platonica rischia di essere scambiata per ciò che rappresenta e in ogni caso può avere effetti dannosi anche nei confronti di chi la riconosca come una rappresentazione, perché può trasmettere non solo concezioni improprie, ma anche abitudini sbagliate.

Se appare quindi sensato che i Settanta abbiano fatto proprio il termine eidolon, si deve anche essere consapevoli che ne hanno profondamente trasformato il senso e che «la tradizione giudaico-cristiana» non può riconoscersi nella concezione platonica51: da un lato perché diffida delle immagini anche più di Platone, dall’altro perché diffida altrettanto della filosofia. Se per Platone le immagini sono pericolose, ma possono anche non essere dannose, soprattutto nel caso in cui chi le osservi disponga del farmaco, per la tradizione ebraica nessuna immagine prodotta dall’uomo senza un ordine divino è accettabile. Gli eidola platonici possono essere belli o brutti a seconda del loro grado di somiglianza al vero e della loro capacità di fungere da strumento di accesso a un percorso di risalita. Secondo Flusser, al contrario, «l’estetica giudaica ha a che vedere con la nozione di purezza (kashrut)»52:

appartiene al contesto a cui appartengono le nozioni di contaminazione e quarantena ed è radicalmente diversa non solo dalla concezione greca della bellezza, ma anche dalla katharsis. «Una donna vestita secondo i comandamenti che derivano dalla

48 V. Flusser, «Judaismo como fonte do ocidente», cit., p. 93, trad. mia. 49 Ibid.

50 «Il pensiero giudaico si oppone visceralmente a ogni teoria ed è pertanto estraneo alla filosofia»,

Ivi, p. 92, trad. mia. La religiosità ebraica è una religiosità dell’atto, del rito che dev’essere accettato nella sua gratuità, senza spiegazioni, da cui la centralità dell’osservanza delle mitzvot, V. Flusser, «Uma questão de modelos», in Ser Judeu, cit., pp. 56-61.

51 V. Flusser, «Ein neuer Platonismus?», cit., p. 65.

verità rivelata è bella (cioè pura)»53. Possono esistere impurità più o meno gravi, ma non si dà una gradualità della purezza come avviene per la bellezza nel caso delle immagini platoniche: un’immagine è pura se rivelata, come i cherubini d’oro54, nel caso non lo sia è idolo.

Il passo dell’Esodo in cui si afferma che nessuno può guardare Dio e restare vivo55 sembra avere qualcosa in comune con la concezione platonica secondo cui chi guarda il sole senza essere pronto può rimanerne cieco56, ma vi è una profonda

differenza. Secondo quanto si legge nella Repubblica chi riuscisse ad abituarsi gradualmente alla verità parziale delle immagini potrebbe, risalendo verso forme sempre più alte, arrivare a contemplare «il sole stesso». Molti interpreti hanno discusso se per Platone sia effettivamente possibile arrivare a contemplare l’idea di bene in vita, ma si può convenire che sia senz’altro auspicabile tentare per lo meno di avvicinarsi a quella conoscenza. Secondo la concezione biblica questo tentativo di risalire, con le proprie forze, fino a Dio è idolatria. Non che per gli ebrei conoscere Dio non sia più che auspicabile, ma l’unica conoscenza vera è quella rivelata: non la si può conquistare, né disvelare, o sarebbe un tradimento. Qualsiasi filosofia che non sia ancilla theologiae, finalizzata come in Filone di Alessandria all’esegesi biblica, non presta ascolto alla chiamata di Dio, ma si rivolge agli idoli.

53 Ibid.

54 «Farai due cherubini d'oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. Fà un

cherubino ad una estremità e un cherubino all'altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio alle sue due estremità. I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l'uno verso l'altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio. Porrai il coperchio sulla parte superiore dell'arca e collocherai nell'arca la Testimonianza che io ti darò», Es 25, 18-21.

55 Es 33, 20.

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