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Leroi-Gourhan: corpo, linguaggio, tecnica

Un’interfaccia tra interno ed esterno: il corpo e i gest

2.5 Leroi-Gourhan: corpo, linguaggio, tecnica

Tutti i gesti, che prevedano o non prevedano l’uso di strumenti, coinvolgono il corpo intero e non solo una sua parte. Il gesto di dipingere, per esempio, non richiede solo dei tratti del pennello, ma anche «movimenti dei piedi e strizzamenti degli occhi»64. Ogni gesto coinvolge tutto il corpo e ne è condizionato – in questo senso il corpo è il suo medium. Ma allo stesso tempo ogni gesto che agisce in un corpo lo condiziona o addirittura lo trasforma – e in questo senso è il gesto è essere medium del corpo. Prendiamo, ad esempio, il gesto di parlare:

62 Ivi, p. 78.

63 V. Flusser, «L’apparenza del materiale», in Id., La cultura dei media, cit., p. 244. 64 V. Flusser, «Le geste de peindre», in Id., Les gestes, cit., p. 281.

Gli organi specifici della bocca […] si sono sviluppati nel corso dell’evoluzione umana in funzione del parlare? La convenzione che stabilisce le lingue è fondata sugli organi della bocca o, al contrario, questi organi sono degli sviluppi delle convenzioni linguistiche successive? È in atto un processo grazie al quale lo sviluppo degli organi vocali e delle convenzioni linguistiche si sono condizionati reciprocamente? La parte del cervello che si occupa del linguaggio è responsabile delle convenzioni linguistiche e dello sviluppo degli organi vocali? O, al contrario, è la pratica della parola a essere responsabile dello sviluppo del processo linguistico nel cervello65?

Se anche Flusser conosceva solo indirettamente l’opera di Leroi-Gourhan, il passo appena citato si apre inevitabilmente al dialogo con le posizioni del paleo- antropologo francese. La prima parte di Il gesto e la parola è dedicata al rapporto che la tecnica e il linguaggio hanno con l’evoluzione del corpo umano. Secondo un pregiudizio diffuso, che Leroi-Gourhan cerca di sfatare, la capacità di parlare e di costruire strumenti permetterebbero di riconoscere l’essere umano perché sarebbero segni della sua intelligenza. In tempi remoti un curvo primate, «in virtù di una specie di lampo di genio»66, avrebbe afferrato un ciottolo tagliente per armarsi e così sarebbe nata l’umanità. Se, invece, si studiano le condizioni affinché un tale gesto possa essere compiuto, si deve ammettere prima di tutto che lo sviluppo della tecnica dev’essere stato un processo molto più lento e graduale, che ha seguito il ritmo dell’evoluzione umana, e soprattutto che il corpo – questo primo medium – doveva essersi evoluto se non prima almeno insieme alle capacità gestuali. In altri termini l’essere umano non ha inventato la tecnica perché era intelligente, ma è diventato intelligente perché il suo corpo era adatto a vivere tecnicamente.

I criteri distintivi dell’essere umano, secondo Leroi-Gourhan, sono tre e sono profondamente interdipendenti: la faccia corta, le mani libere e la stazione eretta. L’assenza di un muso allungato, dotato di canini offensivi, impone l’uso di organi artificiali e delega alla mano le operazioni che in altre specie sono riservate alla bocca; la mano, non occupata dalla locomozione, può dedicarsi a tempo pieno ad attività che i primati possono compiere solo da seduti o comunque per poco tempo. Tutto ciò è possibile solo dal momento in cui la stazione eretta è stata assunta in modo stabile: «eravamo disposti ad ammettere qualsiasi cosa, ma non di essere stati

65 V. Flusser, «Le geste de parler», in Id., Les gestes, cit., p. 55, trad. mia. 66 A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, cit., p. 126.

cominciati dai piedi»67. La posizione eretta rende le mani libere di compiere operazioni tecniche (permette di gesticolare) e queste rendono la bocca libera dal compito della prensione: rendono la bocca libera di parlare. Le mani libere

permettono di compiere operazioni tecniche, la faccia corta e inoffensiva richiede

che le mani compiano queste operazioni. La bocca libera permette la vocalizzazione, lo sviluppo di complesse operazioni tecniche che necessitano della collaborazione di più individui, impedendo la comunicazione gestuale mentre le mani sono occupate,

richiede l’uso della voce per la comunicazione: «esiste la possibilità di un linguaggio

a partire dal momento in cui la preistoria ci tramanda degli utensili, perché utensile e linguaggio sono collegati neurologicamente e perché l’uno non è dissociabile dall’altro nella struttura sociale dell’umanità»68. Il gesto e la parola sorgono insieme,

condizionano e informano il corpo e insieme dipendono dalla sua evoluzione. L’essere umano è tale perché ha piedi, mani e bocca.

Può stupire il fatto che l’importanza del volume del cervello intervenga solo in seguito. In realtà, è difficile dare la preminenza a questo o a quel carattere, perché nell’evoluzione delle specie tutto è collegato; mi sembra però certo che lo sviluppo cerebrale sia in qualche modo un criterio secondario69.

Leggendo Leroi-Gourhan nel contesto di una ricerca su una “teologia dei media”, non si può trascurare un dettaglio particolarmente rilevante: in esergo a Il gesto e la

parola, e poi all’interno del testo, sono presenti due citazioni dal Trattato della creazione dell’uomo di Gregorio di Nissa. Vale la pena riportarne una:

Tuttavia la natura ha aggiunto le mani al nostro corpo prima di tutto per il linguaggio. Se l’uomo ne fosse sprovvisto, le parti del viso sarebbero state formate in lui, come quelle dei quadrupedi, per consentigli di nutrirsi: il suo viso avrebbe una forma allungata, assottigliata nella regione delle narici, con labbra prominenti, callose, dure e spesse adatte a strappare l’erba; ci sarebbe tra i denti una lingua completamente diversa da quella che c’è, carnosa, resistente e ruvida, per impastare insieme ai denti gli alimenti; sarebbe umida, in grado di far passare il cibo sui lati, come quella dei cani o degli altri carnivori, che lo fanno scivolare tra gli interstizi dei denti. Se il corpo non avesse le mani, in che modo si formerebbe in lui la voce articolata? Le parti che circondano la bocca non sarebbero conformi ai bisogni del linguaggio.

67 Ivi, p. 78. 68 Ivi, p. 136. 69 Ivi, p. 26.

L’uomo, in tal caso, sarebbe costretto a belare, a lanciare gridi, ad abbaiare, a nitrire, a muggire come i buoi o ragliare come gli asini o a far sentire degli ululi come le bestie selvagge70.

La straordinaria somiglianza tra le intuizioni del Padre della chiesa e le teorie di Leroi-Gourhan, supportate dall’analisi dei dati offerti dalla paleontologia, serve a quest’ultimo come prova dell’evidenza delle tesi esposte, ma a noi interessa per un’altra ragione. La grandezza di un testo come Il gesto e la parola non sta solo nel suo valore scientifico, ma anche nella prospettiva filosofica alla luce della quale i dati sono interpretati e questa prospettiva è in sintonia con quella di Gregorio di Nissa. Non è un caso che proprio il pensatore cristiano che, tra i primi in modo così deciso, ha difeso le immagini come fondamentale strumento di comunicazione, abbia concepito il corpo umano come condizione per una delle attività più alte – il linguaggio – e non come un fardello di cui liberarsi. Ancora una volta sembra che aver pensato l’incarnazione abbia aperto la strada non solo allo sviluppo della moderna cultura dell’immagine, ma anche alla possibilità di pensare il progresso (persino biologico) dell’essere umano.

Per quanto possiamo spingerci all’indietro non sembra possibile giungere a uno stadio originale di immediatezza: l’essere umano è già da sempre mediato – nel proprio corpo, nei propri gesti – e, soprattutto, è già da sempre esternalizzato. L’intero processo a cui Leroi-Gourhan fa riferimento come «liberazione della mano» è retto dalla possibilità che le mani compiano operazioni tecniche e cioè che utilizzino e che fabbrichino strumenti. Nemmeno dell’Australantropo, una tra le specie umane più antiche, si può dire che abbia “inventato” gli utensili: li possedeva come si possiedono degli artigli, «come se fossero filtrati a poco a poco attraverso il suo cervello e il suo corpo»71. «L’utensile è in qualche modo “trasudato” dall’uomo nel corso della sua evoluzione» 72 . Lo sviluppo della mano come organo

esternalizzante, atto a delegare agli strumenti operazioni per le quali gli altri animali sono forniti di un organo specifico, è frutto del condizionamento reciproco avvenuto

70 Gregorio di Nissa, Trattato della creazione dell’uomo, citato in A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la

parola, cit., pp. 43-44.

71 A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, cit., p. 126. 72 Ivi, p. 283.

tra questa e lo sviluppo di un cervello che si è «super-specializzato nella generalizzazione»73.

Con l’incremento dei processi di esternalizzazione si può notare un altro fenomeno fondamentale: lo sviluppo delle capacità operative della mano segue sempre meno l’evoluzione fisiologica dell’organo, il cui sistema osteomuscolare non differisce radicalmente da quello delle scimmie superiori, e sempre più lo sviluppo tecnologico, a cui corrisponde una parallela evoluzione dell’apparato nervoso74. In

altri termini l’evoluzione del pensiero, oltre una certa soglia, non segue più l’evoluzione del corpo, ma quella del corpo supplente, il medium tecnico. Lo sviluppo di certe tecnologie fondamentali deve essere visto «come un fenomeno biologico, una maturazione dell’organismo esterno che si sostituisce nell’uomo al corpo fisiologico»75.

Nel manoscritto dell’intervento di Bernardo Bagolini, tradotto da Flusser in occasione del convegno tenuto a São Paulo nel febbraio del 1987, si afferma che Leroi-Gourhan ha «magistralmente» evidenziato le strette connessioni tra «evoluzione psicofisica umana, tecnologia, organizzazione sociale e linguaggio»76 e soprattutto che tra i più validi supporti conoscitivi a nostra disposizione si trova il nucleo litico (la pietra scheggiata). Per studiare lo sviluppo cognitivo dei primi esseri umani basta analizzare i loro strumenti: su questi si trovano le tracce dei gesti compiuti per produrli e, a sua volta, la raffinatezza e complessità del gesto corrisponde a un relativo grado di capacità cognitive. «Lo strumento litico con la sua tecnologia può essere anche inteso come una sorta di “registratore” di processi seguiti dall’intelligenza operativa»77 e di conseguenza «la progressione ciottolo

scheggiato / chopper / chopping tool implica una progressione della gestualità e dell’intelligenza operativa “registrate” sul manufatto»78. I ciottoli più antichi ci

indicano che il tipo di pietra non veniva selezionato, il gesto era unidirezionale, il coordinamento delle mani era raro o assente: la pratica era talmente poco efficiente che serviva più di un chilo di pietra per riuscire a ottenere una lama di pochi

73 Ivi, p. 141. 74 Ivi, p. 282. 75 Ivi, p. 290.

76 B. Bagolini, «Significati dello studio delle tecnologie litiche preistoriche», Flusser Archiv, p. 10. 77 Ivi, p. 4.

centimetri. I chopping tool più recenti, invece, portano i segni di operazioni complesse e raffinate, che richiedevano la scelta del materiale più adatto, un gesto di rotazione della mano-supporto, multidirezionalità e bifaccialità del gesto di percussione, astrazione progettuale, costante controllo visivo del processo di scheggiatura, permettendo di raggiungere un livello di efficienza tale da ottenere 100m di lama per ogni chilo di pietra.

In «Geste et sentimentalité» si ritrova un elemento centrale delle tesi in seguito esposte da Bagolini: secondo Flusser i prodotti materiali dell’essere umano, in particolare le opere d’arte, possono essere considerate «come un gesto congelato»79.

È il gesto stesso a essere reificato, esternalizzato o, come afferma spesso Flusser,

pubblicato in un oggetto che sopravvive a chi lo ha prodotto e che può fungere, oltre

che da strumento, da supporto di una memoria che viene condivisa e resa accessibile dalla collettività80. Lo studio dei gesti ci conduce, così, alla storia e alla teoria della tecnica.

79 V. Flusser, «Geste et sentimentalité», cit., p. 256. Secondo una ricerca congiunta dello storico

dell’arte David Freedberg e del neurologo Vittorio Gallese, che in un testo recente cita Flusser (V. Gallese e M. Guerra, Lo schermo empatico, Raffaello Cortina, Milano 2015), in molte opere d’arte sono evidentemente presenti le tracce fisiche del gesto dell’artista (si pensi alle opere di Pollock o di Fontana), al punto da far attivare nel fruitore le stesse aree del cervello che si attiverebbero osservando il gesto dal vivo o compiendo quel gesto egli stesso (D. Freedberg e V. Gallese, «Movimento, emozione, empatia», in A. Pinotti e A. Somaini (a cura di), Teorie dell’immagine, Raffaello Cortina, Milano 2009, pp. 331-351).

80 V. Flusser, Kommunikologie weiter denken, cit., p. 42. Cfr. il capitolo «Elogio della reificazione» in

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