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Né adorare né distruggere

5.1 Le immagini cristiane

Come spesso succede, una teoria dell’immagine cristiana nasce solo molto tempo dopo l’affermarsi di una pratica iconografica in ambito cristiano. Secondo Hans Belting bisogna aspettare la crisi iconoclasta dell’VIII secolo per assistere a una vera e propria discussione pubblica sulle immagini, nonostante i dipinti catacombali più antichi scoperti finora risalgano alla prima metà del III secolo. Gli studiosi hanno a lungo dibattuto sulle ragioni di questo doppio ritardo: perché i cristiani hanno cominciato a farsi immagini solo due secoli dopo l’inizio della diffusione del vangelo? E perché questa pratica non è stata da subito accompagnata da una giustificazione teorica? Si può davvero parlare di immagini cristiane o si deve dire che alcuni cristiani, trasgredendo il secondo comandamento, hanno cominciato a farsi immagini, subendo la cultura ellenistico-romana sotto la quale vivevano? E se si può parlare di immagini cristiane queste nascono a Bisanzio nel V-VI secolo o già nelle catacombe romane quasi tre secoli prima?

Parlare di un’arte nata eretica, come fa E. Renan1, significa non tenere conto della

fondamentale elaborazione teorica che hanno compiuto i cristiani dei primi secoli nei confronti del rapporto con l’Antico Testamento e la Legge2. Questa non viene

trasgredita, ma superata: la lettera è trascesa perché se ne possa compiere lo spirito. Le eresie hanno semmai rallentato il pieno affermarsi di quel principio agapico sostenuto da Paolo per il quale nulla è impuro per chi è puro. Il ritardo nella nascita di un’iconografia cristiana è interpretabile come il lento smaltimento di quei residui di pensiero sacrificale (che oppone ciò che è puro a ciò che è impuro in sé), per usare un’espressione di Girard, presenti sia nel legalismo dei giudeocristiani, sia nell’ascetismo degli gnostici. Si potrebbe parlare di un tempo d’incubazione del

1 E. Renan, Histoire des origines du christianisme, vol. 7, C. Levy Ed., Paris 1885, pp. 540-546. 2 Si veda a riguardo la prefazione di D. Guastini a Id. (a cura di), Genealogia dell’immagine cristiana,

messaggio cristiano, nella sua versione paolina, che ha avuto bisogno di un confronto con le eresie dei primi secoli per reagire ed emanciparsi da esse. Tertulliano scrive il suo elogio della carne in reazione al docetismo rigorista di Marcione, Agostino elabora la sua teoria della lettura figurale della Bibbia in reazione al dualismo manicheo.

Secondo André Grabar3, vicino in questo a Ernst Kantorowicz, una vera e propria arte cristiana nasce solo a Bisanzio dove si assisterebbe a una conciliazione della cultura cristiana con quella ellenistica. Si assiste effettivamente a un nuovo modo di fare immagini, che abbandona definitivamente la mimesis classica, ma ciò avverrebbe in continuità con la cultura dell’epoca: negli schemi compositivi delle immagini cristiane è possibile ritrovare alcune delle indicazioni contenute nell’opera di Plotino, il quale riteneva che il sensibile andasse superato ricercando in esso le forme belle che permettono di risalire all’intellegibile. Ogni cosa dev’essere rappresentata trascendendo per quanto è possibile i punti di vista, soggettivi e contingenti: i colori devono essere vividi, la prospettiva assente4. Ciò che conta è la cosa in sé e non un particolare sguardo su di essa. Ma la continuità si troverebbe anche sul piano simbolico: le immagini di Cristo avrebbero preso il posto di quelle degli imperatori, mantenendo simili funzioni di strumenti di potere e oggetti di culto.

Thomas Mathews5, un altro importante studioso dell’arte paleocristiana, si oppone nettamente a Grabar e ad altri sostenitori di quella che egli chiama «mistica imperiale». Anche nei casi in cui l’iconografia cristiana sembra riprendere i simboli del potere ellenistico, ne stravolgerebbe il senso, opponendo frontalmente la marzialità dell’impero alla grazia amorevole di Gesù Cristo. Nella prima arte cristiana si riconoscerebbe quindi, secondo Mathews, uno «scontro di dei».

Recentemente studiosi come Bettetini6 e Guastini7 hanno tentato di superare tanto la posizione della mistica imperiale, quanto la teoria di uno scontro di dei: entrambe le posizioni colgono aspetti sostanziali, ma rischiano di restare legati a categorie

3 A. Grabar, Le origini dell’estetica medievale, Jaca Book, Milano 2001; vedi a proposito P. Del

Soldà, «Verso Bisanzio», in D. Guastini (a cura di), Da Paolo a Paolo, Nuova Secondaria, n. 6, 2017, pp. 46-51.

4 Si parla in realtà di prospettiva rovesciata, quando le cose più lontane sono più grandi di quelle

vicine, e di prospettiva radiante, quando l’oggetto principale è al centro e il resto è disposto attorno a esso.

5 T. Mathews, Scontro di dei. Una reinterpretazione dell'arte paleocristiana, Jaca Book, Milano 2005. 6 M. Bettetini, Contro le immagini, cit., pp. 70-71.

eccessivamente semplificate di appropriazione e contrapposizione. Pietro Del Soldà, che pure riconosce a Mathews il merito di aver colto meglio di Grabar la novità cristiana – che consisterebbe in un superamento (katargesis), più che in una ripresa, dei valori ellenistici –, è convinto che lo studioso americano sbagli a parlare di «scontro»8. Questo termine presuppone un confronto diretto, sullo stesso piano, e fa

pensare a un rifiuto della cultura ellenistica che invece viene accolta e, proprio grazie a questa ricontestualizzazione, superata. Il termine chiave sarebbe quello paolino di

astheneia, debolezza, che si esprime sul piano visivo attraverso «la deliberata

imprecisione e carenza di verosimiglianza delle prime immagini cristiane»9.

5.2 Oikonomia

Esiste un altro termine fondamentale per capire la nascente cultura cristiana delle immagini. Un concetto particolarmente rilevante anche per spiegare i tempi e le modalità della sua comparsa e le sue progressive trasformazioni. Si tratta dell’oikonomia, a cui Marie-José Mondzain dedica un importante studio semantico nella prima parte del suo libro sull’iconografia bizantina10.

Nelle più dotte traduzioni, il vocabolo economia è tradotto in modo pertinente con diversi termini quali incarnazione, piano, disegno, amministrazione, provvidenza, incarico, ufficio, accomodamento, menzogna o astuzia, senza che il lettore sia avvertito del ricorrere dello stesso vocabolo greco – oikonomia – in ogni caso11.

Secondo Mondzain l’economia è fondamentalmente una «scienza degli effetti»12 e

in questo senso presenta delle analogie con la retorica, quell’arma di cui, secondo Agostino, i cristiani dovrebbero appropriarsi. Oikonomia è un termine che compare in epoca relativamente tarda, dal momento che sembra avere la sua prima occorrenza

8 P. Del Soldà, «Verso Bisanzio», cit., pp. 50-51. 9 Ivi, p. 51.

10 M.-J. Mondzain, Immagine, icona, economia. Le origini bizantine dell’immaginario

contemporaneo, Jaca Book, Milano 2006.

11 Ivi, p. 29. 12 Ivi, p. 28.

in Senofonte. Aristotele dedica al concetto un trattato13, ma soprattutto il primo libro della Politica14. Per economia si intende l’arte dell’amministrazione della casa (oikos) e del rispettivo patrimonio. Il termine ha già da subito un’estensione semantica abbastanza ampia: da un lato indica la gestione della vita domestica, quindi anche la cura quotidiana della salute e dei corpi15, dall’altro può essere usato

per riferirsi alla gestione di una fortuna privata e in questo senso si può intendere come amministrazione finanziaria anche di una grande impresa o di uno Stato. Il proposito di un buon economo è quello di amministrare il patrimonio che ha in gestione in modo da ottimizzarne gli utili, sia quantitativamente (incrementando le ricchezze – e in questo caso si parla di crematistica), sia qualitativamente (incrementando il benessere).

L’amministratore deve sempre tenere presente quale sia il bene verso cui mirare, ma questo non basta: deve saper calcolare qual è il bene maggiore concretamente raggiungibile e regolare le proprie azioni di conseguenza, scegliendo i modi e i tempi più opportuni. L’oikonomia, scrive Mondzain, «ha in certo qual modo a che vedere con la filosofia»16, in quanto ha l’utile e il buono come principi regolativi, ma allo stesso tempo richiede anche che si tenga conto dello stato delle cose e del suo avanzare. L’economo ha in gestione delle risorse ed elabora un piano, una strategia, per ottimizzarne i benefici in un certo tempo. «L’economia presuppone sempre la considerazione dei fini»17, ma tra i suoi obiettivi è inclusa la buona gestione dei mezzi. L’amministratore non è paragonabile per Aristotele al governatore (politikos) di un piccolo Stato, così come l’uomo di Stato non può essere considerato come l’amministratore di una grande casa: la loro differenza è di specie18. L’economia ha

13 Aristotele, Trattato sull’economia, in Opere, vol. 9, Laterza, Roma-Bari 2004.

14 La Politica è l’unica opera di Aristotele che faceva parte della Reisebibliothek di Flusser.

15 «L’economia è quel metodo che apporta ai corpi i mezzi, affinché non soffrano (muoiano)», scrive

Flusser, ispirandosi probabilmente a Vita Activa di Hannah Arendt. V. Flusser, Immagini, cit., p. 201. E più avanti: «Finché avremo il corpo, la sofferenza (e, con essa, l’economia) formerà la base della società», Id., Immagini, cit., p. 202.

16 M.-J. Mondzain, Immagine, icona, economia, cit., p. 35. 17 Ivi, p. 37.

18 Aristotele, Politica, I (A), 1, 1252a. Esiste tuttavia una oikonomia politica, che consiste nella

gestione del demanio pubblico e delle entrate fiscali. Artistotele, Trattato sull’economia, II (B), 1, 1346a.

sempre una certa connotazione servile: l’amministratore è in funzione dell’oikos, è in qualche modo un funzionario19.

In Paolo il termine compare nella prima Lettera ai Corinzi20, dove indica l’incarico di predicare il vangelo affidatogli da Dio e mantiene un’accezione servile: l’apostolo non vuole una ricompensa per ciò che fa, perché il suo è un compito e non un vanto. Subito dopo segue il famoso passo sul farsi tutto a tutti: «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero»21. Alla luce di quanto detto prima, questo passo si rivela come la

spiegazione della strategia attraverso cui Paolo amministra il proprio incarico: è per economia, in vista del maggior bene ottenibile, e non per simulazione, che Paolo si fa giudeo coi giudei, greco coi greci e debole coi deboli. Mondzain parla di pluralità dei mezzi nell’unità dei fini e si potrebbe aggiungere che l’economo è libero nella scelta dei mezzi, mentre è servo di un fine.

Il vocabolo oikonomia ricorre anche nelle lettere ai Colossesi, agli Efesini e nella prima a Timoteo, considerate di dubbia autenticità da molti studiosi, ma senz’altro interessanti per la profonda eco che hanno avuto sul pensiero cristiano. Nelle ultime due avviene un passaggio fondamentale: l’economia non è più attribuita all’uomo, ma a Dio stesso. È Egli ad attuare un piano, un disegno (oikonomia), che si concluderà con la pienezza dei tempi22.

A partire dal II secolo Ireneo, Ippolito e Tertulliano utilizzano il termine per riferirsi al piano redentore di Dio, che ha il suo punto cruciale in un evento storico: l’incarnazione. Ireneo dedica una buona parte della sua opera, Contro le eresie23, a

indagare il carattere progressivo della rivelazione, avvenuta secondo un programma preciso: in questo modo cerca di spiegare perché Dio si sia rivelato prima parzialmente, in figura, nelle vicende narrate nell’Antico Testamento, e solo molto dopo sia apparso nella sua verità – per quanto ancora in una verità umile, debole, spoglia, fatta carne. Solo in futuro, nel Regno dei cieli, sarà possibile vedere Dio

19 «La nozione di funzione è propria dell’economia e non già quella di governo», M.-J. Mondzain,

Immagine, icona, economia, cit., p. 85.

20 1 Cor 9, 17. 21 1 Cor 9, 19.

22 Ef 1, 10. Vedi anche Ef 3, 9 e 1 Tm 1, 4.

23 Ireneo, Contro le eresie, Jaca Book, Milano 1979. In quest’opera, scritta in greco ma pervenutaci in

padre faccia a faccia, nella sua gloria. Ma perché Dio non si è rivelato da subito pienamente? Che bisogno c’era di tutta questa economia?

Dio poteva dare all’uomo la perfezione fin dal principio, ma l’uomo non sarebbe stato capace di riceverla, perché era infante. Per questo anche il nostro Signore è venuto a noi negli ultimi tempi, per ricapitolare in se stesso tutte le cose, non come poteva lui, ma come noi potevamo vederlo. Egli, infatti poteva venire a noi nella sua gloria inesprimibile, ma noi non potevamo ancora portare la grandezza della sua gloria24.

Gesù Cristo – pur essendo di natura divina – ci si è rivelato in forma di servo (en

morphe doulou), scrive Paolo25, e perciò l’accezione servile che il concetto di

economia porta con sé è qui non solo conservata, ma esaltata. Dio si è ridotto alla visibilità, come un funzionario al servizio del suo stesso progetto salvifico. Lo stesso viene detto anche del vangelo, da parte di Origene, che scrive: «Non è solamente semplice, come pensano taluni, il testo del Vangelo, ma ai semplici è stato presentato per economia come semplice»26.

L’incarnazione – non solo la rivelazione di Cristo, ma proprio il suo essersi fatto carne – è a tal punto centrale nel piano divino che il termine economia comincia ad essere utilizzato per riferirsi alla stessa carne di Cristo. Sempre Ireneo scrive: «Vani sono in ogni modo quanti rifiutano tutta l’economia di Dio, negano la salvezza della carne e disprezzano la sua rigenerazione»27. Qui per economia si intende il fatto stesso che Dio si sia fatto un corpo materiale, redimendo così la nostra stessa carne, facendo sì che niente sia più impuro in se stesso: «la carne è capace di ricevere e di contenere la potenza di Dio»28. Le occorrenze del termine con questa accezione si fanno così diffuse che secoli dopo con il termine oikonomia si potrà indicare, anche per via del suo originale senso di “organizzazione” e al suo legame con la nuda vita, l’apparato fisiologico interno di qualsiasi essere vivente29.

24 Ireneo, Contro le eresie, III 38, 1. 25 Fil 2, 6-7.

26 Origene, Commento sul Vangelo secondo Matteo, Città nuova, Roma 1999, X 1, 34-36. 27 Ireneo, Contro le eresie, V 2, 2.

28 Ivi, V 3, 2.

29 «Egli è nudo, le ossa stritolate, le parti del corpo spezzate, così che si può vedere l’economia della

sua natura umana», Giovanni Damasceno, PG, 1309 A, tr. it. in M.-J. Mondzain, Immagine, icona,

Un ulteriore sviluppo del concetto si trova, soprattutto in Ippolito e Tertulliano, con la riflessione sulla trinità e la pluralità delle persone nell’unità divina. In un trattato contro l’eresia di Noeto, Ippolito scrive: «in ciò che concerne la potenza, non v’è se non un solo Dio, ma in ciò che dipende dall’economia, triplice è la manifestazione»30. Tertulliano, il primo a scrivere in latino, si scontra con il

problema della traduzione: mantiene spesso il vocabolo greco traslitterato, a cui accompagna però la coppia di termini dispositio e dispensatio. Con il primo si intende l’organizzazione interna delle tre persone nella sostanza divina, mentre con il secondo, che traduce più propriamente l’economia, Tertulliano si riferisce allo svelamento storico del piano divino e quindi anche alla manifestazione delle tre persone nei tempi e modi più adeguati. Nel Contro Prassea, dove Tertulliano elabora la dottrina trinitaria, si legge: «Quanto a noi, da sempre, e ancor più ora che siamo meglio istruiti dal Paraclito, che porta all’intera verità, crediamo sicuramente che Dio è unico ma con un modo di dispensazione che chiamiamo economia»31. Agamben, che ha dedicato al problema dell’oikonomia un’importante opera, Il regno e la

gloria, propone in un altro breve saggio che il concetto moderno di dispositivo

potrebbe avere le sue origini proprio nella dispositio di Tertulliano32.

Il termine oikonomia, oltre a indicare il piano redentore di Dio, l’economia della carne e il dispositivo trinitario, torna a essere usato in modo simile a come lo si impiega nella lettera ai Corinzi: è l’uomo che in certe circostanze deve fare uso di economia. Mondzain ne parla come di una capacità di adattamento o di accomodamento. All’epoca in cui l’imperatore Valente si converte all’arianesimo, Basilio teme di attirarsi le sue ire affermando la consustanzialità dello Spirito alle altre due persone, ma allo stesso tempo non vuole negarla, perché significherebbe

30 Ippolito, Contro Noeto, EDB, Bologna 2000, 8, 816b.

31 Tertulliano, Contro Prassea, SEI, Torino 1985, II, 229, 1-5, 156b, 15.

32 G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006. Il concetto di dispositivo,

senz’altro centrale per la teoria dei nuovi media, occupa un campo semantico molto ampio, finendo spesso per sovrapporsi ad altri concetti, come quello di apparecchio o di apparato. L’edizione inglese del saggio di Agamben è infatti intitolata What is an apparatus? Recentemente M. Pasquinelli ha risposto ad Agamben criticando la sua ipotesi e proponendo che l’uso che M. Foucault fa del concetto di dispositivo sia debitore piuttosto del pensiero di G. Canguilhem che non del concetto teologico di

dispositio filtrato da Hegel e da Hyppolite. Vedi M. Pasquinelli, «Che cosa (non) è un dispositivo:

sull’archeologia della norma in Canguilhem, Foucault e Agamben», in D. Gentili e E. Stimilli (a cura di), Differenze Italiane: Politica e filosofia, mappe e sconfinamenti, Derive Approdi, Roma 2015. Al di là delle ipotesi sulle fonti dirette di Foucault, che non ci interessano in questa sede, resta avvincente l’idea che nel moderno concetto di dispositivo, da chiunque sia usato, risuoni un’eco dell’antica

negare la verità e affermare una menzogna del tipo più grave, e decide così di parlare di omotimia, uguaglianza di onore tra le persone. In quest’occasione Atanasio e Gregorio di Nazianzo lodano Basilio proprio per la sua oikonomia. Negli stessi anni Giovanni Crisostomo, nel trattato sul sacerdozio, oppone l’inganno e l’astuzia all’economia: quest’ultima riesce a evitare tanto l’attaccamento cieco alle regole, quanto la loro trasgressione. Non è una menzogna a fin di bene, ma una forma di «saggezza, mezzo capace di trovare delle soluzioni in casi insolubili e di riparare lo sbaglio di un’anima»33. In modo simile, secoli dopo, Teodoro Studita impiega lo

stesso concetto per riferirsi a un atteggiamento strategico molto paolino:

Domanda: come devono comportarsi i cristiani che vivono in mezzo agli eretici e devono salvaguardarvi il loro desiderio di perfezione? Risposta: nessun religioso dividerà il suo pasto con un eretico a meno che non possa fare altrimenti; allora adotta un atteggiamento economico34.

Molti studiosi sono convinti che lo spettro semantico del termine oikonomia sia tanto ampio da rendere impossibile ricondurre le diverse accezioni all’unità: l’accomodamento strategico alle circostanze di Basilio e Crisostomo sarebbe inconciliabile con l’economia trinitaria e il piano redentore di Dio35. Per Mondzain

invece è solo l’imbarazzo concettuale di chi non riesce a pensare fino in fondo un Dio che si è fatto servo, a non permettere di riconoscere tanto nell’economia divina quanto in quella umana lo stesso calcolo degli effetti in base alla considerazione dei fini. Il pensiero cristiano si è così appropriato di un atteggiamento strategico che tiene in conto il tempo, il contesto e le conseguenze di ogni azione. Dio, invisibile e inimmaginabile, si è circoscritto e ora, a certe condizioni, se ne può fare immagine.