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Platone e l’eidolopoiesis

Cosa mai intendiamo con il termine eidolon?

2.2 Platone e l’eidolopoiesis

5 «Caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini,

distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture», Nm 33, 52.

6 «Làbano era andato a tosare il gregge e Rachele rubò gli idoli che appartenevano al padre», Gn 31,

19. Forse i Terafim sono identificabili con gli stessi dèi, dal momento che Làbano chiede: «perché mi hai rubato i miei dei?», Gn 31, 30.

7 1 Sam 31, 9; 2 Cr 33, 22; 2 Cr 14, 5.

8 «Devasterò le vostre alture di culto, distruggerò i vostri altari per l'incenso, butterò i vostri cadaveri

sui cadaveri dei vostri idoli e io vi avrò in abominio» Lv 26, 30.

9 «Non rivolgetevi agli idoli, e non fatevi divinità di metallo fuso», Lv 19, 4.

10 «Mi resero geloso con ciò che non è Dio, mi irritarono con i loro idoli vani; io li renderò gelosi con

uno che non è popolo, li irriterò con una nazione stolta», Dt 32, 21.

11 «Esse invitarono il popolo ai sacrifici offerti ai loro dei; il popolo mangiò e si prostrò davanti ai loro

dei», Nm 25, 2.

12 Is 57, 5. 13 2 Cr 17, 3. 14 Ez 16, 16.

Eidolon, dalla radice «(F)eid-» (a cui è legato anche il latino video), è parente di eidos (forma/figura) e rimanda all’ambito della visibilità. Può indicare tanto

un’immagine naturale, come il riflesso su uno stagno, quanto un’immagine artificiale, come un disegno. Nell’Odissea il termine ricorre proprio nella sua accezione più illusoria: Atena «compose un lieve fantasma [eidolon], che sembrava in tutto Iftima»16. Per chiarire alcune delle diverse polarità presenti nel concetto di

eidolon, che lo rendono così complesso e pregnante, bisogna tuttavia rivolgersi a

Platone. Non solo perché nella sua opera si trovano ben sessanta occorrenze del termine e perché, almeno nella Repubblica e nel Sofista, il filosofo gli dedica un’importante riflessione teorica17, ma anche perché è importante cercare di cogliere

le affinità e le divergenze tra la diffidenza platonica nei confronti delle immagini e la lotta contro l’idolatria di tradizione ebraica e cristiana.

Il primo punto da notare è che la diffidenza platonica non è rivolta contro le immagini e a favore di altri sensi, come sembra accadere nella cultura ebraica che privilegia l’ascolto a scapito della visione: è una diffidenza verso la sensibilità in generale e le sue possibilità conoscitive.

Perché la vista è il più acuto dei sensi permessi al nostro corpo; essa però non vede il pensiero. Quali straordinari amori ci procurerebbe se il pensiero potesse assicurati una qualche mai chiara immagine di sé da contemplare! Né può vedere le altre essenze che son degne d’amore18.

Il termine eidolon in Platone non è limitato alla visibilità, ma sembra abbracciare – almeno per analogia – l’intero ambito della rappresentazione, al punto che la stessa

16 Omero, Odissea IV 796, trad. di I. Pindemonte.

17 Bisogna tuttavia guardarsi dall’attribuire a Platone un pensiero sistematico che offra risposte

univoche. Il fatto che egli abbia scelto il dialogo come forma di articolazione del proprio pensiero non è un vezzo stilistico. Ogni conquista teorica è costantemente messa alla prova e radicalmente rielaborata nei diversi dialoghi, che per questo devono essere letti insieme, senza considerare le parole di un personaggio come una formulazione definitiva. Cfr. M. Vegetti, Un paradigma in cielo, Carocci, Roma 2016; H. Jonas, Major Systems of Philosophy, in Kritische Gesamtausgabe der Werke von

Hans Jonas. Philosophische Hauptwerke, Band II/2: Ontologische und wissenschaftliche Revolution,

Rombach, Freiburg-Berlin-Wien 2012, dove tra le altre cose si segnala l’importanza del prefisso “dia- ” (attraverso) nell’opera di Platone, che si ritrova in termini come dialogo, dialettica, dianoia, tipico di un pensiero che va attraversato e riattraversato in molteplici direzioni; P. Del Soldà, Il demone della

politica, Apogeo Education, Milano 2007.

scrittura è descritta nel Fedro come immagine del discorso19. In questo senso può essere considerato un produttore d’immagini chiunque ricorra alla mimesis: il pittore, l’attore, il poeta e persino il sofista.

È proprio nel tentativo di definire la natura di quest’ultimo che, nel dialogo omonimo, si arriva ad affrontare esplicitamente il problema della produzione d’immagini (eidolopoiesis). Ciò che sorprende nei sofisti è la loro capacità di ribattere e contraddire chiunque su qualsiasi tema, quando è evidente che non possono avere competenza su ogni arte e ogni sapere. Una prima ipotesi che emerge dal dialogo tra lo straniero di Elea e Teeteto è che il sofista non conosca davvero tutto ciò di cui parla e che tuttavia appaia competente su tutto, altrimenti non avrebbe successo. Ciò avviene perché la sua unica vera capacità è quella di simulare le competenze altrui e in questo senso produce degli eidola. A questo punto lo straniero si propone di indagare la natura del sofista attraverso «un esempio più chiaro»20 e lo fa con una sorta di indovinello: chi altri afferma di saper produrre tutte le cose con una sola tecnica e per di più vende i suoi prodotti a poco prezzo? L’imitatore (mimetes). In modo simile, nella Repubblica, si descrive l’operare del pittore: colui che appare capace di produrre tutto ciò che i vari artigiani sanno fare, ognuno nel suo campo. E questo vale per qualsiasi produttore di immagini: «Basta che tu voglia prendere uno specchio e farlo girare da ogni lato. Rapidamente farai il sole e gli astri celesti, rapidamente la terra e poi te stesso e gli altri esseri viventi, i mobili, le piante e tutti gli oggetti che si dicevano or ora»21. Con questa descrizione provocatoria risulta ovvio per i dialoganti, tanto della Repubblica quanto del Sofista, che produrre tutte le cose e produrre immagini di tutte le cose non è lo stesso. Bisogna ammettere che anche il pittore, disegnandoli, fa dei letti: tuttavia si tratta di «oggetti apparenti, ma senza effettiva realtà»22.

La sfera della tecnica produttiva (poietike) viene articolata nel Sofista in quattro generi: le cose reali prodotte da un artigiano divino, ossia la natura; le immagini prodotte da un’operazione divina (daimonia mechane), come sogni, ombre, riflessi;

19 Platone, Fedro, 276a.

20 Platone, Sofista, BUR, Milano 2007, 233d. 21 Platone, Repubblica, X, 596d-e.

le cose reali prodotte dall’uomo, come una casa; le immagini prodotte dall’uomo, ad esempio il dipinto di una casa, che è «come un sogno per uomini che sono svegli»23.

In modo simile nella Repubblica si distinguono tre specie di letti. «Uno è quello che è nella natura: potremmo dirlo, credo, creato dal dio. […] Uno poi è quello costruito dal falegname. […] E uno quello foggiato dal pittore»24. Solo il dio è

davvero creatore del letto, perché dà forma a «ciò che è» letto. Il falegname costruisce un oggetto particolare che non ha la stessa consistenza ontologica del letto divino a cui somiglia, perché si allontana di un grado rispetto alla verità dell’idea: può, per esempio, essere migliorato, il che dimostra la sua costitutiva imperfezione. «È, rispetto alla verità, qualcosa di vago»25. Il pittore, che a sua volta non si rivolge all’idea di letto, ma all’oggetto concreto prodotto dal falegname, finisce per essere un imitatore di secondo grado, «artefice della terza generazione di cose a partire dalla natura»26. Flusser commenta questo famoso passo in «Ein neuer Platonismus?»: ogni volta che si informa la materia si deforma l’idea, dal momento che nessun fenomeno corrisponderà perfettamente al proprio eidos («un triangolo disegnato sulla sabbia ha una somma degli angoli interni che non è esattamente di 180° e perciò non è un “vero” triangolo»27).