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Secolarizzazione e antropocentrismo

I presupposti teologici di una teoria dei media

1.2 Secolarizzazione e antropocentrismo

15 Bagolini fa qui riferimento al concetto di simpatia diretta e indiretta elaborato da Hume e Smith, a

cui lo studioso di Bologna ha dedicato un’altra opera posseduta da Flusser, L. Bagolini, La simpatia

nella morale e nel diritto, Giappichelli, Torino 1966.

16 L. Bagolini, Mito, potere e dialogo, cit., p. 67.

17 Nella lettera del 28/05/1974 a Dora Ferreira da Silva, Flusser paragona la teoria del dialogo di

Bagolini con quella dei canali dialogici di Aldo Testa. Quest’ultimo, di cui Flusser non possedeva libri, ma che dimostra di conoscere, è stato professore di Filosofia presso la Sapienza e fondatore della rivista Il Dialogo, promotore di un incontro tra teologia cristiana dell’amore del prossimo e socialismo marxista. Si veda A. Testa, Cristo senza croce e l’uomo in Marx, Cappelli, Bologna 1963.

18 C. Schmitt, «Teologia politica», in Le categorie del ‘politico’, cit., p. 61.

19 V. Ferreira da Silva, «Instrumentos, coisas e cultura», in Id., Transcendência do mundo. Obras

Affermare che nella cultura contemporanea permangono delle tracce di una visione del mondo antica è diverso da dire che la situazione attuale risulta dallo sviluppo naturale e in qualche modo inevitabile della concezione del sacro che è alla sua origine. Questa seconda posizione appare ancora più radicale se si ritiene, come Ferreira da Silva, che la nostra contemporaneità sia caratterizzata da un antropocentrismo che non lascia alcuno spazio al trascendente. «La totalità del reale è rappresentata come semplice materiale utilizzabile. La natura è oggi definita come un mero piano di sfruttamento universale, come schema utilitario-industriale»20. Gli

esseri umani sembrano mossi dall’odio verso la natura, agiscono in base a una «prassi soggettiforme» 21 che riduce ogni alterità a oggetto comprensibile e manipolabile. Ciò che non passa attraverso le griglie del pensiero scientifico e metrico è scartato, il resto è uniformato. Si noti quanto la situazione descritta assomigli alla prima delle tre concezioni di idolatria proposte da Halbertal e Margalit: il peccato modello che porta a fare a meno del divino, agendo secondo una logica della retribuzione.

Dove ha origine l’avvento della fase antropocentrica della storia? Con il cristianesimo e la corrispondente «umanizzazione del divino»22 che a sua volta comporterebbe, secondo Ferreira da Silva, una deificazione dell’uomo. Lì avrebbe inizio quella desacralizzazione delle cose e della natura che le avrebbe portate a non essere che delle risorse, riducendo ciò che più aveva valore per il mondo pagano a «irrealtà e finzione»23.

È in questa luce che dobbiamo comprendere l’affermazione posteriore di San Paolo: “non esiste alcun idolo al mondo”. Il messaggio del Dio vivo trasformerà in idoli di pietra le forme passate del sacro. Intanto percepire gli idoli come idoli era già una conseguenza della trasformazione dell’esperienza religiosa che si andava elaborando24.

Anche Halbertal e Margalit considerano il movimento anti-idolatrico come principio motore del processo di secolarizzazione. Sarebbe possibile intravedere un

20 V. Ferreira da Silva, «Teologia e anti-humanismo», cit., p. 342, trad. mia.

21 V. Ferreira da Silva, «A natureza do simbolismo», in Id., Transcendência do mundo. Obras

completas III, É Realizações, São Paulo 2010, p. 159, trad. mia.

22 V. Ferreira da Silva, «Teologia e anti-humanismo», cit., p. 332, trad. mia. 23 Ivi, p. 335.

filo conduttore che si dipana dalla critica monoteista all’idolatria, attraverso l’«illuminismo religioso»25 di un’élite teologicamente preparata che si rivolge contro

le forme superstiziose del culto popolare, fino alla critica della religione in quanto tale da parte dell’illuminismo laico. La prospettiva qui esposta presenta diversi punti di contatto con quella elaborata da Karl Löwith in Significato e fine della storia, pubblicato nel 1949, quattro anni prima di Teologia e anti-humanismo di Ferreira da Silva. Nelle conclusioni, infatti, si legge:

Paragonato al mondo pagano prima di Cristo, che in tutte le sue manifestazioni era religioso e superstizioso, e perciò ben si prestava agli attacchi degli apologisti cristiani, il nostro mondo moderno è mondano e irreligioso, e tuttavia dipendente dal credo cristiano da cui si è emancipato. […] Anche l’ateismo radicale, che è comunque raro almeno quanto una fede assoluta, è possibile solamente entro la tradizione cristiana: infatti l’intuizione che il mondo è completamente senza Dio e abbandonato da Dio presuppone la fede in un creatore trascendente, che si occupa delle sue creature. […] Infatti, se si rifiuta la fede cristiana in un dio che è distinto radicalmente dal mondo come il creatore dalle sue creature, e tuttavia è la fonte di ogni essere, il mondo diviene allora profano come non poteva mai esserlo per i pagani. Se il cosmo non è né eterno né divino, come era per gli antichi, e neppure contingente, bensì creato, quale è per i cristiani, rimane allora soltanto una cosa: la pura accidentalità della sua mera “esistenza”26.

Al contrario di Halbertal e Margalit, che vedono questo movimento iniziare già con l’Antico Testamento, sia Löwith che Ferreira da Silva attribuiscono al cristianesimo un ruolo essenziale nel processo di secolarizzazione. Entrambi sono consapevoli che la tradizione ebraica manteneva una rigida distinzione tra sacro e profano, svalutando unicamente i culti stranieri, mentre solo il cristianesimo ha inaugurato una fede in un Dio che non abita nei templi.

Ferreira da Silva sembra anticipare molte delle intuizioni di Girard nell’individuare l’aspetto specifico dei vangeli in una dimensione anti-mitica e dissacrante che li distingue tanto dalla tradizione pagana quanto da quella ebraica, e tuttavia considera la dimensione democratica e agapica del cristianesimo all’origine dell’appiattimento antropocentrico contemporaneo. La «trasvalutazione di tutti i

25 M. Halbertal e A. Margalit, Idolatry, cit., p. 112-113.

valori»27 ha ridotto l’eccentricità del divino all’uomo, che ora è egli stesso tempio di Dio. Allo stesso tempo la spinta verticale verso la perfezione, tipica della cultura greca, si trasforma con il cristianesimo in un’espansione orizzontale, tesa a salvare l’imperfetto, mantenendo sin dalla sua origine «un orientamento per così dire democratico»28. Nella sua disperata denuncia dell’appiattimento della società in cui

vive Ferreira da Silva si spinge addirittura ad affermare che «la caritas cristiana è la condizione di possibilità della meccanizzazione universale»29.

In uno dei testi dedicati al confronto con il suo “maestro”, scritto appena dopo la sua morte, Flusser presenta le tesi esposte finora ponendo l’accento sul concetto di

progetto. La storia consisterebbe in un progettarsi a partire dalla prossimità con il

sacro in direzione del profano, dall’età dell’oro a quella della cenere. Questo processo viene definito una «esplicitazione progressiva di potenzialità contenute nell’apparizione originale del sacro»30. Tutte le fasi della storia sono prefigurate in

quella ierofania originale. Man mano che queste potenzialità vanno realizzandosi, il progetto si esaurisce, fino al momento in cui tutto è effettivo e nulla è più possibile. La nostra epoca sarebbe prossima a questo tempo della fine (Endzeit), a questo mondo perfetto (compiuto). Nel momento in cui il soggetto avrà eliminato ogni mistero e ridotto il mondo a suo strumento docile, «la vita perderà ogni sapore, perché non ci sarà avventura, tutto sarà pianificato. L’elemento festivo, che caratterizza la prossimità dell’essere al sacro, sarà stato eliminato»31.

L’impegno di Ferreira da Silva è tutto mirato a lottare contro questo progetto, «è una ricerca disperata di un’apertura per la quale sarebbe possibile evadere dal progetto ed evitare il paradiso»32. Ma in che modo? È oramai chiaro che non è possibile sperare di potersi reimmergere nella grecità arcaica o nelle comunità autoctone precoloniali. Non è possibile spogliarsi dei propri preconcetti occidentali, attraversare una zona neutra e riscoprirsi primitivi. «Inesorabilmente, come tutti noi, Ferreira da Silva è condannato a essere occidentale, a essere cristiano, e lo sa»33. Ci

si può semmai dedicare a trattenere quei frammenti di mito ancora superstiti, che

27 V. Ferreira da Silva, «Teologia e anti-humanismo», cit., p. 338, trad. mia. 28 Ibid.

29 Ivi, p. 343.

30 V. Flusser, «O projeto», in Id., Da religiosidade, cit., p. 118, trad. mia. 31 Ivi, p. 123, trad. mia.

32 Ibid. 33 Ivi, p. 125.

fanno da antidoto al dominante e grigio antropocentrismo (Flusser fa gli esempi del carnevale e dei rituali afro-brasiliani come il candomblé, Ferreira da Silva pensa piuttosto alla letteratura neo-pagana di D. H. Lawrence). Tuttavia, le conseguenze di questo pensiero portano a una visione del mondo anti-intellettuale, pessimista e conservatrice particolarmente pericolosa.

Secondo Flusser la qualità del pensiero ferreiriano sta nella sua analisi, nelle sue riflessioni sulla secolarizzazione, e non nei rimedi che propone. Le sue conclusioni vanno rifiutate per precise ragioni teoriche. Accecato dal proprio pessimismo, non è in grado di vedere le opportunità che anche in questo presente apparentemente critico sono presenti. In primo luogo si può notare una contraddizione: se tutte le ierofanie autentiche producono un’apertura di senso, anche il progetto cristiano, sebbene desacralizzante, dev’essere sensato34. Solo se si assume surrettiziamente il concetto

precristiano di sacro come valore, il mito alla base della cultura occidentale può essere considerato inautentico. Così come si deve fare attenzione a non considerare inferiori le altre culture in base a valori stabiliti solo all’interno della nostra, allo stesso modo non si può cadere nell’errore inverso. Nonostante Ferreira da Silva affermi che a ogni comunità storica appartiene il suo proprio mito fondatore, in alcuni casi sembra contrapporre la modernità laica occidentale a un generico mito trasversale a tutte le culture. Non cerca di recuperare l’originale ierofania cristiana – che sa essere responsabile del processo di secolarizzazione – ma tracce di mitologia pagana (greca, germanica o africana) disseminate nella nostra cultura. Di fatto contrappone, in modo tutt’altro che storico, un originario pensiero simbolico a un pensiero razionale e negativo, caratterizzato da una prassi soggettiforme che riduce la natura a oggetto. Tuttavia, obietta Flusser, il modo di pensare secondo soggetto e oggetto non è proprio solo della cultura occidentale contemporanea, ma dipende dalla struttura stessa delle lingue flessive35. Non ci sono forse esempi di pensiero

negativo già prima del cristianesimo? Si può quindi pensare che le attuali tendenze livellanti e anestetizzanti siano una deformazione della cultura occidentale e non il suo unico modo di darsi. «Vicente Ferreira da Silva auspica, se lo comprendo bene,

34 Ivi, p. 126.

35 V. Flusser, Língua e realidade, Annablume, São Paulo 2007; Id., A dúvida, Annablume, São Paulo

la riconquista della visione simbolica delle cose»36, che è esattamente quella che il cristianesimo, nella sua linea carolina, ha tentato di superare come idolatrica. «Auspica qualcosa di irrealizzabile e impensabile»: «trovare una scorciatoia per la realtà» 37 , riducendo la nostra estraniazione e recuperando una connessione immediata con la natura.

L’anti-intellettualismo di gran parte della filosofia attuale è un errore e un pericolo. È un errore, perché confonde la fede nell’intelletto (giustamente abbandonata) con l’inquadramento dell’intelletto nella ricerca della fede in una nuova realtà. Ed è un pericolo, perché propaga e approfondisce il nichilismo che intende combattere38.

Perché, aggiunge Flusser, pensare che questo progetto sia in via di esaurimento39? L’esperienza, tutta intellettuale, della sterilità dell’intelletto non dovrebbe portarci ad abbandonarne i frutti (la scienza e la tecnica), ma semmai a trovare loro una nuova funzione, imparando a usarli meglio. L’idea che la crisi attuale indichi l’approssimarsi della fine, e non semplicemente della fine di un’epoca, di un punto di svolta, come crede Flusser, non è forse un preconcetto dovuto a una certa visione apocalittica della storia? Che la nostra cultura si esaurisca nella scienza e nella tecnica è possibile, ma non necessario: è vero che queste, prese di per sé, possono comportare una chiusura del pensiero intellettuale su se stesso, «ma alleate a tendenze nuove rappresenteranno, forse, […] eccellenti travi di supporto per nuovi sviluppi»40. In generale è opportuno cercare di evitare di cadere nella tentazione di

parlare della cultura occidentale come fosse un blocco monolitico. Questa va piuttosto intesa come una «condizione ambientale»41, secondo l’espressione di Bagolini, all’interno della quale si intrecciano tendenze e prospettive diverse, spesso addirittura opposte, nonostante riconducibili a un quadro comune.

Si potrebbe aggiungere poi che il termine profanazione, così spesso usato da Ferreira da Silva, non è adatto a descrivere il processo inaugurato dal cristianesimo. Sebbene si possa parlare con Girard di una desacralizzazione, o con Flusser di un

36 V. Flusser, A dúvida, cit., p. 67. 37 Ivi, p. 68.

38 Ivi, p. 32.

39 V. Flusser, «O projeto», cit., p. 130. 40 Ibid.

anti-mito, il termine “profanazione” implica una trasgressione che viola la legge, ma

– pur nell’eccezione – la mantiene valida. Si può profanare solo ciò che ancora si crede sacro. Il cristianesimo, invece, come abbiamo visto, mette in atto un superamento (katargesis) del dispositivo sacrale, lo disattiva, ne sospende la validità senza violarlo. È solo dal punto di vista di una logica della discriminazione che si può accusare il cristianesimo – e con lui la modernità occidentale – di profanazione: in questo consiste il pericolo di «un’interpretazione filo-fascista»42 del suo pensiero,

da cui Flusser mette in guardia il lettore.

Anche Bagolini ha un rapporto complesso con Ferreira da Silva e, oltre agli elogi, non gli risparmia critiche: «la realtà del messaggio cristiano non è riducibile nei limiti esclusivi di un principio antropocentrico e subiettivistico»43. Il filosofo brasiliano è convincente nel ricondurre i diversi aspetti livellanti della vita contemporanea al comun denominatore dell’antropocentrismo, ma se anche si può riconoscere che la società tecnocratica poteva nascere solo nell’occidente cristiano, questo non significa che da quello stesso terreno culturale non potrebbe nascere un’altra società. La ragione di quest’errore di prospettiva non sta tanto nell’analisi della cultura contemporanea, quanto in un fraintendimento dei suoi presupposti teologici: «La tesi di Ferreira da Silva implica una sottovalutazione dell’elemento escatologico nel cristianesimo»44, che è «irriducibile nei termini di una antropologia storicistica»45.

Qui Bagolini sembra riprendere le fondamentali riflessioni di Löwith a proposito del rapporto tra la modernità e il cristianesimo. L’odierna cultura del progresso poteva nascere soltanto nell’alveo di quest’ultimo, ma ciò non significa che le due prospettive non possano essere profondamente distinte.

Per quanto il paganesimo antico si distingua dal cristianesimo, essi concordavano tuttavia nella profonda venerazione del destino ovvero della provvidenza, e nella volontà di sottomissione ad essi. La moderna fede secolare nella progressiva possibilità di dominare il mondo sarebbe apparsa una bestemmia a entrambi46.

42 V. Flusser, «Resenha», in Id., Da religiosidade, cit., p. 144, trad. mia.

43 L. Bagolini, «Antropocentrismo e cristianesimo: note sulla prospettiva di Vicente Ferreira da

Silva», in Mito, potere e dialogo, cit., p. 134.

44 Ivi, p. 135. 45 Ibid.

La fiducia nel progresso sostituisce la fede nella provvidenza, ma mentre quest’ultima è fondata sulla fede in Dio, la prima è senza fondamento. L’idea di un avanzamento dal vecchio al nuovo, di un carattere progressivo della rivelazione che ci permette di vedere prima solo parzialmente, come in uno specchio, e solo in futuro

faccia a faccia, si è mantenuta nella concezione lineare del tempo che caratterizza la

modernità occidentale, ma ha perso la speranza di giungere a un compimento. Non è più la concreta speranza nel regno dei cieli a dare senso alla storia: adesso la fiducia nel progresso si autoalimenta.

Il vizio costitutivo del pensiero storico moderno, secondo l’interpretazione di Löwith offerta da Pietro Rossi, non consiste quindi nell’avvenuta secolarizzazione, nata effettivamente, almeno in parte, da un movimento proprio al cristianesimo, quanto «nella conservazione di pretese che erano valide soltanto sul terreno loro proprio, cioè sul terreno della fede»47. L’eliminazione della tendenza secolarizzatrice è impossibile, perché, come fa notare Flusser, la nostra religiosità moderna ci farebbe apparire questo ritorno alle origini teologiche come inautentico48. Allo stesso tempo Löwith ci mostra quanto sia difficile emanciparsi dalla dimensione escatologica soggiacente alla concezione moderna della storia, insieme presupposta e negata: questa si ritrova non solo in autori come Marx, il quale chiaramente sostituisce agli idoli il carattere feticistico delle merci e al regno dei cieli la società senza classi, ma persino in Burckhardt, che pur opponendo a un’ingenua speranza nel progresso l’esaltazione della continuità, concepisce quest’ultima come desiderabile. «Continuità e coscienza storica hanno per lui carattere sacramentale; sono la sua “ultima religione”»49.

L’atteggiamento più onesto che si possa avere nei confronti della propria concezione storica è quello di storicizzarla, riconducendola alla prospettiva da cui è nata. Si può anche affermare che oggi la storia non ha più né un fine né un significato, ma fine e significato della storia restano comunque – nella prospettiva

47 P. Rossi, «Prefazione», in K. Löwith, Significato e fine della storia, cit., p. 16.

48 Per Flusser può essere autentico o inautentico solo un sentimento e non la realtà, come invece

sembra essere per Ferreira da Silva. L’inautenticità di una simulazione è riconoscibile da quel clima di insincerità di cui facciamo esperienza quando ci imponiamo un sentimento che non riusciamo a provare spontaneamente.

occidentale – l’orizzonte trascendentale che la rende pensabile. Solo se si è consapevoli dei propri presupposti se ne può almeno ridurre la pretesa di assolutezza, non per guadagnare un impossibile terreno neutro, ma per essere in grado di discuterli e metterli a confronto.

1.3 Escatologia

Le tesi di Ferreira da Silva presuppongono chiaramente una concezione apocalittica della storia, uno sviluppo entropico che procede da un’originale ierofania verso un inferno in cui ogni cosa è privata di senso. L’idea di un’età dell’oro seguita da una decadenza sembra vicina alla concezione antica del tempo, come fa notare anche Flusser50, ma a questa nozione si accompagna il senso di un’imminente catastrofe e una disperazione che presuppone una malcelata speranza in una salvezza forse ancora possibile. I primissimi scritti di Flusser sembrano risentire di un simile pessimismo apocalittico. In Do Messias pensa a un imminente futuro dove le macchine e gli apparati sostituiranno il lavoro umano: «non resterà più niente da fare se non contemplare il funzionamento perfetto e pianificato degli apparecchi»51. Quello sarà il regno di Dio, un «sabato gigantesco», un «weekend monumentale»52, dove non sarà più possibile commettere peccato e una noia infernale dominerà. La conclusione è ancora simile a quella di Ferreira da Silva: «facciamo penitenza, o il Messia verrà davvero»53.

In História do diabo, scritto in tedesco tra il 1957 e il 1958 e pubblicato in portoghese nel 1965, Flusser identifica il progresso umano con il principio diabolico, descrivendo l’evoluzione storica dell’umanità come storia del diavolo.

Il diavolo è probabilmente immortale, ma è sorto certamente in un dato momento. Nuota nella corrente del tempo e forse la dirige, è storico nel senso stretto del termine. È possibile affermare che il tempo è incominciato con il

50 V. Flusser, «O projeto», cit., p. 118. 51 V. Flusser, «Do Messias», cit., p. 1. 52 Ivi, p. 4.

diavolo, che il suo sorgere o la sua caduta rappresentano l’inizio del dramma del tempo e che “diavolo” e “storia” sono due aspetti dello stesso processo54.

Come fa notare Eva Batlickova, tra l’originale tedesco e l’edizione brasiliana si possono riscontrare «alcune divergenze essenziali»55. Non si tratta di particolari aggiunte, ma di un cambiamento di tono: la seconda versione, scritta dopo il lungo confronto teorico con Vicente Ferreira da Silva, è più «ironica». La figura del diavolo acquisisce così (ma già lo si poteva intravedere nella prima versione) un carattere ambiguo e non del tutto negativo, arrivando a rappresentare, secondo Rainer Guldin, due opposte tendenze: da un lato il progresso come impresa annichilente e autodistruttiva, dall’altro la cultura come capacità neghentropica di restituire senso all’assurdo, di mediare e costruire ponti56. Si tratta della stessa

ambiguità che, in quel periodo, Flusser riconosce nella tecnica: un pericolo e un’opportunità, ma fondamentalmente una dimensione propria alla costituzione umana, che bisogna imparare a gestire.

Affermare che la storia dell’uomo è diabolica, ma che questo non implica la sua condanna, è un tentativo di criticare la prospettiva apocalittica dal suo interno. In questa fase Flusser ritiene ancora che, per quanto necessaria, ogni costruzione umana, ogni tentativo di mediare, sia un peccato e abbia qualcosa di diabolico o addirittura di idolatrico, nella prima accezione (idolatria come tradimento). Nel corso degli anni ’70, tuttavia, come si può riscontrare nella corrispondenza con Dora Ferreira da Silva, vedova di Vicente, la figura di Gesù sembra acquisire una