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La letteratura secondaria

FLUSSER E L’IDOLATRIA Uno stato dell’arte

3. La letteratura secondaria

Nonostante l’evidente centralità del concetto di idolatria nell’opera di Flusser e la rinascita degli studi sul filosofo di Praga, poco è stato scritto su questo tema. Si trovano però alcuni lavori con cui non si può fare a meno di confrontarsi. In primo luogo il breve saggio Idolatrie heute di Hans Belting92, dedicato ai pensatori anti- idolatrici del XX secolo: Jean Baudrillard, Günther Anders, Guy Debord e Vilém Flusser. Il testo, con cui ci confronteremo nell’ultimo capitolo, risulta una guida fondamentale per riflettere sull’idolatria nell’epoca dei nuovi media, ma presenta almeno un limite: i riferimenti di Flusser alla nuova idolatria non sono posti nel contesto dei suoi studi sulla religione e l’idolatria nel mondo antico, finendo così per schiacciare il suo pensiero su quello degli altri autori trattati.

Rainer Guldin, tra i principali studiosi di Flusser, ha dedicato alla questione l’articolo Iconoclasm and beyond: Vilém Flusser’s concept of techno-imagination, testo molto interessante per il fatto di mostrare come Flusser abbia elaborato, 88 V. Flusser, Kommunikologie weiter denken, cit., p. 41.

89 J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, Mimesis, Milano 2012 (1972); Id.,

Lo specchio della produzione, Multipla, Milano 1979 (1973); Id., Dimenticare Foucault, PGreco,

Milano 2014 (1977).

90 J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 2007 (1976); Id., Simulacri e

impostura, PGreco, Milano 2008 (1981).

91 R. Guldin, «Simulakrum und Technobild», cit., p. 335.

92 H. Belting, «Idolatrie heute», in Der zweite Blick, Wilhelm Fink Verlag, Paderborn 2000, pp. 267-

attraverso il concetto di tecno-immaginazione, una risposta all’idolatria che non rinuncia alle immagini. Anche Guldin tuttavia trascura gli scritti sulla religione e non fa menzione del saggio Iconoclastia, che secondo la nostra ricostruzione ha un ruolo centrale nello sviluppo del concetto.

Nel recente volume in tre lingue Flusseriana: an intellectual toolbox, una sorta di lessico dei concetti chiave di Flusser, sono contenute anche le voci idolatria e

iconoclastia93, entrambe scritte da Peter Weibel, che era stato amico e collaboratore

di Flusser. Nella prima voce Flusser è ancora una volta paragonato a Anders, Debord e Baudrillard, mentre nella seconda viene messo in luce come la scrittura e l’arte astratta possano essere considerate forme di iconoclastia e soprattutto come la posta in gioco della dialettica tra testi e immagini sia eminentemente politica, nel senso del chiasma tra potere delle immagini e immagini del potere94.

Medien-Theologie: das Werk Vilém Flussers di E. Neswald ha il merito di

mostrare la stretta relazione tra le riflessioni sulla comunicazione e quelle sulla religione, che permette a Flusser di far dialogare il suo prospettivismo culturale con il suo apparente determinismo tecnologico. Il serio limite dello studio di Neswald è che non cita neanche una volta il concetto di idolatria, nonostante l’intenzione anti- idolatrica sia per Flusser il cuore della visione del mondo giudaico-cristiana e per di più sia proprio qui il punto di contatto con la sua teoria dei media. Neswald si concentra invece sul messianismo che si riscontra nella teoria flusseriana della società telematica.

«Il problema dell’immagine e dell’idolatria è nell’aria», scriveva Flusser, ed effettivamente gli studi sul tema sono stati molti, soprattutto dopo la sua morte. È importante tentare di coordinare il pensiero di Flusser con ciò che è stato scritto sull’idolatria e farlo partecipare a un dibattito che sembra oggi particolarmente vivace e attuale.

Tra gli studi più citati vi è Idolatry di M. Halbertal e A. Margalit, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, pubblicato dalla Harvard University Press. La loro ricerca si concentra principalmente sulla tradizione ebraica e lavora in due direzioni: da una

93 S. Zielinski, P. Weibel, D. Irrgang (a cura di), Flusseriana. An Intellectual Toolbox, Univocal,

Minneapolis 2015, pp. 216-223.

94 A questo proposito Weibel cita P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Bollati Boringhieri,

parte chiarire il concetto di idolatria nelle sue diverse accezioni, a partire da un’accurata analisi delle fonti antiche, dall’altro mostrarne l’attualità e la pregnanza per la discussione di problemi chiave del dibattito filosofico contemporaneo. Gli autori ritengono che a diverse concezioni del divino corrispondano diverse concezioni dell’idolatria e sono interessati a definire questi modelli senza volerne specificare l’avvicendarsi storico, il che permette loro di costruire interessanti raffronti, ma li porta a perdere di vista il contesto – che pure è ben analizzato per le fonti bibliche – in particolar modo sottovalutando l’apporto cristiano alla trasformazione del concetto di idolatria. Molto interessanti sono gli spunti sull’attualità delle riflessioni che emergono dall’analisi del secondo comandamento: il divieto di farsi immagini è quello che più fortemente mette in questione il problema del rapporto tra azione e intenzione, esternalizzazione e interiorità. Secondo Halbertal e Margalit il dibattito antico sull’idolatria può illuminare molte delle questioni sollevate da autori come W. James (The Will to Believe), J. Elster (Sour Grapes), B. Williams (Deciding to Believe), H. G. Frankfurt (The Importance

of What We Care About): si può ordinare di avere una certa concezione di Dio e di

non credere negli idoli o non si tratta piuttosto di vietare, ordinare o chiedere di porsi in certe condizioni che provocano come effetto secondario (by-product) delle trasformazioni in un ambito dell’interiorità che è fuori dal nostro controllo?

Si tratta di un problema molto simile a quello posto da Paolo in Rm 7,7, che tuttavia ribalta l’oggetto della sua preoccupazione: non le immagini, in questo caso, ma la Scrittura stessa. La Legge, pur non essendo certo in se stessa peccaminosa, è

occasione del peccato. Questo perché nell’essere umano è presente una scissione tra

ciò che egli vuole e ciò che può fare: un resto che sfugge alla sua volontà e che tuttavia reagisce a ciò che il soggetto fa ed esperisce. Questo «ho ou thelo» (ciò che non voglio), che secondo A. Badiou95 anticipa il concetto di inconscio, è il campo in

cui si verificano quegli stati che possono essere ottenuti solo come effetti secondari di cui parla J. Elster96. Ed è esattamente questo l’ambito che interessa Flusser: il

95 A. Badiou, San Paolo, Cronopio, Napoli 2010, p. 123.

96 Per una ricognizione della teoria degli “stati che possono essere ottenuti solo come effetti

secondari” di Elster si veda S. Velotti, Storia filosofica dell’ignoranza, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 47-50.

punto di contatto tra le sue riflessioni sull’idolatria, i suoi studi sui gesti e la sua teoria della comunicazione.

È proprio per meglio comprendere l’intreccio tra interiorità, azione ed esperienza che è bene rivolgersi all’elaborazione cristiana del concetto di idolatria, non solo perché Flusser sembra esserne stato direttamente influenzato, come si cercherà di mostrare, ma soprattutto perché lo slittamento operato dal pensiero cristiano ha posto le basi per la nascita di immagini che si vogliono non idolatriche e che sono all’origine dell’intera cultura visiva moderna. In particolare si farà riferimento alle voci eidololatria, eidolon e eikon del Grande lessico del Nuovo Testamento a cura di G. Kittel97, al saggio Idole, idolâtre, idolâtrie di D. Barbu98, a L’idolo di S. Petrosino99, a Contro le immagini di M. Bettetini100 e a Genealogia dell’immagine

cristiana a cura di D. Guastini101.

Per quanto riguarda la ripresa del concetto di idolatria nell’ambito degli studi sull’immagine, che mostrano come le due nozioni si trasformino una in relazione all’altra, si ricorrerà a Il culto delle immagini di H. Belting, a Il potere delle

immagini di D. Freedberg e a What Do Pictures Want? di J. W. Mitchell, che

rielabora le conclusioni di Belting e Freedberg alla luce degli studi di Halbertal e Margalit e di Il vitello d'oro di Pier Cesare Bori102. In un simile contesto di visual

studies è da considerare anche l’attenzione a vecchie e nuove forme di iconoclastia: Iconoclasm Dictionary di M. Taussig103, il catalogo della mostra Iconoclash, a cura di B. Latour e P. Weibel (in particolare l’introduzione)104, anche esso molto

influenzato dagli studi di Halbertal e Margalit, e Sur le culte des dieux faitiches di B. Latour105.

97 G. Kittel (a cura di), Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. I – XVI, Paideia, Roma.

98 D. Barbu, «Idole, idolâtre, idolâtrie», in Les repré sentations des dieux des autres, Supplemento a

Mythos - Rivista di Storia delle Religioni, 2, 2011, pp. 31-49.

99 S. Petrosino, L’idolo. Teoria di una tentazione dalla Bibbia a Lacan, Mimesis, Milano 2015. 100 M. Bettetini, Contro le immagini. Le radici dell'iconoclastia, Laterza, Roma-Bari 2006. 101 D. Guastini (a cura di), Geneaologia dell’immagine cristiana, La Casa Usher, Firenze 2014. 102 P.C. Bori, Il vitello d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 1983.

103 M. Taussig, Iconoclasm dictionnary, The Drama Review, v. 56, n. 1, primavera 2012, MIT Press,

pp. 10-17.

104 B. Latour, P. Weibel (a cura di), Iconoclash: Beyond the Image Wars in Science, Religion, and Art,

MIT Press, Cambridge MA-London 2002.

I concetti di idolo e di idolatria sono stati ripresi anche in ambito fenomenologico, corrente di pensiero verso cui Flusser si sentiva molto vicino106, in particolare da Max Scheler, Gli idoli della conoscenza di sé107, e da Jean-Luc Marion, L’idolo e la

distanza (1979) e Dio senza essere (1984)108.

106 V. Flusser, «On Edmund Husserl», Review of the Society for the History of Czechoslovak Jews, n.

1, 1987, p. 98.

107 M. Scheler, «Gli idoli della conoscenza di sé», in Il valore della vita emotiva, Guerini e associati,

Milano 1999 (1912), pp. 47-154.

108 J.-L. Marion, L’idolo e la distanza, Jaca Book, Milano 1983 (1979); Id., Dio senza essere, Jaca

I

Il termine idolatria (dal greco eidololatria) possiede un’ambiguità che non si ritrova nell’espressione ebraica avodah elilim e in quella tedesca Götzendienst. Se queste ultime si riferiscono direttamente al culto degli idoli – falsi dei – il termine greco può essere letto anche, e forse in primo luogo, come culto delle immagini. Il legame tra l’immagine e l’idolo, entrambi visibili e seducenti, ma allo stesso tempo morti e immoti, è già chiaramente presente nella cultura ebraica, ma il termine idolatria fa emergere questa ambiguità costitutiva con maggiore chiarezza. Parlare di idolatria significa innanzitutto far convergere due riflessioni: una sull’idolo come prodotto umano e quindi sull’opposizione tra un culto vero (rivelato) e uno falso (costruito), l’altra sull’idolo come immagine, in opposizione ad altre forme di mediazione, prima tra tutte la scrittura. La prima concezione comporta una messa in discussione di ogni forma di mediazione e richiede di riconsiderare i limiti tra ciò che è di competenza dell’essere umano e l’assolutamente altro. La seconda al contrario implica una diffidenza – e in gran parte dei casi un rifiuto radicale – nei confronti di un medium specifico. Dalla prima riflessione si sono sviluppate tanto considerazioni sui limiti della tecnica (dal Golem alla bomba atomica), sull’autorità, sul potere e sulla sua gestione (oikonomia1), quanto un’epistemologia dell’errore (gli idoli della mente di Francis Bacon). Dalla seconda hanno attinto gran parte dei moderni studi sulla teoria dei media.

Queste due direzioni di ricerca sono state raramente affrontate insieme, nonostante le prime formulazioni del concetto di idolatria non prevedessero una vera opposizione tra l’idolo come opera babelica in cui l’essere umano sfida il Dio creatore e l’idolo come immagine somigliante che illude, seduce e oscura ciò che rappresenta. Le due diverse accezioni non solo non si escludevano, ma si implicavano reciprocamente, al punto che si potrebbe affermare che le moderne nozioni di tecnica e d’immagine hanno un debito nei confronti del concetto di idolatria: pur avendolo superato ne portano ancora i segni.

Il grande pregio di Vilém Flusser, per quanto riguarda il suo contributo allo studio dell’idolatria, è quello di essere uno dei pochi autori che, forse grazie alla sua interdisciplinarità, ha riportato a far dialogare il problema teologico, politico ed epistemologico dell’idolo come costruzione umana, con quello estetico e semiotico

1 G. Agamben, Il regno e la gloria, Bollati Boringhieri, Torino 2009; M.-J. Mondzain, Immagine,

dell’immagine. Questo dialogo permette a Flusser di ripensare la questione del potere delle immagini2, non in un senso semplicemente strumentale (usare le immagini per ottenere qualcosa), ma mettendone in evidenza il loro costitutivo carattere intersoggettivo, per il quale le immagini sono propriamente tali solo in quanto agiscono, hanno effetti su chi le fa e su chi le osserva e richiedono una risposta. Il problema dell’idolo dev’essere compreso a partire da una riflessione sulla visibilità, così come il concetto moderno di immagine può essere chiarito solo facendo riferimento alla diffidenza che l’ebraismo, il cristianesimo e, in misura diversa, il platonismo avevano nei suoi confronti.

Nel concetto di idolatria è implicito un atto di accusa: una doppia condanna diretta tanto nei confronti di chi cade in questo peccato, quanto nei confronti di un oggetto non degno di essere adorato. L’accusa presuppone che un altro comportamento – non idolatrico – sia possibile e richiede un punto di vista esterno dal quale osservare e giudicare il fenomeno a cui ci si oppone3. Idolatri sono sempre gli altri.

Sembra che non sia mai esistito nessun popolo della terra che si sia autodefinito idolatra. Questa parola è un’ingiuria, un termine oltraggioso, come quello di gavaches che gli spagnoli davano un tempo ai francesi, o quello di

marrani che i francesi davano agli spagnoli. Se si fosse chiesto al senato di

Roma, all'areopago di Atene, alla corte di Persia: “Siete idolatri?” difficilmente avrebbero inteso questa domanda. Nessuno avrebbe risposto: “Sì, noi adoriamo delle immagini, degli idoli”4.

Quello degli idolatri non può essere considerato un partito da opporre a un altro, le cui posizioni possano essere vagliate e prese in considerazione. Durante la crisi iconoclasta del secolo VIII erano gli iconofili a opporsi a coloro che distruggevano le immagini: tanto gli uni quanto gli altri accusavano gli avversari di essere idolatri, gli uni imputati di adorare le immagini, gli altri di attribuire loro, distruggendole, un potere quasi magico. L’idolatria è sempre al di là di qualsiasi posizione si occupi. Il termine ebraico usato dai Tannaim, i maestri della Mishnah (10-220 d.C.), per riferirsi a ciò che in greco si chiamava eidololatria, è particolarmente chiaro: il culto

2 Sono evidenti le assonanze con i lavori di D. Freedberg, Il potere delle immagini, Einaudi, Torino

2006 (1993); H. Belting, Il culto delle immagini, cit., e W.J.T. Mitchell, Picture Theory, The Chicago University Press, Chicago 1994; Id., What Do Pictures Want?, The Chicago University Press, Chicago 2005, per quanto si possano notare anche alcune significative differenze.

3 H. Belting, «Idolatrie heute», cit.

straniero (avodah zarah). Halbertal e Margalit pongono l’accento sulla pluralità di senso di questa alterità: idolatra è chi adora un dio straniero, ma anche chi adora Dio secondo un costume straniero, estraneo alla norma stabilità all’interno della propria comunità5. Sia secondo Flusser che secondo Halbertal e Margalit la caratteristica essenziale della visione del mondo ebraica è la negazione del paganesimo6.

L’identità di una comunità si definisce ex negativo attraverso l’elaborazione di una nozione di alterità condivisa e la disposizione di una soglia di esclusione7. Se questo

si può dire di ogni comunità in formazione, con la nascita del monoteismo anti- pagano si verifica qualcosa di diverso e paradossale: idolatria è un modo per dire gli

altri, ma l’assolutamente altro è Dio stesso. Due concetti limite, posti oltre la soglia

della norma comunitaria: Dio perché la fonda, l’idolatria perché la nega. Gli altri sono idolatri, perché non riconoscono l’alterità di Dio.

Per comprendere l’idolatria bisogna quindi rinunciare sin da subito alla pretesa di una definizione valida sempre e ovunque. Si deve tentare invece di accompagnare le trasformazioni di questo concetto insieme a quelle della cultura che di volta in volta lo elabora e si oppone a esso: dalla sua origine biblica – un’origine paradossale, perché nella Torah non è presente alcun’espressione traducibile con il termine idolatria – alla sua elaborazione da parte dei Padri della chiesa, fino al suo superamento con la nascita delle immagini cristiane.

In questo percorso Flusser ci accompagnerà da lontano, come osservando la nostra navigazione dalla costa. Si cercherà per quanto possibile di attenersi alle sue fonti, arricchendole quando la consistenza del ragionamento lo richieda. Le sporadiche e frammentarie riflessioni di Flusser sull’idolatria nel pensiero antico saranno raccolte e disposte lungo il nostro viaggio dall’Antico Testamento a Bisanzio, nel tentativo di restituire una teoria sistematica che Flusser non ha mai elaborato, ma nella convinzione che questi frammenti di pensiero non siano in

5 «That structure is not simply some psychological phobia about images, nor is it reducible to straight-

forward religious doctrines, laws, and prohibitions that a people might follow or violate. It is, rather, a social structure grounded in the experience of otherness and especially in the collective representation of others as idolaters. Accordingly, the first law of iconoclasm is that the idolater is always someone else». W.J.T. Mitchell, What Do Pictures Want, cit., p. 19.

6 V. Flusser, «Judaismo como anti-paganismo», cit.; M. Halbertal e A. Margalit, Idolatry, cit., p. 236. 7 G. Agamben, Homo sacer, Einaudi, Torino 2005 (1995); R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi,

contraddizione con ciò che ne emergerà8. Ci si limiterà a una lettura delle fonti antiche, che si appoggerà di volta in volta sulle interpretazioni condivise dagli studiosi più autorevoli, senza la pretesa di uno studio originale, che richiederebbe il lavoro di una tesi di dottorato per ognuno dei seguenti capitoli. Si tenterà tuttavia di far emergere e di delineare alcuni concetti fondamentali che trovano la loro genesi nel pensiero antico dell’idolatria, ma che tornano ad essere centrali (e non solo in Flusser) nelle riflessioni sull’idolatria nell’epoca dei nuovi media: il problema dell’identità, quello della cattiva coscienza, il rapporto tra interno ed esterno, i concetti di segno, simulacro e simulazione. Con questo non si intende dimostrare un’influenza diretta delle fonti antiche sugli autori moderni, che è plausibile, ma non rilevante in questa sede. Si vuole piuttosto mostrare come una reale comprensione di questi problemi richieda un’analisi approfondita del concetto di idolatria.

8 Le più consistenti riflessioni di Flusser sull’idolatria inquadrate nell’ambito degli studi sui media

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