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Le fonti del concetto di idolatria

FLUSSER E L’IDOLATRIA Uno stato dell’arte

2. Le fonti del concetto di idolatria

I riferimenti all’idolatria nell’opera di Flusser sono molto frequenti e occupano chiaramente un luogo centrale nel suo pensiero, ma altrettanto spesso non vengono approfonditi e hanno la funzione di ciò che oggi chiameremmo un link. La scrittura di Flusser, che come McLuhan cercava di superare la forma-libro, offre molti esempi di questo tipo e prevede esplicitamente una lettura a salti, che apra un dialogo tra quello e altri testi46. È quindi nostro compito risalire alle fonti di Flusser, dov’è possibile, ed eventualmente aprire dei dialoghi anche con autori che Flusser non conosceva, se questo ci permette di chiarire il nostro tema di studio. Le fonti del concetto di idolatria possono essere ricondotte a tre principali ambiti: ebraico, platonico, cristiano e moderno.

1. La relazione di Flusser con l’ebraismo è molto complessa. Nato in una famiglia di ebrei assimilati nella Praga tra le due guerre, cresce leggendo Marx, Nietzsche e Ortega: «di cultura ebraica non ho quasi nulla»47. Deve tuttavia aver assorbito dal suo ambiente d’origine più di quanto fosse consapevole da giovane. Immigrato in Brasile, aggiunge, «la mia eredità ebraica […] ha acquisito un’importanza molto più grande di prima»48. È significativo che fuggendo da Praga Flusser si sia portato con sé solo due libri: il Faust di Goethe e un libricino di preghiere ebraiche della madre49. Dopo un periodo di interesse per altre forme di religiosità – quelle orientali, ma soprattutto quella cristiana – negli ultimi anni di vita tende a riavvicinarsi all’ebraismo, come dichiara in un’intervista di Lászlo Beke e Miklós Peternák50.

Sono abbastanza frequenti nell’opera di Flusser dei riferimenti generici alla bibbia, in particolare alla Torah e ai profeti. In Não imaginarás, riferendosi al

46 Qualcosa di simile è scritto nelle «istruzioni per l’uso» di Pós-história, cit., e la questione viene

trattata in modo diffuso in Die Schrift, cit., testo pubblicato anche su floppy disk.

47 V. Flusser, «In Search of Meaning», in Writings, University of Minnesota Press, Minneapolis-

London 2002 (1969), p. 198.

48 Ibid.

49 V. Flusser, Bodenlos, cit., p. 33.

secondo comandamento, cita il decalogo indicando Esodo, 20, Deuteronomio, 5 e Esodo 34. In diverse occasioni fa riferimento alla tradizione talmudica e, in modo spesso critico, a quella cabalistica51. Un’intervista a David Flusser, cugino di Vilém, professore di cristianesimo primitivo e di ebraismo del periodo del Secondo Tempio presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, ci mostra la questione da un punto di vista diverso52. David infatti elogia il cugino per essere un grande conoscitore della cultura ebraica e in particolare racconta di essere stato particolarmente colpito dal fatto che Vilém conoscesse bene tutte e sei le parti della Mishnah. Si tratta di una raccolta della tradizione orale riguardante la legge ebraica, redatta all’inizio del terzo secolo da Giuda il Principe, rabbi Yehudah HaNasi, composta da sei ordini, ognuno dei quali contiene diversi trattati per un totale di 63. Uno di questi è intitolato Avodah

Zarah, letteralmente “culto straniero”, ma tradotto solitamente con “idolatria”. Fa

parte del quarto ordine, Nezikin (danni), che regola la legge civile e indica come comportarsi nei confronti dei crimini. Il trattato Avodah Zarah denuncia l’idolatria come comportamento che fa violenza all’universo stesso e regola i rapporti che gli ebrei possono intrattenere con i pagani per non cadere nel peccato di idolatria. Come mostrato da S. Binder53 il trattato ha diversi punti di contatto con il De idololatria di Tertulliano, scritto approssimativamente negli stessi anni. Possiamo immaginare che Vilém Flusser conoscesse l’Avodah Zarah almeno di nome, nonostante non l’abbia mai citato.

L’autore giudaico a cui probabilmente Flusser si sentiva più prossimo è Hillel (I sec. a.C.), primo dei Tannaim, i maestri della Mishnah, citato in molte occasioni54, soprattutto in relazione alla massima riportata nel Talmud, Trattato dello Shabbath, 31a: «Ciò che non è buono per te non lo fare al tuo prossimo. Il resto è commento. Vai e studia». Non ci risultano riflessioni di Hillel sull’idolatria, ma la sua vicinanza ad alcuni aspetti centrali del messaggio di Gesù lo rende particolarmente significativo per l’atteggiamento di conciliazione tra ebraismo e cristianesimo dimostrato da Flusser.

51 V. Flusser, Ser judeu, cit.; Id., Die Schrift, cit., p. 89. 52 Intervista a David Flusser, video, Flusser Archiv.

53 S. Binder, Tertullian, on Idolatry and Mishnah Avodah Zarah, Brill, Leiden 2012. 54 V. Flusser, «Ame teu outro como a ti proprio», Shalom, São Paulo, agosto 1982.

Maimonide viene citato in alcune occasioni55 e nel carteggio con Dora Ferreira da Silva Flusser racconta di una notte passata a Granada a discutere di Maimonide con alcuni studenti palestinesi. Il capitolo 1:36 della Guida agli smarriti, dedicato alla “gelosia” di Dio e al culto idolatrico, spiega l’idolo come immagine intermediaria tra noi e Dio che finisce per trasmetterci un’idea errata del divino e l’idolatria come errore nell’attribuzione di significato alle cose, comportando un notevole cambiamento rispetto all’interpretazione tradizionale ebraica del divieto di farsi immagini, che avvicina la sua lettura dell’idolatria a quella cristiana e a quella che sembra essere stata quella di Flusser.

Tra gli interpreti moderni del pensiero ebraico, oltre a David Flusser che ha senz’altro segnato un’influenza profonda sul cugino, come si evince dal carteggio e dalle sue frequenti menzioni negli scritti di Vilém sull’ebraismo, sono da tenere presenti soprattutto Gershom Sholem (il testo su Sabbatai Zevi fa parte della

Reisebibliothek), Emmanuel Lévinas56 e Martin Buber57, uno degli autori più influenti sul suo pensiero, in particolar modo per quanto riguarda la riflessione sul dialogo e sull’intersoggettività.

2. «Che lo vogliamo o no, in quanto occidentali siamo ebrei. Possiamo tentare, come Nietzsche, di strappare le nostre radici ebraiche per distruggerle, trasvalutare i nostri valori e proclamare ai quattro venti che Dio è morto. Ma questa stessa trasvalutazione implica il progetto ebraico che siamo»58. Queste considerazioni vanno sempre tenute presenti quando si leggono pagine di Flusser dedicate alla filosofia greca. I suoi riferimenti a Platone sono, per quanto frequenti, molto generici. Senza dubbio conosceva i suoi testi direttamente: il Simposio e il Fedone facevano parte della Reisebibliothek e in alcune occasioni cita il Fedro59 e la

55 V. Flusser, «Costruire case», in Id., La cultura dei media, cit., p. 172.

56 In una lettera a Dora Ferreira da Silva del 12/01/1979, Flusser racconta di essere stato colpito dalla

lettura di Difficile libérté e fa riferimento a un midrash citato da Lévinas in cui Abramo spezza gli idoli che trova nella casa paterna lasciandone uno per attribuirgli la colpa, ma ritornato il padre di Abramo riconosce la responsabilità del figlio perché sotto sotto sa che gli idoli non si muovono. L’intero libro di Lévinas è ricco di riferimenti all’idolatria e in particolare si afferma che la tendenza anti-idolatrica dell’ebraismo – insieme alla tecnologia – ha demistificato l’universo. E. Lévinas,

Difficile libertà, Jaca Book, Milano 2004 (1963), p. 234.

57 M. Buber, Il principio dialogico, San Paolo edizioni, Cinisello Balsamo 2014 (1923). 58 V. Flusser, Judaismo como anti-paganismo, cit.

59 V. Flusser, «Breve relato de um encontro em Platão», Revista Brasileira de Filosofia, XIX, 1969,

Repubblica60. La principale ragione per cui Flusser fa riferimento alla condanna platonica delle immagini parallelamente alla condanna ebraica dell’idolatria è il tentativo di mostrare come la crisi della funzione delle immagini fosse riconosciuta in ambiti culturali e geografici diversi, ma il suo interesse principale resta diretto al concetto ebraico e cristiano di idolatria. In generale i riferimenti a Platone, quando non sono filtrati dalle teorie di Heidegger e Arendt, gli servono per mostrare somiglianze e differenze rispetto alla visione del mondo giudaico-cristiana. Un testo in cui Flusser sembra aver trovato conferme delle proprie convinzioni è The Common

Background of Greek and Hebrew Civilisations61 di Cyrus Gordon, di cui parla con entusiasmo a Dora in una lettera del 18/05/1976: a partire dallo studio della letteratura ugaritica e dai risultati dell’archeologia del mediterraneo orientale si potrebbe affermare che ciò che si trova di comune tra la cultura greca e quella ebraica sarebbe spiegabile con la penetrazione in ambito greco di elementi culturali semitici (primo tra tutti l’alfabeto) precedenti alla formazione definitiva di un popolo ebraico62. Di conseguenza, secondo Flusser, ciò che in Platone si trova di odio verso la natura (il mondo come eidolon) avrebbe la sua origine nel pensiero orfico, di provenienza orientale, e lo avvicinerebbe in qualche modo alle religioni bibliche, mentre ciò che lo porta rivalutare la natura (il mondo come eikon) sarebbe espressione della cultura olimpica63.

3. La relazione di Flusser con il cristianesimo, in particolare con quello cattolico, è quasi altrettanto complessa quanto quella con l’ebraismo. In primo luogo perché «l’ebraismo post-cristiano e post-islamico esiste in funzione delle due religioni a cui ha dato origine»64. In particolare il cristianesimo si presenta come compimento dell’ebraismo ed «è effettivamente il superamento dell’ebraismo, perché esplicita

60 V. Flusser, «Ein neuer Platonismus», in kulturRRevolution, 19, Jürgen Link & Ulla Link-Heer,

1988.

61 C. Gordon, The Common Background of Greek and Hebrew Civilisations, W.W. Norton & Co. Inc.,

New York 1965.

62 Le posizioni di Gordon sono considerate ora in gran parte superate, soprattutto le ipotesi più

azzardate, come quella di una comunità babilonese stanziata a Creta e di una fonte comune per i poemi omerici e la Genesi, ma un’influenza parziale della cultura semitica su quella greca sembra innegabile.

63 «Si sono sempre distinte due tendenze, a volte parallele, a volte contraddittorie, ma che si sono

influenzate sempre l’un l’altra: l’orfica e l’olimpica». V. Flusser, «Da influencia da religião dos gregos sobre o pensamento moderno», Revista Brasileira de Filosofia, XLII, p. 207, trad. mia; cfr. anche Id., «Do paganismo», cit.

molti aspetti che sono solo impliciti nell’ebraismo. È effettivamente il superamento dell’ebraismo, perché Gesù, il fondatore del cristianesimo, è effettivamente l’ebreo perfetto»65. In questo senso il cristianesimo lancia una sfida quotidiana agli ebrei, mette in discussione i principî della loro fede e li costringe a prendere sul serio le sue argomentazioni. «Effettivamente la questione è la seguente: perché gli ebrei non si convertono?»66. Ma gli argomenti cristiani non colgono ciò che più tocca gli ebrei: un’esperienza assolutamente specifica del sacro. È quest’esperienza del sacro come confronto con l’assolutamente altro che con l’idea dell’incarnazione viene profondamente trasformata, richiedendo una diversa sensibilità religiosa. Ma Flusser non è semplicemente un ebreo della diaspora – esule per nascita – assimilato alla cultura tedesca e ceca di Praga: ha vissuto la catastrofe della fuga dal nazismo e la fine del mondo in cui era cresciuto e che era stato dimora dei suoi avi per secoli («la realtà cadeva a pezzi e a pezzi era ingoiata dall’abisso»67). Dopo un periodo di

profondo nichilismo, nei primi anni a São Paulo, decide di immergersi e impegnarsi (se engajar) quanto più possibile nella cultura brasiliana. In primo luogo conquistandone la lingua68, con la quale crescerà i suoi figli, poi scoprendone da vicino l’arte e la letteratura, fino ad avvicinarsi anche al cristianesimo che tanto permea la cultura brasiliana.

In quel periodo, ho cominciato a sentire la chiamata del cattolicesimo per la prima volta e nella disperazione, come una promessa di salvezza e conforto. Ma ho sempre saputo in un angolo del mio essere (forse quello marxista) che tutto ciò non era che alienazione, una fuga, che stavo commettendo un tradimento della mente, non un sacrificio69.

Nonostante i dubbi questo periodo di interesse, per lo meno culturale, nei confronti del cristianesimo ha portato Flusser a leggere diversi autori cristiani, soprattutto grazie alla mediazione di Vicente Ferreira da Silva, e di sua moglie Dora, poetessa e traduttrice di Rilke e Jung dalla profonda sensibilità religiosa.

65 Ivi, p. 103.

66 Ibid.

67 V. Flusser, Bodenlos, cit., p. 29.

68 Sui manoscritti delle lezioni conservati presso il Flusser Archiv si vedono dei segni a penna con cui

Flusser si aiutava a pronunciare tutte le parole senza accento.

Flusser cita in più occasioni i vangeli, in particolar modo il “comandamento dell’amore”70 e il prologo del vangelo di Giovanni71. Anche Paolo, presso cui

troviamo le prime occorrenze del termine eidololatria, è citato in diverse occasioni, soprattutto 1 Cor 13, 1272. Di Tertulliano, autore tra le altre cose del De idololatria, Flusser sembra avere una conoscenza indiretta, citando solo il Credo quia absurdum, il motto a lui attribuito, formulato in realtà diversamente nel De carne Christi (5, 4)73. Tra i Padri della chiesa Agostino è senza dubbio quello che Flusser conosce

meglio. Al di là di generici riferimenti al suo pensiero, troviamo alcuni riferimenti al

De civitate dei74 e soprattutto una citazione – evidentemente a memoria – dei

Soliloquia: «A. Deus et animam scire cupio. – R. Nihilne plus? – A. Nihil omnino»

(I 2, 7)75. Nella corrispondenza con Dora Ferreira da Silva, Agostino è citato più di una volta: nella lettera del 28/05/1974 Flusser la ringrazia per avergli inviato una copia del testo di Agostino (senza specificare quale); nella lettera del 08/02/1975 fa un parallelo tra Agostino e Omar Khayyam per il ruolo che hanno avuto rispettivamente per la cultura occidentale e quella mediorientale; nella lettera del 12/02/1976 Flusser considera Agostino tra i responsabili dell’aufhebung della religiosità dialogica ebraica nel cristianesimo; l’ultimo riferimento si trova nella lettera del 16/05/1985, dove si afferma che Agostino concorderebbe che il peccato più grave è quello di portare la propria croce per farsi vedere. Di Tommaso d’Aquino possedeva una copia in tedesco della Summa Theologiae e una guida al suo pensiero. Infine afferma di aver studiato a lungo alcuni mistici come Maister Eckart, Giovanni della Croce e Angelus Silesius76.

Per quanto riguarda gli interpreti del pensiero cristiano a cui dev’essersi appoggiato, oltre alle innumerevoli discussioni con i coniugi Ferreira da Silva, dobbiamo tenere conto innanzitutto dell’interpretazione di David Flusser77, il quale

rilegge i vangeli sinottici, e in particolare quello di Marco, convinto che il messaggio del Gesù storico possa essere compreso solo all’interno del contesto talmudico del

70 Mt 22, 37-40; Mt 5, 43-44; V. Flusser, «Ame teu outro como a ti proprio», cit. 71 V. Flusser, «Judaismo como anti-paganismo», cit.

72 V. Flusser, «Do espelho», in Ficç ões filosoficas, cit., p. 67. 73 V. Flusser, «Judaismo como anti-paganismo», cit., p. 4. 74 V. Flusser, «Do messias», cit.

75 Flusser cita il passo così: «Deum atque animam cognoscere cupisco. Nihilne plus? Nihil». V.

Flusser, «Judaismo como antipaganesimo», cit., p. 2.

76 V. Flusser, «In Search of Meaning», cit., p. 198. 77 D. Flusser, Jesus, Morcelliana, Brescia 1997 (1968).

periodo del Secondo Tempio, prima dell’ellenizzazione che si sarebbe avviata a partire da Paolo. Vilém Flusser risente di quest’interpretazione soprattutto nel fare spesso riferimento a una tradizione giudaico-cristiana, nel tentativo di rintracciare gli elementi comuni tra le due religioni che a suo parere trovano proprio nel concetto di amore espresso dal Gesù storico il punto d’incontro78. Un altro autore che ha senza

dubbio segnato la sua interpretazione del cristianesimo è René Girard, a cui dedica un articolo nel 198279. Anche in Girard, V. Flusser troverebbe un riscontro della sua

idea per cui la tradizione ebraica e quella cristiana si opporrebbero alla cultura mitica, pagana e idolatrica, grazie al comandamento dell’amore del prossimo. Nella

Reisebibliothek si trovano inoltre due opere di Étienne Gilson: l’edizione brasiliana

di Le metamorfosi della città di Dio e la versione inglese di Elementi di filosofia

cristiana. In una lettera a Milton Vargas del 30/05/1979 afferma di essersi dedicato

allo studio delle opere di Jean Danielou e di Ernest Renan, mentre in una lettera a Dora Ferreira da Silva del 16/03/1980 rimpiange che il compianto Vicente non avesse avuto l’occasione di conoscere le opere di Paul Tillich e Karl Barth, oltre a quelle del già citato Buber.

4. Per quanto riguarda le fonti moderne non si tratta di autori che fanno necessariamente un uso esplicito del concetto di idolatria, quanto di pensatori a cui Flusser è debitore per aver dato nuovi nomi agli idoli e per aver messo in questione il paradigma della rappresentazione. Primo fra tutti Marx, l’autore più letto dal giovane Flusser a Praga, insieme a Nietzsche e Ortega y Gasset80. Secondo molti interpreti il concetto hegeliano e marxiano di alienazione è fondamentalmente una rielaborazione dell’idolatria81. In seguito il già citato Nietzsche, che diversamente da quanto

avvenuto con Marx, Flusser non ha mai smesso di studiare e di farvi riferimento, soprattutto attraverso la lettura di Heidegger82. In particolare il paragrafo «Come il

78 Dora Ferreira da Silva scrive, nella risposta alla lettera di Flusser del 18/05/1976, che ha letto e

apprezzato il bel libro di David su Gesù, ma che nella sua lettura manca la cosa più essenziale: la resurrezione.

79V. Flusser, «Do estranho», in Ser judeu, cit.

80 V. Flusser, Bodenlos, cit., pp. 23-28; Id., In Search of Meaning, cit., p. 199.

81 «The whole concept of alienation found its first expression in Western thought in the Old Testament

concept of idolatry», E. Fromm, Marx’s Concept of Man, Frederick Ungar Publishing, New York 1961, p. 39; cfr. anche P. Tillich, Der Mensch im Christentum und im Marxismus, Ring Verlag, Düsseldorf 1953, p. 14; K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino 2000 (1941), p. 555; M. Halbertal e A. Margalit, Idolatry, Harvard University Press, Cambridge MA-London 1992, p. 243.

mondo vero finì per diventare favola. Storia di un errore», contenuto nel Crepuscolo

degli idoli83, deve aver avuto un ruolo chiave nella riflessione su una nuova idolatria. In un’intervista tenuta a Osnabrück nel settembre del 1988, in occasione del European Media Art Festival, Miklós Peternák chiede a Flusser se si possa parlare di una filosofia delle immagini. La risposta è che una filosofia delle immagini esiste e ha una storia lunga, ma prevalentemente negativa. Anche a causa della tradizione ebraica che permea quella occidentale esiste un pregiudizio nei confronti delle immagini per cui, se non sono proibite, sono accettate con diffidenza. Tuttavia la situazione sta cambiando, perché le nuove immagini «non rappresentano più il mondo», ma sono «articolazioni di pensieri. Non sono copie, ma proiezioni, modelli, così che un nuovo atteggiamento nei confronti dell’immagine risulta necessario e credo che stia nascendo»84. Per una volta, a questo punto, Flusser cita esplicitamente una sua fonte: «Benjamin è stato uno dei primi pensatori ad aver articolato questa riflessione e credo che ci troviamo tutti all’interno di questa tradizione»85. Alla

richiesta dell’intervistatore di aggiungere altri nomi di autori che lavorano in questa direzione, Flusser nomina Roland Barthes, Marshall McLuhan e Abraham Moles, affermando di essere in disaccordo con tutti loro, ma che sono stati il punto di partenza di ogni sua riflessione sui media.

Tra i grandi diffidenti dell’immagine vanno tenuti presente soprattutto Günther Anders e Jean Baudrillard. L’uomo è antiquato86, dove viene teorizzata l’iconomania della società contemporanea, è presente nella Reisebibliothek di Flusser, che ne consiglia vivamente la lettura a Abraham Moles, in una lettera del 24/02/1979.

La relazione con Baudrillard è più profonda e complessa87: i due si sono incontrati più volte e Flusser si riferisce a lui come «il mio amico Baudrillard»88. Nella

83 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano 1983 (1889), p. 47.

84 V. Flusser, «On writing, complexity and the technical revolutions», We Shell Survive in the Memory

of Others, cit., p. 38.

85 Ibid., Benjamin è citato diverse volte da Flusser a partire dagli anni ’80. In una lettera a Dora

Ferreira da Silva del 29/07/1990 rimpiange che tanto lui quanto Vicente non conoscessero Benjamin negli anni ’60.

86 G. Anders, L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2007 (1956).

87 Per un confronto tra Baudillard e Flusser cfr. S. Bollman, «Sprung in die Fiktion. Einige Über-

legungen zu Baudrillard und Flusser», in R. Bohn, D. Fuder (a cura di), Baudrillard. Simulation und

Verführung, München 1994, pp. 103-113; R. Guldin, «Simulakrum und Technobild: Modelle der

Gleichzeitigkeit bei Jean Baudrillard und Vilém Flusser», in P. Hubmann, T.J. Huss (a cura di), Sim-

ultaneität: Modelle der Gleichzeitigkeit in den Wissenschaften und Künsten, Bielefeld 2013, pp. 335-

351; e mi permetto di rimandare a F. Restuccia, «Gli specchi invertiti. Vilém Flusser e Jean Baudrillard», in Lo Sguardo, 23, 2017.

Reisebibliothek si trovano Per una critica dell’economia politica del segno, Lo

specchio della produzione (entrambi in francese) e Dimenticare Foucault (in

un’edizione spagnola)89. In brevi saggi della fine degli anni ’80 e soprattutto in

Kommunikologie weiter denken, Flusser fa uso dei concetti di simulacro e

simulazione in esplicito riferimento a Baudrillard, il che ci permette di ipotizzare che conosca per lo meno Lo scambio simbolico e la morte e Simulacri e simulazioni90.