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Religiosità, mito, ideologia

I presupposti teologici di una teoria dei media

1.1 Religiosità, mito, ideologia

Nel 1965, lo stesso anno in cui scrive Não imaginarás, dedicato al secondo comandamento, Flusser prepara il suo terzo libro: Da religiosidade, pubblicato due anni dopo. Si tratta di una raccolta di articoli scritti negli anni immediatamente precedenti, molti dei quali dedicati al pensiero di Vicente Ferreira da Silva. Ciò che li unisce è l’idea che la letteratura – sia filosofica che non – sia il luogo in cui si articola il nostro «senso di realtà»1. Reale è per noi solo «ciò in cui crediamo»2, «ciò con cui ci scontriamo lungo il nostro cammino verso la morte; dunque: ciò a cui siamo interessati»3, aggiungerà anni dopo. Questo significa che la nostra percezione del reale è mutevole, si trasforma nel corso della storia al modificarsi delle nostre prospettive e dei nostri interessi. Il senso di realtà è quindi uno dei media che informano la nostra visione del mondo. Flusser è convinto che il senso di realtà sia, «sotto certi aspetti, sinonimo di “religiosità”» e concepisce quest’ultima come una particolare sensibilità. Si potrebbe parlare di religiosità allo stesso modo di come si parla di musicalità, nel senso di una sensibilità per la musica. Si può avere una minore o una maggiore religiosità e questa può essere repressa, addestrata o retoricamente esagerata, ma resta comunque una capacità tipicamente umana e potenzialmente comune a tutti. «Questa capacità rivela il mondo e la nostra vita in esso come realtà significativa, cioè come realtà che indica verso fuori di sé»4. La religiosità è quindi la capacità di vedere il mondo come dotato di senso. Così come i generi musicali cambiano, ma la musica resta, anche questa nostra sensibilità viene declinata in modo diverso. La metafora musicale, tuttavia, finisce qui, perché la

1 V. Flusser, «Da religiosidade», in Id., Da religiosidade. A literatura e o senso da realidade,

Escrituras, São Paulo 2002, p. 13, trad. mia.

2 Ibid.

3 V. Flusser, Per una filosofia della fotografia, cit., p. 115. 4 V. Flusser, «Da religiosidade», cit., p. 18.

nostra religiosità è «limitata alla realizzazione di un unico progetto»5, quello a cui si appartiene. Il nostro tipo di religiosità ci definisce, ci informa, stabilisce il mondo entro il quale esistiamo e in qualche modo ci imprigiona:

Sappiamo intellettualmente di altri tipi di progetto, di altri tipi di religiosità, e di altri tipi di sacro. Ma questa conoscenza intellettuale non può essere trasposta al livello dell’esperienza religiosa e i tentativi in questa direzione sono destinati al fallimento dell’inautenticità6.

Come la lingua, così anche la nostra Weltanschauung costituisce l’orizzonte della nostra realtà. Qualsiasi tentativo di accedere a un’altra cultura, a un’altra visione del mondo, con la sua specifica religiosità, non può che passare attraverso la nostra cultura e il nostro modo di vedere. «I greci arcaici, per esempio, sono reali per noi soltanto in quanto parte del nostro progetto, non esistono come “greci in sé”»7. Non

riusciamo a dimenticare di essere occidentali e, anche solo indirettamente, cristiani. La principale fonte delle posizioni di Flusser in questo ambito è l’opera del filosofo brasiliano Vicente Ferreira da Silva, forse l’unico vero maestro che abbia avuto8. Tutti gli anni a São Paulo sono segnati dal confronto con lui, tanto nei presupposti teorici che i due condividono, quanto nella fondamentale differenza di prospettive che sarà trattata a breve e che permetterà a Flusser di sviluppare un pensiero autonomo. In quello che forse è il suo testo più rilevante, Teologia e anti-

humanismo, dedicato a Ernesto Grassi, Ferreira da Silva scrive: «Il mito condiziona

la storia, aprendo e inaugurando il mondo in cui essa può svilupparsi»9. Non è la storia a spiegare il mito, riportandolo al contesto culturale in cui è sorto e applicando alla sua analisi dei criteri che si suppongono universali, bensì il mito a spiegare la storia o meglio a permettere che la storia si dispieghi a partire da esso.

5 Ibid.

6 Ivi, p. 19.

7 V. Flusser, «O projeto», in Id., Da religiosidade, cit., p. 124, trad. mia.

8 Vicente Ferreira da Silva è stato un pensatore di grande rilevanza nel panorama brasiliano. Co-

fondatore della Revista Brasileira de Filosofia e dell’Instituto Brasileiro de Filosofia, insieme a Miguel Reale, e in seguito della rivista Diálogo, insieme a Milton Vargas, si era interessato in una prima fase alla logica matematica, studiando con l’italiano Luigi Fantappié e collaborando in seguito con Willard Van Orman Quine, per poi compiere una svolta e avvicinarsi al pensiero dell’ultimo Heidegger e dedicarsi allo studio del sacro e delle religioni.

9 V. Ferreira da Silva, «Teologia e anti-humanismo», in Id., Dialetica das consciências. Obras

Un altro autore che ha preso parte attiva a questo dibattito è Luigi Bagolini10. In

Mito, potere e dialogo, dedicato alla memoria di V. Ferreira da Silva, testo di cui

Flusser aveva una copia, si occupa del rapporto tra mito e ideologia. Quest’ultimo termine è spesso concepito come un pregiudizio teorico da demistificare o addirittura un inganno inteso a far passare un interesse pratico come una verità oggettiva. In alcuni contesti, tuttavia, l’ideologia può essere compresa in termini non svalutativi, come «una visione della vita orientata verso la realizzazione di certi interessi e fini ritenuti fondamentali e ultimi in rapporto alla situazione sociale e ambientale in cui vengono pensati»11. L’ideologia, afferma Bagolini citando Barthes12, non è un semplice prodotto individuale, ma – quando è inteso in questo senso non svalutativo – è sempre radicato in un mito dal respiro collettivo. Quest’ultimo funge da

intermediario tra l’essere umano e la natura: «sotto questo aspetto l’elemento

mitologico può essere considerato come condizione ambientale, sociale e culturale di ogni cosciente processo individuale volontario»13. Secondo Bagolini è necessario saper distinguere tra due concezioni di ideologia e di mito – una mistificante e una no –, altrimenti si rischia di cadere nell’errore di credere che tutti i miti possano essere demistificati e corretti. È evidente in queste riflessioni anche un’influenza della Filosofia delle forme simboliche di Cassirer, per cui se anche un mito non è traducibile nelle forme del logos, questo non significa che sia contro il logos14. Chi crede di poter prescindere totalmente dall’elemento ideologico e assumere così un atteggiamento di assoluta neutralità, diventa davvero vittima della propria ideologia, perché non è consapevole dei condizionamenti che subisce. Com’è possibile quindi il dialogo in caso di contrasti ideologici? Solo partecipando in modo mediato e

10 Professore di filosofia del diritto all’Università di Bologna, ha insegnato tra il 1951 e il 1954 presso

l’Universidade de São Paulo ed è stato membro dell’Instituto Brasileiro de Filosofia. Bagolini ha mantenuto un importante scambio epistolare con Vilém Flusser, dove parla di un reciproco «riconoscimento» (16/11/1969), di comuni interessi per la questione del dialogo e dichiara di aver apprezzato e citato nei propri scritti il testo di Flusser La force du quotidien (Id., La force du

quotidien, Mame, Paris 1973). Bagolini ha inoltre invitato Flusser, dopo il suo trasferimento in Italia,

a tenere una lezione con i suoi studenti, svoltasi nella primavera del 1972 a Castel Del Piano, in lingua italiana.

11 L. Bagolini, Mito, potere e dialogo, Il Mulino, Bologna 1967, p. 62. 12 R. Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 2016.

13 L. Bagolini, Mito, potere e dialogo, cit., p. 67.

indiretto agli interessi altrui15. Le culture altrui e quelle passate ci sono propriamente accessibili solo attraverso la cornice della nostra. Il mito inteso in questo senso non svalutativo, che Bagolini, citando Ferreira da Silva, definisce «condizione di apertura e di esplicazione delle possibilità umane»16, mostra diversi punti di contatto con la teoria di Flusser della religiosità17.

Le riflessioni di Bagolini sull’ideologia ci permettono di mettere in luce il carattere sempre mediato della nostra visione del mondo e dell’accadere storico. La posizione di Ferreira da Silva, tuttavia, non si limita a constatare una sorta di preconcetto antropologico. Afferma invece qualcosa di molto prossimo all’idea di Schmitt secondo cui «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati»18. Quando il filosofo brasiliano scrive che il mito costituisce l’orizzonte all’interno del quale la storia può svilupparsi, non sta pensando il concetto di mito in senso debole, come una sorta di medium culturale, ma nel suo senso proprio di manifestazione del sacro. In Instrumentos, coisas e

cultura, facendo riferimento alle teorie di Leo Frobenius e Mircea Eliade, scrive:

«Tutte le azioni o le creazioni che si presumono umane o pseudoantropologiche, tutte le costruzioni e le produzioni dell’orbe culturale, si originano, in tutte le civiltà, dalla

mimesis di paradigmi dati nell’origine sacra dei tempi»19. In altre parole, anche la razionale e laica cultura occidentale contemporanea trova le sue radici in una dimensione teofanica, o come scrive riprendendo Eliade, ierofanica.