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Mentre l’estetica romantica per Appadurai ha preso la nozione di immaginazione associandola alla creatività e riservandola a pochi individui particolarmente sensibili e dotati, oggi invece l’immaginazione è stimolata dalla diffusione planetaria e capillare dei mezzi di comunicazione di massa che la rendono una forza sociale generalizzata.

Appadurai ricorda quanto le attività direttamente legate all’universo del consumo (pubblicità, marketing, strategie di marca, sponsoring) occupino un posto di primo piano nella produzione di questi immaginari. Egli insiste sulla forza simbolica dei media e sulla loro capacità di proiettare e nutrire spazi socioculturali. Questi, anche se immaginari, sono interiorizzati, continuamente interpretati e ricollegati alle proprie esperienze di vita.

Per Semprini, insieme ad internet, al consumo e ai movimenti sociali, le industrie culturali e dell’immaginario, i media e le altre forme di produzione simbolica, come l’edizione, gli svaghi culturali, i divertimenti, i parchi a tema, i videogiochi, la musica e il turismo, i passatempi e ogni altra forma di consumo culturale sono agenti del ‘world-making’, poiché alimentano di continuo l’immaginario collettivo e rappresentano una fonte abbondante e potente per l’immaginazione sociale.

È per questo che Maffesoli afferma che le manifestazioni della vita quotidiana «riposano essenzialmente sul contagio, sulla contaminazione, sulla pulsione a imitare l’altro nel suo modo di parlare, di vestirsi e di amare, […] divenire moda del mondo».113 Ciò favorisce l’emergere di una nuova cultura e di un nuovo ‘essere-insieme’.

111 Featherstone M., Cultura del consumo e postmodernismo, op. cit., p.166.

112 Nell’accontentare i propri gusti scegliendo i beni da consumare, l’individuo non svolge un’azione puramente istintiva dettata da una pulsione incontrollata. Al contrario, come afferma C. Wouters, spostarsi negli spazi urbani, passeggiare informalmente tra la merce in mostra, osservare con entusiasmo e distacco, guardare senza essere visto, richiede un «de-controllo controllato delle emozioni», un edonismo controllato che i consumatori tengono nelle esplorazioni dei beni da scegliere per costituire la propria immagine. Cfr. Wouters C., Formalization and

informalization: changing tension balances in civilizing processes, in «Theory, culture & society», vol. 3, n. 2, 1986.

Gli orientamenti e le preferenze di consumo e di stili di vita rendono classificabile il gusto dell’individuo. Scrive P. Bourdieu: «il gusto classifica, e classifica i classificatori».114

Le preferenze di consumo e le pratiche utilizzate hanno per scopo il lasciare indizi, immagini visibili che possano veicolare l’appartenenza ad un certo stile di vita, associarlo a specifiche occupazioni, all’appartenenza a determinate classi e quindi al possesso di un certo potenziale.Gli oggetti indossati ricoprono dunque il ruolo di «simboli di status di classe».115

È per tale ragione che nell’era attuale, soprattutto tra i giovani, e in alcune frazioni della classe media, si trovano individui che posseggono beni sociali simbolici, i positional goods,116 ‘beni posizionali’ che identificano lo status sociale delle sfere alte della società, quali vacanze in luoghi ritenuti in, abiti e accessori di marchi costosi, autovetture di prestigio, il cui possesso ha lo scopo di mostrare uno stile di vita che in realtà può anche essere molto lontano dalle altre sfere della vita quotidiana di coloro che le mostrano.

La piramide maslowiana dei bisogni nella società contemporanea sembra capovolgere la base con il vertice: i bisogni di stima, prestigio, successo e autorealizzazione vi occupano un posto di rilievo.

Ma, come Bourdieu afferma, gli schemi classificatori che rivelano la vita di una persona non sono solo nella disponibilità che essa ha nell’acquisto di beni, ma sono presenti nella forma del suo corpo, nella taglia, nel peso, nella postura, nell’andatura, nel contegno, nel tono di voce, nello stile del parlare, nelle maniere, in altri termini, gli indizi della sua appartenenza più profonda vengono volutamente o no alla luce ancora una volta nell’immagine che essa trasmette. La cultura è incorporata, così «non si tratta solo di quali vestiti siano indossati, ma come essi vengano indossati»,117 per poter trasmettere la classificazione visibile dall’oggetto al soggetto, ovvero all’attore sociale.

Nello scenario delle città postmoderne gli individui sono impegnati in un complesso gioco di

segni che si immette all’interno della proliferazione dei segni negli ambienti edificati e nel tessuto

urbano, in un’estetizzazione più ampia che coinvolge la città stessa.118

Coloro che sono alla ricerca di un modello estetico da imitare si affidano ai media, quali giornali, libri, film e programmi televisivi. È come se ogni persona divenisse autodidatta,119 con lo

114 Cfr. Bourdieu P., La distinction: critique sociale du jugement, Édition de Minuit, Paris, 1979, trad. it. La distinzione:

critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 1983. l’Autore prende ad esempio i numerosi manuali che dispensano

consigli sulle buone maniere, il gusto e l’etichetta, la cui diffusione proviene a partire da Erasmo ma che sono tutt’oggi molto diffusi.

115 Cfr. Goffman E., System of class status, in «British journal of Sociology», n. 2, 1951, citato in Featherstone M., trad. it. Cultura del consumo e postmodernismo, op. cit.

116 Cfr. Hirsch F., The social limits to growth, Rouletdge & Kegan Paul, London, 1976, trad. it. Limiti sociali allo

sviluppo, Bompiani, Milano, 1981.

117 Featherstone M., trad. it. Cultura del consumo e postmodernismo, op. cit., p. 46. 118 Ivi.

scopo narcisistico di capire i modelli estetici dominanti e di imitarli. Pertanto la società postmoderna risalta il ruolo di quelli che Bourdieu definisce gli ‘intermediari culturali’, quali media, design, moda, pubblicità, informazione ‘para- intellettuale’, marketing.

Secondo la nozione di economia generale di Bataille, la produzione economica non si collega alla scarsità ma all’eccesso. Nell’era postmoderna per controllare la crescita e gestire il surplus l’unica soluzione è distruggere o sperperare l’eccesso attraverso i giochi, la religione, l’arte, le guerre e la morte. Perciò il Capitalismo e il tardo Capitalismo producono immagini e luoghi che assecondano i piaceri dell’eccesso.

Tali immagini e luoghi favoriscono l’oscuramento del confine tra arte e vita quotidiana, come si osserva anche dal mutamento dell’oggetto della cultura artistica dal ventesimo secolo, con lo spostamento dell’arte all’interno del design industriale e degli avanguardismi che comprendono, nel ruolo dell’arte, la cultura del consumo che ha riclassificato il significato di cultura ed ha indebolito il confine tra ‘alta cultura’ e cultura di massa.

Nella società postmoderna alla cultura è dato un nuovo significato, a causa della saturazione dei segni e dei messaggi fino al punto che «ogni cosa nella vita sociale si può dire che sia diventata culturale»,120 rinunciando per sempre alla distinzione di lunga memoria tra cultura alta e cultura di

massa, che poneva la prima in un senso esclusivo, accessibile solo ad élites di esperti e relegava la seconda in una considerazione di poco valore, perché appartenente al volgo. Oggi l’insieme della produzione culturale viene assorbita dalla logica di mercato e tende ad essere trasformata in merce (commodification).

La cultura emergente in un tale scenario è stata considerata una ‘cultura senza profondità’ che, nello stadio del tardo capitalismo, appare come cultura della società dei consumi.121

Secondo Featherstone si può parlare di estetizzazione della vita quotidiana in tre sensi: in quello delle subculture artistiche122 che hanno per scopo cancellare il confine tra arte e vita quotidiana togliendo all’arte la sacra aura e diffondere il concetto che l’arte può essere ovunque e qualsiasi cosa. In un secondo senso, l’estetizzazione si riferisce all’esplosione e al flusso ininterrotto di segni e immagini che riempie la vita quotidiana, che hanno indotto lo sviluppo di mondi di sogno (dream worlds) della cultura del consumo di massa. In un terzo, essa si inserisce nel progetto di far diventare la vita stessa un’opera d’arte.

Gli ultimi due punti si trovano insieme nella teoria dei segni–merce (commodity-signs) di Baudrillard, in cui egli osserva il modo in cui la merce è divenuta un segno con un significato

119 Ibidem, p. 44.

120 Jameson F., trad. it. Il postmoderno, o la logica culturale del tardo Capitalismo, op. cit., p. 87. 121 Ibidem.

122 Si fa qui riferimento al Dadaismo, all’avanguardia storica e ai movimenti surrealisti nella prima Guerra Mondiale e negli anni Venti e alla trans-avanguardia degli anni Sessanta.

arbitrariamente determinato dalla sua posizione in un insieme auto-referenziale di significanti. Le immagini incessanti dell’iperrealtà rendono più labile il confine tra questa e la realtà e la seduzione estetica appare disseminata ovunque. In tal modo tutto finisce nella categoria dell’arte e diventa estetica: ogni oggetto o esperienza, in questo senso, può essere considerato d’interesse culturale.123

Il corpo stesso diventa opera d’arte, che si espone alle invidie e ai giudizi degli altri.

Il concetto di cultura, riferibile da una parte alle arti e dall’altra al modo di vivere in senso antropologico, si radicalizza in quest’ultimo.

In questo senso l’importanza di new ed old media diventa massima, poiché non sono solo veicoli di immagini, sensazioni ed emozioni, ma produttori di significati importanti per gli individui in quanto forniscono loro gli orientamenti e i parametri estetici vigenti. Secondo P. Bouvier, «il telespettatore tenta di rimediare alla sua perdita di senso spostandosi verso i simbolici e i personaggi messi in scena».124

Basti pensare al potere e prestigio di cui nel mondo di oggi, come mai in passato, possiedono ideatori, autori, artisti, produttori. J. Rifkin ha analizzato il peso determinante di acquisito dall’economia dell’immateriale nell’economia mondiale alla fine del XX secolo ed ha osservato come questa sia così preponderante da aver creato le nuove élite della società postmoderna.125 Da ciò se ne comprende la grande importanza che rivestono nella società contemporanea. Sostiene Bouvier che la ‘folla solitaria’ trova nei personaggi e nelle celebrità, star dello spettacolo, dello sport, della cultura e della politica, dei vettori portatori di senso. La loro esteriorità e le appartenenze ai contesti in cui le loro peculiarità sono specificate portano i pubblici ad essere affascinati dalle immagini e dagli immaginari in cui queste personalità si spostano e si sviluppano.126

Allo stesso modo, seguendo il pensiero di E. Morin, gli spettatori prendono coscienza dei mondi e dei legami sociali, molto differenti dai propri, a cui quelle celebrità si vantano di appartenere. 127

123 Scrive Baudrillard: «E così l’arte è ovunque, giacché l’artificio sta al centro della realtà. Così l’arte è morta, non soltanto perché è finita la sua trascendenza con la realtà, ma perché la realtà stessa, completamente impegnata da un’estetica che è inseparabile dalla propria struttura, è stata confusa con la propria immagine». Baudrillard J.,

Simulations, New York, Semiotext, 1983, p. 151.

124 Bouvier P., Le lien social, op. cit., p. 281.

125 Cfr. Rifkin J., The age of access: the new culture of hypercapitalism, where all of life is a paid-for experience, Tarcher, New York, 2000, trad. it. L’era dell’accesso: la rivoluzione della new economy, A. Mondadori, Milano, 2000. 126 Cfr. Bouvier P., Le lien social, op. cit. Egli sottolinea come le celebrità dei media siano costruite in immagini tali da essere parzialmente trasportabili nel quotidiano, in modo che l’Altro sia percepito come ‘un altro se stesso’. In particolare, le figure dei presentatori dei telegiornali e dei concorrenti dei giochi televisivi, sono considerate dagli spettatori come persone che appartengono al familiare.

È però vero che non si può non tener conto che quelle immagini costruite per intrattenere, producono gioco forza delle conseguenze sugli spettatori, in virtù sia del numero del tempo trascorso di fronte alla televisione, sia della sua diffusione capillare.

Il telespettatore, soprattutto nei programmi televisivi costituiti da ‘giochi societali’ di avventura o di ‘conquista’ in cui la posta in palio è di volta in volta l’amore, la fama, il denaro, etc…, è educato ad una pedagogia dell’eliminazione, della menzogna, dei falsi accordi e delle astuzie incoraggiate dal gioco, stigmatizzando come ‘naturalmente attuabili’ i valori negativi della cupidigia, dell’amoralismo, del gusto dell’esibizione in un quadro in cui ciascuno strumentalizza l’altro e privilegia se stesso, un darwinismo sociale realizzato nel quadro di un hobbesiano ‘tutti contro tutti’.128

Per la maggior parte dei casi, la partecipazione a questo genere di giochi nasce dal desiderio smodato o, meglio, dal miraggio, di entrare a far parte di quello che non è più il mondo, ma il

pianeta dello spettacolo, uno spazio che non è terreno, ma al contrario rappresenta l’altrove su cui

fuggire dalla vita terrena, piena di sacrifici e difficoltà. Lo scopo è consumare la propria esistenza e la propria immagine, facendole coincidere, nello spazio cui si anela ad appartenere. Ciò consentirà, senza sacrifici, di avere, per tutto il tempo in cui sarà possibile agguantarli, bellezza, fama e denaro. Un ‘sogno’ per molti: il tempo del lavoro diventa il tempo del piacere e consiste nell’autocelebrazione dell’io.

Come risultato, numerosi individui, senza un’arte definita da offrire al pubblico, autoalimentano i mercati autopoietici delle discoteche e delle riviste scandalistiche. Molti di essi, quando sono intervistati, spesso raccontano quanto fosse disperata la propria vita prima di entrare nel circuito dei media. A questo proposito, è bene sottolineare che gli effetti della visione di queste immagini ‘immaginifiche’ hanno sugli spettatori possono essere fortemente negativi, soprattutto per coloro che per l’età o per lo status sociale non riescono a decodificare questi personaggi come merce, consumata dai loro sguardi.