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La sociologia delle mobilità appare una valente teorizzazione all’interno di una situazione poliparadigmatica quale si presenta quella contemporanea, poiché è capace di dar conto dei fenomeni correnti, delle connessioni tra gli eventi, in definitiva dei funzionamenti di molti tra i

319 De Nardis P. (a cura di), Le nuove frontiere della sociologia, Carocci, Roma, 1998, p.13. 320 Ferrarotti F., La sociologia alla riscoperta della qualità, Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 77. 321 Ibidem, p. 79.

fenomeni sociali attuali. In quest’ottica si può affermare che essa risponde alle due istanze metodologiche di intendere, in virtù di un procedimento interpretativo, e di spiegare causalmente.322

Inoltre, la complessità del sapere sociologico rende la sociologia terreno fertile per successive teorizzazioni ed avanzamenti giacché la realizzazione di una complementarità tra le diverse branche della sociologia serve la causa di autocomprensione propria delle scienze sociali.

Sostenere il paradigma delle mobilità non significa certamente definire il superamento dell’homo oeconomicus, psycologicus o sociologicus323 in favore di un contemporaneo homo

cyborg che si muove continuamente, servomeccanico di tentacoli tecnologici con i quali gestisce ed

esperisce la propria vita. È certamente evidente, tuttavia, che la vita sociale oggi assume nuove forme, immersa com’è in collegamenti quotidiani multidimensionali che rendono alcune categorie sociologiche obsolete, incapaci di disegnare tutte le trasformazioni nella vita collettiva ed individuale postmoderna.

A. Touraine afferma con determinazione che oggi si assiste «alla scomparsa dell’universo che abbiamo chiamato ‘sociale’»324 e indica come punto di partenza della sua analisi la distruzione di tutte le categorie sociali tanto che, secondo l’Autore, ci troviamo di fronte ad un’inquietante fine

del sociale. La globalizzazione, qui intesa come separazione completa dell’economia dalle altre

istituzioni sociali e politiche, come pure la dissoluzione di ogni genere di frontiera che porta alla frammentazione della società, hanno contribuito al crollo di tutte le categorie sociali di analisi e di azioni.325

Senza qui voler concordare con la visione estrema e provocatoria avanzata da Touraine, certamente non è né pensabile né fruttuoso porre in disparte tutte le categorie sociologiche finora usate per pensare di farne germogliare altre totalmente differenti: le nozioni dell’analisi sociologica finora concettualizzate, restano categorie necessarie per la comprensione della realtà, ma occorre aggiungerne altre senza le quali sarebbe impossibile comprendere e spiegare la realtà postmoderna. Anche le formulazioni di Sheller e Urry non intendono decretare la morte della società come l’oggetto dell’indagine sociologica, ma propongono di concepire la realtà come intrinsecamente e ricorsivamente mobile, ripensando il concetto di società su basi diverse da quelle adottate tradizionalmente dalla sociologia, suggerendo quindi di ridefinire la stessa disciplina sociologica.

322 Queste le parole con cui Weber dà l’inizio alla Wirthschaft und Gessellschaft: «La sociologia […] deve designare una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l’agire sociale e quindi di spiegarlo causalmente nei suoi effetti». Weber M., trad.it. Economia e società, op. cit.

323 Cfr. Dahrendorf R., trad. it. Homo sociologicus. Uno studio sulla storia, il significato e la critica della categoria di

ruolo sociale, op. cit.

324 Touraine A., Un nouveau paradigme. Pour comprendre le monde d’aujourd'hui, Fayard, Paris, 2005, trad. it. La

globalizzazione e la fine del sociale, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 12.

La sociologia delle mobilità è una valente risposta alla richiesta di formulare una sociologia della postmodernità, che va a dare un nuovo significato alle tradizionali teorie ‘messe in crisi’ dalle mobilità, ma che non perdono del tutto la loro importanza.

La scelta di Sheller ed Urry di nominare l’impianto teorico delle mobilità come ‘nuovo paradigma’, indica il valore epistemologico che essi vogliono donare a questa teoria.

Seguendo l’analisi di P. Corbetta sulla rilettura della definizione di ‘paradigma’ di T. Kuhn applicata alla disciplina sociologica, si può affermare che la sociologia delle mobilità contiene gli elementi necessari per essere definita un paradigma. Essa, infatti, rappresenta una prospettiva teorica fondata sulle acquisizioni precedenti della disciplina stessa; inoltre, si realizza indirizzando la ricerca in termini sia di individuazione e scelta dei fatti rilevanti da studiare, sia di formulazioni ed ipotesi in cui collocare le spiegazioni del fenomeno osservato, sia di utilizzo delle tecniche di ricerca empiriche necessarie.326

In questo senso, è preferibile utilizzare il termine paradigma piuttosto che quello di teoria poiché in grado di esprimere qualcosa di più ampio e di più generale. Esso è «una visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che precede l’elaborazione teorica».327

Il paradigma delle mobilità è paragonabile a ciò che Kuhn indica come il cambiamento successivo ad una ‘rivoluzione scientifica’. Sebbene qui non si tratti di un vero e proprio rovesciamento delle strutture esistenti, quanto piuttosto di un riorientamento della disciplina sociologica, il paradigma delle mobilità pone un mutamento nella struttura concettuale esistente attraverso la quale gli scienziati guardano il mondo, dona loro ‘nuovi occhiali’ sulla realtà.

Le mobilità sono un fenomeno multidimensionale e risentono di numerosi fattori che determinano l’agire sociale: le motivazioni soggettive, gli obiettivi prefissati, le risorse e opportunità disponibili, le opportunità offerte, dunque le condizioni strutturali, come l’appartenenza, la stratificazione, il grado di apertura del sistema. Gli orizzonti di esperienza di ognuno dipendono da questa tensione tra macrosociale, vale a dire le caratteristiche della struttura sociale su larga scala, e microsociale, l’interazione e la comunicazione umana. Rispetto al loro oggetto di studio, le prospettive teoriche si dividono in modo netto tra quelle che trattano il livello macro e quelle che trattano il livello microsociologico.328 Questa distinzione non sostiene che non vi sia alcun incontro tra le due prospettive dal momento che, come afferma N. J. Smelser, accade che «ipotesi che leghino le posizioni nella struttura sociale al comportamento poggiano sempre su

326 Cfr. Kuhn T., The structure of scientific revolutions, Chicago, University of Chicago Press, 1962, trad. it. La

struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torini, Einaudi, 1969, citato in Corbetta P., La ricerca sociale: metodologia e tecniche. I paradigmi di riferimento, op. cit.

327 Ibidem, p. 13.

328 Cfr. Wallace R. A., Contemporary sociological theory, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1980, trad. it. La teoria

asserzioni psicologiche, quantomeno implicite»329 e, concordando su questa posizione, R. A. Wallace aggiunge che si basano in particolare sulle concezioni generali della natura umana.330

Le pratiche di mobilità possono fornire un utile punto di contatto con entrambi queste parti. Esse riproducono le caratteristiche proprie del fatto sociale: l’esteriorità, dal momento che le reti, le connessioni e i flussi sono esterne agli individui, la coercitività, giacché è ad esse che l’individuo deve modellare la sua vita, pena la marginalizzazione. Ciononostante, nelle pratiche di mobilità si ritrovano anche elementi individualistici, dal momento che la spinta al movimento proviene certamente dal singolo che, almeno in prima istanza, mette in moto l’interazione individuale.

Se si considera la mobilità come la chiave con la quale aprire la porta del sapere sociologico della postmodernità, essa può definirsi un punto di incontro sempiternamente cercato tra la corrente olista e quella individualista.

Le pratiche della mobilità, moltiplicate in modo esponenziale in tutto il mondo, sono infatti certamente condizionate da fattori macrosocietari che rappresentano una realtà sociale al di fuori dell’individuo e che permettono o, al contrario, impediscono di intessere relazioni e connessioni, mentre è dal singolo che parte l’esigenza e la volontarietà del rapporto. Non è possibile definire a priori se la volontarietà di praticare la mobilità sia imposta dalla società o sia invece frutto di un’elaborazione individuale, è però certo che la spinta individualistica si immette in una dinamica di possibilità o impossibilità oggettive. In altre parole, l’individuo è reso nomade dalla società che lo costringe a comporre la propria vita attraverso continue mobilità, ma, nel contempo, è nomade per sua natura e queste mobilità sono scelte da lui stesso che decide quali percorsi seguire anche ad opera di azioni individuali.331

Il paradigma delle mobilità è invece travisato se viene letto come teoria onnicomprensiva che intende spiegare il quadro sociale in modo completo, descrivere tutti i fenomeni sociali, formulare assunti di base concernente la natura umana e cercare un nesso causale nelle sue azioni per poter poi allargarsi e giungere alla prevedibilità. In realtà questo paradigma sembra situarsi tra le teorie unificate, che intendono costituire un paradigma universalmente valido, e le teorie di medio

329 Smelser N.J. (ed.), Sociology: an introduction, John Wiley, New York, 1973, p. 13, citato ibidem, p. 352. 330 Ivi.

331 Anche l’emigrazione-immigrazione non è la semplice conseguenza di azioni determinate solo in senso individuale o coercitivo della società, come persecuzioni, povertà o sovrappopolazione. Le decisioni individuali sono elementi di base che causano flussi migratori solo quando si combinano con particolari elementi temporali, geografici, politici ed economici che rendono il processo migratorio selettivo, dal momento che solo alcune persone migrano verso particolari Paesi. Cfr. Sassen S., Migranten, Siedler, Flüchtlinge. Von der Massenauswanderung zur Festung Europa, Fischer Taschenbuch Verlag, Francoforte, 1996, trad. it. Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla fortezza

raggio formulate da R. K. Merton, ovvero quelle teorie con una serie limitata di presupposti da cui è

possibile controllare empiricamente le ipotesi specifiche avanzate.332

La fenomenologia delle mobilità contemporanee si sposta quindi dalla sua collocazione di

interstizialità all’interno della disciplina sociologica, intesa nel senso di marginalità, di scarsa

collocazione e di esigua visibilità per diventare il modello sociale peculiare della cultura postmoderna.

Nel concordare con il nuovo paradigma delle mobilità proposto da Sheller ed Urry, si condivide qui anche la centralità del turismo, fenomeno tra i più importanti e massivi dell’età attuale, considerato dal paradigma delle mobilità quale elemento rivelatore di numerose caratteristiche delle società sia di partenza che di arrivo, come pure il significato conferito alla figura del turista, da più parti indicato quale metafora evocativa della postmodernità.

Egli, viaggiatore volontario temporaneo, vive l’esperienza del viaggio muovendosi lungo le mobilità del panorama contemporaneo cogliendone tutta la complessità e le polivalenze.

332 Cfr. Merton R. K., Social theory and social structure, Free Press, New York, 1949, trad. it. Teoria e struttura

III CAPITOLO

DA TURISTA A POST-TURISTA, IL TURISMO ESPRESSIONE

DELLO SCENARIO CONTEMPORANEO

3.1. Le origini del fenomeno turistico

Il fenomeno turistico è strettamente collegato alle caratteristiche proprie del tempo: i suoi mutamenti e la sua evoluzione avvengono in relazione ai cambiamenti sociali, politici e culturali.

Se il turismo religioso nella declinazione del pellegrinaggio rappresenta la prima forma di turismo praticato nelle diverse civiltà umane,333 gli studiosi tuttavia concordano nell’indicare, quale precursore delle forme di turismo moderno, il Grand Tour che si sviluppò in Europa nel Settecento. Questo consisteva in un viaggio compiuto da giovani nobili, dapprima britannici e poi tedeschi e francesi, le cui maggiori mete erano l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera e i Paesi Bassi, allo scopo di perfezionare la propria formazione letteraria, artistica e scientifica, oltre che per motivi di svago. Tali viaggi rappresentavano un segno di distinzione per aristocratici e borghesi che, nel confronto con le culture ‘altre’, completavano la propria formazione per ottenere la migliore gestione dei propri patrimoni.

Più tardi, nel corso dell’Ottocento, il Grand Tour cominciò a passare di moda e venne progressivamente sostituito dalle visite alle colonie britanniche, in principio all’India, poi verso il Sudafrica, lo Sri Lanka, l’Australia e la Nuova Zelanda. Anche lo scopo del viaggio si modificava in ricerca dell’esotismo o di testimonianze di antiche civiltà, dovuto in parte al mutamento di valori, parzialmente di matrice romantica, che si sviluppò nel tardo XVIII e primo XIX secolo. Il Romanticismo, infatti, affermava che si potevano provare emozioni di fronte al mondo naturale e che si doveva ammirare tale scenario con incanto; suggeriva che i residenti delle città e dei centri urbani industriali di recente sviluppo potevano trarre grandi benefici dal trascorrere brevi periodi di vacanza in luoghi lontani, ammirando la natura. L’enfasi fu dunque posta sull’intensità dell’emozione, della sensazione e sul mistero poetico: vedute straordinarie potevano dare vita a piacevoli stati d’animo.334

333 La comunità scientifica concorda nel considerare il turismo religioso come la prima forma di turismo in quanto praticato anche dalle civiltà più antiche. Si confronti anche il testo Lavarini R., Il pellegrinaggio cristiano: dalle sue

origini al turismo religioso del XX secolo, Marietti, Genova, 1997.

334 Cfr. Newby P., Literature and the fashioning of tourist taste, in Pocock D. (edited by), Humanistic geography and

literature, Croom Helm, London, 1981 e Feifer M., Going places. The ways of the tourist from Imperial Rome to the present days Macmillan, London, 1985.

Di origine anglosassone fu anche il soggiorno alle terme, che raggiunse il suo massimo sviluppo nel Settecento.335 Come il Grand Tour, anche la scelta di questa modalità di fruizione turistica avveniva ad opera dell’aristocrazia che, in un ambiente caratterizzato da una marcata differenziazione verticale degli stili di vita, per la quale il soggiorno alle terme apparteneva al costume dei soli ceti privilegiati che facevano dell’ozio un elemento di distinzione. Ben presto, però, il ceto medio borghese inglese, costituito da commercianti e liberi professionisti che grazie all’industrializzazione e all’urbanizzazione si sviluppò prima che nel resto d’Europa, iniziò a frequentare le città termali ed a relazionarsi con gli aristocratici allo scopo di ottenere un riconoscimento del proprio ruolo nella società, compiendo, pertanto, un cambiamento nella valutazione sociale delle occupazioni.

È proprio nel passaggio dalle società aristocratiche a quelle borghesi che mutarono le caratteristiche sulle quali si fondavano allora gli stili di vita: l’identificazione nella classe che ricopriva i posti più alti nella scala sociale, non poggiava più su un prestigio ideale o sulla possibilità di ostentare momenti di ozio, ma d’ora in poi sarebbe stato rinvenibile nell’elemento più prosaico del consumo.

Il turismo rappresentava allora un elemento di distinzione dal momento che nel Settecento la permanenza nelle località termali avveniva all’inizio solo ad opera delle classi aristocratiche; successivamente lo stesso soggiornarvi diveniva un elemento di distinzione sociale. Il turismo è così utilizzato «come strumento per evidenziare e consolidare la propria posizione sociale».336 Dapprima solo coloro che appartenevano alla classe superiore potevano fruire di particolari località, successivamente lo stesso villeggiarvi permetteva l’accesso alla classe superiore, il cui ingresso era ora possibile non più solo per l’appartenenza alle classi che possedevano beni economicamente rilevanti, come ad esempio la proprietà fondiaria trasmessa per eredità, ma anche alle classi acquisitive, ovvero quelle che operano il loro inserimento nei gradini più alti della stratificazione sociale grazie alla possibilità di partecipare a determinati consumi.337

Verso la fine del XVIII secolo la moda delle vacanze nelle località termali giunse nell’Europa Continentale,338 mentre, agli inizi del XIX secolo cominciò il declino delle località

335 Il primo esempio di località interamente dedita alle attività turistiche è la cittadina inglese di Bath. In essa era possibile dapprima un turismo di cura di tipo tradizionale e, successivamente, divenne centro di svago per il ‘loisir’, con luoghi specializzati all’intrattenimento dei turisti.

336 Corvo P., I mondi nella valigia. Introduzione alla sociologia del turismo, Vita e Pensiero, Milano, 2005, p. 27. 337 Lo studio sulla mobilità sociale è ben presente negli studi di Sociologia fin dai suoi inizi. Marx e Weber approfondiscono l’argomento nella trattazione, rispettivamente, delle fasi di sviluppo dei sistemi sociali e dei modi di produzione e nell’esame, in chiave multidimensionale, dei rapporti tra classi, ceti e partiti. Un contributo rilevante proviene anche da Pareto, che elabora una teoria della circolazione delle élite riferita ai processi di reclutamento e di riproduzione delle classi dirigenti politiche. La prima organica trattazione della mobilità sociale intesa in senso contemporaneo si deve invece a Sorokin.

338 Il centro termale più famoso diviene in quel tempo Spa, cittadina del Belgio, del quale ancora oggi si utilizza il nome come sinonimo di ‘centro benessere’.

termali come luogo di svago, a causa dello sviluppo dei centri costieri dove, dalla fine del Settecento, prese piede la ‘villeggiatura marina’, che condusse allo sviluppo di località francesi meridionali costiere, quali Cannes, Nizza, Mentone e Montecarlo. Occorre precisare che fino a quel momento la villeggiatura nelle località di mare non consisteva ancora nel trascorrere le giornate in spiaggia o nel nuotare, ma in una permanenza nei periodi invernali per compiere ‘immersioni’ nell’acqua strutturate e ritualizzate che configuravano la spiaggia come luogo di terapia medica e non di svago.339

Negli stessi anni si diffuse anche il turismo montano, ad opera ancora una volta di inglesi benestanti, attratti dalle vette alpine. È nella cittadina francese di Chamonix che vennero costruite le prime strutture ricettive di tipo turistico. Successivamente fu la Svizzera che si affermò come luogo di eccellenza del turismo montano, anche grazie all’introduzione di pratiche sportive, quale lo sci, il pattinaggio e l’hockey sul ghiaccio, che rappresentarono un ulteriore fattore di attrazione turistica.

Solo nei primi decenni del Novecento, con «la scoperta del sole»340 il bagno perse la sua funzione terapeutica e divenne un soggiorno di svago. Gran parte dell’attività turistica del XIX secolo ebbe origine attorno al fenomeno naturale del mare e alle sue supposte proprietà salutari. Nasceva così il ‘turismo balneare’ le cui mete restarono le coste del Mediterraneo, frequentate anche nei mesi più caldi. Negli stessi anni si consolidava il turismo ‘della neve’.

Fino ai primi decenni del Novecento i ceti medi e le classi popolari restarono esclusi dalla fruizione turistica, a causa della mancanza di disponibilità economica e dalla conseguente assenza di tempo libero.

Dagli anni Venti, negli Stati Uniti e dal Secondo Dopoguerra in Europa emerse il turismo di

massa, così chiamato perché sviluppatosi all’interno della società di massa della quale assunse le

caratteristiche.

Il turismo di massa, caratteristico delle società moderne, si poté sviluppare solo quando i molteplici mutamenti economici, urbani, infrastrutturali e comportamentali del XIX secolo trasformarono le esperienze di gran parte della popolazione delle società europee.

La nascita di questa nuova tipologia di turismo è dovuta a tre cause principali: prima fra tutte, il riconoscimento delle ferie retribuite ai lavoratori dipendenti che concedeva per la prima volta un ‘tempo libero’. In quegli anni venne infatti mutando la cultura temporale, anche a causa dell’aumento considerevole del benessere economico di ampi settori della popolazione industriale. Nel XIX secolo il reddito nazionale pro-capite quadruplicò permettendo a settori della classe operaia di accumulare risparmi tra una vacanza e l’altra.

339 Hern A., The seaside holidays, Cresset Press, London, 1967, p. 21.

Solo dalla metà del secolo XIX le richieste della manodopera di ottenere periodi di assenza dal lavoro come occasioni per sviluppare proprie forme autonome di ricreazione, portarono alla graduale estensione dell’istituto delle ferie.

Lo sviluppo del turismo di massa costituì un aspetto importante della separazione tra lavoro e svago; tale distinzione caratterizzò i processi sociali del XIX secolo, quando si realizzò una razionalizzazione crescente di lavoro e svago: in quegli anni il lavoro in quanto tale acquisì progressivamente valore e non come mero rimedio all’ozio. Si fecero alcuni tentativi per passare dall’orientamento al compito, all’orientamento al tempo.341

Il turismo è un’attività del tempo libero che presuppone il suo opposto, ovvero il lavoro regolato. Esso mostra che, a partire dalle società moderne, il lavoro e il tempo libero sono sfere separate, regolate dalla pratica sociale. Il pensiero di Urry riprende le riflessioni di M. Feifer, per la quale essere un turista è una delle caratteristiche dell’esperienza ‘moderna’, al punto che ‘non partire’ è come non possedere un’auto o una casa accogliente. Nelle società moderne, la vacanza è un indicatore di status se non addirittura necessaria per la salute fisica.342