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La formulazione di nuovi paradigmi per comprendere la società, manifesta l’esigenza della nascita di una ‘sociologia della postmodernità’. La riflessione sociologica in questo senso, da tempo attendeva la concettualizzazione di un modello che contenesse tutti gli arricchimenti costituiti dalle dimensioni nodali della società contemporanea.

Già alla fine degli anni Ottanta, quando le reti e le mobilità non avevano la pregnanza che posseggono oggi, da più parti nel panorama sociologico si avvertiva che i modelli prevalenti non erano più capaci di cogliere totalmente il reale.306 Scrive Mongardini che la condizione postmoderna rappresenta una rivoluzione culturale che si afferma soprattutto nel mutare radicalmente la rilevanza e la priorità dei bisogni, delle scelte, degli oggetti, e delle esperienze della vita mentale.307 Della stessa idea è anche Maniscalco, che suggerisce per la sociologia della postmodernità un «rinnovamento teoretico», dal momento che «come sempre, un mutamento sostanziale nella realtà conduce ad una necessaria revisione dell’armamentario logico, categoriale e

305 Cfr. Kern A. B. – Morin E., Terre-Patrie, Édition du Seuil, Paris, 1993, trad. it. Terra patria, Cortina, Milano, 1994. 306 Si può affermare che le grandi correnti del pensiero sociologico abbiano dato forma ai metodi e alle tecniche della ricerca sociologica fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso. A partire dal decennio degli anni Sessanta, caratterizzato dai movimenti per i diritti civili, dalle proteste studentesche, dalle rivolte urbane, dalla lotta contro le disuguaglianze, dallo sviluppo del movimento femminista, la disciplina sociologica è segnata da profondi cambiamenti e rinnovamenti che muovono dalle riflessioni sulle trasformazioni in atto. Cfr. Corbetta P., La ricerca sociale:

metodologia e tecniche. I paradigmi di riferimento, Il Mulino, Bologna, 2003.

307 Citato in Maniscalco M. L., Il discorso sociologico sul postmoderno. Introduzione ad un dibattito, in Mongardini M. – Maniscalco M. L. (a cura di), Moderno e postmoderno. Crisi di identità di una cultura e ruolo della sociologia, op. cit., p.19.

lessicale per mezzo del quale tale realtà vuol essere penetrata».308 In quegli stessi anni A. Ardigò osserva che gli oggetti della riflessione sociale non sono più riconducibili solo alla coppia luhmanniana sistema/ambiente, né a quella habermasiana sistema sociale/mondo della vita ermeneuticamente fondato su certezze tradizionali condivise, ma che è necessario introdurre una terza dimensione, ovvero lo spazio «delle innovazioni di senso e di azioni intersoggettive, anche tra soggetti non appartenenti alla stessa koiné linguistico-tradizionale, in un mondo sempre più di popolazioni mobili e cosmopolite».309 Nel comprendere che il futuro prossimo dello «esperire vivente contemporaneo, apparentemente senza radici»,310 sarebbe stato il mutamento dell’orizzonte individuale in un orizzonte mobile, l’Autore coglie la dimensione che alcuni anni dopo sarebbe diventata l’oggetto del paradigma delle mobilità, anche se si mostra incerto sul conferirle un ruolo rilevante rispetto agli altri temi allora dominanti in sociologia.

Così pure Giddens considerava «radicalmente difettosi»311 i modelli prestabiliti di analisi intellettuali mentre più recentemente Magatti si è mostrato convinto che «è l’idea stessa di società, come un sistema unitario, funzionalmente coeso, territorialmente definito e istituzionalmente organizzato che si rivela inadeguata».312

Il presupposto epistemologico di queste teorizzazioni è che la sociologia è qui contemplata come una scienza il cui scopo non è effettuare previsioni o predizioni muovendo dallo studio e dalla correlazione di dati empirici, ma è invece quello di comprendere, attraverso un procedimento interpretativo, l’agire sociale, cogliendone le correlazioni causali.

Tutte queste riflessioni muovono da quella che G. Ritzer denomina metatheorizing, ‘metasociologia’, ovvero «lo studio sistematico della struttura implicita o soggiacente alla teoria sociologica».313 Gli studi di Ritzer prendono le mosse dalla ‘sociologia riflessiva’ di A. W. Gouldner che studia il momento in cui il sociologo tiene conto dei condizionamenti della realtà storica culturale specifica e fa una ‘taratura’ dei propri strumenti. Gouldner e Bourdieu parlano di una ‘sociologia della sociologia’, una sociologia che Gouldner definisce ‘riflessiva’ e per la quale Bourdieu sollecita una ‘vigilanza epistemologica’.314 Il presupposto epistemologico sottostante è

308 Ivi.

309 Ardigò A., Per una sociologia oltre il postmoderno, Laterza, Roma-Bari, 1988, p. 7. Per Ardigò le caratteristiche che definiscono gli oggetti sociologici e a cui fare sempre riferimento sono la storicità, la evolutività, la dialetticità, la

globalità e la comparatività.

310 Ibidem, p.12.

311 Giddens A., Sociology, Polity Press, Cambridge, 1987, trad it. Sociologia: un’introduzione critica, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 28.

312 Magatti M. – Cesareo V. (a cura di), Le dimensioni della globalizzazione, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 81. 313 Ritzer G., Metatheorizing in sociology, Lexington Books, Lexington, MA, 1991, citato in Villa F., Sociologia e

metasociologia: itinerari di ricerca, Vita e Pensiero, Milano, 2000, p. 19.

314 Le opere dei due Autori cui si fa riferimento sono: Bourdieu P. - Passeron J.C . -Chamboredon J.C., Le Métier de

sociologue, Mouton-Bordas, Paris, 1968, trad. it. Il mestiere del sociologo, Guaraldi, Rimini-Firenze, 1976 e Gouldner

A.W., The Coming Crisis of Western Sociology, Washington University, 1970, trad. it. La crisi della sociologia, Il Mulino, Bologna, 1972.

che i concetti sociologici sono storici, correlativi, non vanno costruiti in generale e non sono valevoli in ogni tempo, ma devono essere costruiti in base alle caratteristiche di un contesto storico preciso.

Lo studio della sociologia, in altre parole, muove dal presupposto che «i metodi che la sociologia usa per ogni altro fenomeno sociale possono essere applicati alla sociologia stessa».315

R. Dahrendorf si muove sulla stessa linea, sostenendo che la società, che ‘si pone come terzo’ tra gli individui e il mondo, ha un’ubiquità nel suo stesso oggetto «che contiene in sé i principi della sua descrittibilità e la sua analisi». La sociologia, spiega l’Autore, «ha a che fare con l’uomo visto in relazione con la realtà condizionante della società».316

Occorre osservare che vi è qui una contrapposizione epistemologica evidente tra le polarizzazioni del formalismo e del culturalismo astratto.

I fautori del formalismo sono coloro che ritengono di poter identificare teorie generalizzate valevoli per tutte le società, che sono stati poi smentiti dalla constatazione che non esistono ‘calchi vuoti’,317 ma che la vita sociale stessa è fatta sia di forme sia di contenuti che influenzano le forme. Sul versante opposto si operano le teorizzazioni dei sostenitori del culturalismo astratto, le quali non sono invece condivisibili poiché rischiano di ridurre la sociologia allo studio delle culture delle società prese in esame di volta in volta.318

Storicamente, le definizioni date alla sociologia sono molto diverse. Per Marx le società, le classi e gli uomini sono totalità concrete che si configurano come conseguenza dell’organizzazione economica. Durkheim definisce l’oggetto della sociologia attraverso la sua totalità: la sociologia quale scienza delle istituzioni, della loro genesi e del loro funzionamento. Sorprendentemente in linea con quello che sarebbe stato il paradigma delle mobilità, Weber insiste invece sul carattere fluido del sociale, mai considerabile in termini di sistema chiuso, avvertendo che in questo modo avrebbe potuto consolidarsi in dogma.

La necessità di formulare un nuovo paradigma concettuale nasce dai cambiamenti sociali nel passaggio al postmoderno quali il rifiuto di teorie generali universali in favore di linguaggi teorici multipli che spiegassero scientificamente una realtà non unitaria ma frammentata; il rigetto di una razionalità lineare che lasciasse il posto ad una visione più vasta ed eterogenea; l’esaltazione delle differenze nella consapevolezza della molteplicità delle realtà locali; l’esaltazione della diversità in favore dell’identificazione con le minoranze.

315 Barbiellini Amidei G.- Bernardi U., I labirinti della sociologia, Laterza, Bari, 1976, p. 9.

316 Dahrendorf R., Homo sociologicus. Ein Versuch zur Geschichte, bedeutung und kritik der kategorie der sozialen

rolle, 1964, trad. it. Homo sociologicus. Uno studio sulla storia, il significato e la critica della categoria di ruolo sociale, Armando Editore, 1966, p. 35.

317 Ferrarotti F., Prefazione a Barbiellini Amidei G. - Bernardi U., I labirinti della sociologia, op. cit., p. VII.

318 Secondo Ferrarotti vi è la tendenza a rendere il presente eterno considerandolo un ‘nec plus ultra’, livellando così tutte le situazioni attuali, passate e future.

Le principali teorie sociologiche classiche da sempre hanno avuto come oggetto di studio il cambiamento sociale. Spesso il loro scopo è stato fornire strumenti per analizzare il cambiamento sociale e renderlo comprensibile. Le stesse analisi di Durkheim, Weber e Marx, hanno rappresentato lo sforzo critico di comprendere il cambiamento e di coglierne l’evoluzione.

Per De Nardis la sociologia «è nata per analizzare situazioni in cui le vecchie certezze venivano messe in discussione».319 Ferrarotti afferma che «le crisi sono tutt’altro che una novità per la sociologia. Ne sono l’ambiente naturale, la matrice originaria e lo stimolo costante, tanto che la sociologia, più che la scienza della società, come recitano i manuali, dovrebbe forse essere chiamata la scienza delle crisi sociali, una scienza essenzialmente in tensione perpetua».320 Nelle stesse pagine l’Autore mostra come la sociologia debba rifiutarsi di accettare il proprio ‘oggetto’ di studio, la società, come una proposizione «dogmatica, fissa, congelata»;321 al contrario, accetta l’oggetto di studio solo come ‘oggetto in movimento’. Egli afferma che «la ricerca scientifica odierna è multidisciplinare; anzi, per certi aspetti, è già post-disciplinare», aggiungendo che relegare il concetto di società ad un significato statico, ne tradirebbe e distorcerebbe l’intima, essenziale tensione.

La speculazione sociologica ha una necessità teoretica interna: elaborare paradigmi che meglio aderiscano alla realtà al fine di comprenderla, non considerando mai tali paradigmi come ‘finali’ ma cercando di coglierne il, pur perpetuo, divenire. In una giusta disposizione di cause e conseguenze, la cui collocazione è fondamentale per ogni disciplina o ragionamento, non è il sociologo che deve far rientrare la società negli schemi che ha strutturato, ma, in modo del tutto inverso, sono i modelli sociologici che devono seguire lo scorrere della società, devono riuscire ad ‘afferrarla’ in uno sforzo di autoriflessività continuo e, quando possibile, provare a tracciarne le evoluzioni future nella piena coscienza che, quando fossero cambiate dalle situazioni contingenti, richiederebbero nuove formulazioni più aderenti alla nuova realtà che si è delineata.

La sociologia delle mobilità, a mio avviso, offre una risposta chiara e logica alle richieste di elaborazione di modelli di comprensione della realtà contemporanea in relazione ai cambiamenti ed alle trasformazioni che la investono.