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3. La categorizzazione giuridica delle identità collettive e il conseguente condizionamento delle scelte di identificazione individuali

3.2. L’etno-nazionalismo ed il rafforzamento delle identità etniche

3.2.3. La base rurale, tradizionalista degli etno-nazionalismi

3.2.3.2. La guerra come vendetta delle campagne?

Durante la guerra, era un’abitudine popolare identificare i combattenti come barbari contadini. A Sarajevo, così come in altre città, i cittadini contrapponevano i raja, la popolazione urbana presentata come pacifica, ai papci che assediavano la città dalle colline.

Il noto architetto sarajevese di etnia serba, Bogdan Bogdanović, analizzò la guerra come conflitto fra città e campagna e come “guerra contro il mondo urbano”, definendola il punto estremo di un antagonismo da sempre esistente. L’analisi di Bogdanović si focalizzò sull’aggressione ai simboli della vita urbana e della cultura plurietnica e individuò una forma distinta di violenza politica: l’urbicidio.

Quasi vent’anni prima, infatti, Radovan Karadžić aveva scritto un poema sul suo desiderio di distruggere le città (e specificatamente Sarajevo) e di uccidere i “bastardi” che ci vivevano. Il riferimento era agli abitanti delle città intesi come nati da matrimoni misti. Voleva cioè distruggere una tradizione di vicinato e di convivenza nelle stesse famiglie di musulmani, croati e serbi.

Joel Martin Halpern spiega il suo desiderio di uniformità etnica, come tentativo di imporre una immagine di uniformità rurale alla diversità cittadina.

La forzata omogeneità che risulta dalla pulizia etnica, rappresenta non solo un’ovvia negazione della democrazia e della cultura cittadina plurietnica e secolare, ma anche una negazione della storia, particolarmente caratterizzata nei Balcani da costanti migrazioni. L’omogeneità etnica enfatizza una stabilità artificiale, basata su ristretti contatti e movimenti di persone. L’immagine predominante è la morte dei sistemi sociali plurietnici, che hanno sempre caratterizzato la Jugoslavia e, ancora di più, la Bosnia - Erzegovina379.

La presentazione delle guerre nell’ex-Jugoslavia come “vendetta del mondo rurale”, ha portato, secondo Xavier Bougarel, ad esagerazioni e talvolta ad un’acritica semplificazione della realtà. Questa iper-semplificazione trascura un fattore importante: spesso coloro che durante la guerra si accanirono a distruggere i simboli del mondo culturale urbano erano i rappresentanti di una particolare categoria sociologica: i neo-urbanizzati poco acculturati. Questa categoria deriva dagli squilibri e dalle contraddizioni dell’urbanizzazione del XX secolo ed in particolare degli ultimi decenni prima della guerra.

Se durante il conflitto è evidente la volontà di distruggere i simboli culturali e plurietnici dei centri urbani, tuttavia, la devastazione di molti villaggi aiuta a comprendere che l’idea di “vendetta delle campagne” sia una eccessiva semplificazione o un mito, come sostiene Xavier Bougarel.

Egli sottolinea come i sociologi croati (Meštrović, Letica e Goreta) abbiano legato il carattere dinarico con la popolazione ortodossa e quindi abbiano associato il conflitto a determinati gruppi etnici, concettualizzando una guerra fra religioni e civiltà occidentali (slovena e croata) e orientali (montenegrina e serba). Hanno anche delineato il confine nella regione della Krajina, “nella quale i combattimenti più aspri hanno avuto luogo nel 1991, così come in guerre precedenti”. Bougarel mette poi in evidenza che Meštrović, Letica e Goreta localizzano il confine fra le due culture, occidentale e orientale, a Međugorje, noto luogo di pellegrinaggio cattolico in Erzegovina, dimenticando che è stato anche una delle roccaforti delle milizie croate ed in cui furono stabiliti diversi campi di concentramento.

      

379 Halpern Joel Martin, Introduction, Anthropology of East Europe Review .Vol. 11, Nos. 1-2 Autumn, 1993. Special Issue: War among the Yugoslavs., University of Massachusetts/Amherst. Web-site: http://condor.depaul.edu/~rrotenbe/aeer/aeer11_1/Introduction.html

Questa tendenza ad etnicizzare alcune caratteristiche della realtà socio-culturale balcanica non è nuova. Secondo Bougarel, si tratta di reinterpretazioni ideologiche della realtà storica, legate agli antagonisti nazionalismi dell’ex-Jugoslavia.

Di conseguenza, al fine di comprendere i fattori sociali sottostanti alla guerra, è necessario, secondo il suddetto autore, mettere lo Stato al centro dell’analisi. Del resto la realtà delle popolazioni dinariche, la loro organizzazione tribale e la loro cultura della violenza, non è comprensibile, senza considerare il loro rapporto con lo Stato380, dai tempi del confine militare alla recente guerra.

In realtà, il nazionalismo esploso in Serbia negli anni ’80 era un fenomeno urbano, largamente belgradese. Esso è stato attizzato da intellettuali, come Jovan Radulovit, Slobodan Selenić, Gojko Đogo, Vuk Drašković, Vojislav Lubarda, Vojislav Šešelj, e altri di provenienza rurale381.

Possiamo dedurne, con Paolo Rumiz, che non è stata la contrapposizione fra città e campagna a causare la guerra, ma il suo sfruttamento e la sua perfetta manipolazione da parte dei leader nazionalisti durante la guerra.

Gli aspetti che non sono stati presi in considerazione nelle varie analisi sono l’estremamente rapida modernizzazione della Jugoslavia (in particolare nei decenni precedenti), i suoi squilibri e le sue contraddizioni.

In quarant’anni di accelerata modernizzazione ed urbanizzazione, l’antagonismo tradizionale città-campagna si è spostato dentro le città, mettendo in pericolo l’equilibrio dei valori del sistema urbano e destrutturando quello rurale.

Questo spiega anche la frequente provenienza dei paramilitari dagli strati di popolazione neo-urbanizzata, che non è riuscita a integrarsi con successo nell’ambito economico e culturale cittadino. Al contrario le élite urbane erano il principale sostegno dei partiti o movimenti pacifisti.

Cercando di raffigurare il profilo tipico del volontario del movimento cetnico serbo (Srpski

Četnički Pokret -SCP) guidato da Vojislav Šešelj, il giornale indipendente "Borba" scrisse nel       

380 Bougarel Xavier, The "Revenge of the Countryside" Between Sociological Reality and Nationalist Myth, in

East European Quarterly, 1999,

http://www.docuter.com/viewer.asp?documentid=207868610449934a400140c1234389568&Yugoslav-wars---The-revenge-of-the-countriside-between-sociological-reality-and-nationalist-myth-by-Xavier-Bougarel

Novembre 1993, che "ha fra i 30 e 35 anni, possiede un diploma di una scuola superiore tecnica, ha un lavoro, almeno un figlio ed un matrimonio fallito alle spalle. La maggioranza dei volontari è di origine rurale, ma vive in una città medio-piccola. Uno su tre è stato in prigione ed alcuni sono venuti al fronte appena rilasciati. Secondo molti testimoni, ai prigionieri sono state offerte riduzioni di pena se accettavano di arruolarsi".

Quindi il ruolo importante dei legami di solidarietà tribale nella formazione delle varie milizie non è dovuto alla loro origine dalle montagne dinariche, ma all’incapacità di integrarsi nel mondo urbano moderno382.

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