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3. La categorizzazione giuridica delle identità collettive e il conseguente condizionamento delle scelte di identificazione individuali

3.1. La Repubblica socialista federale di Jugoslavia e le politiche identitarie

3.1.5. Il riconoscimento dell’autonomia delle Repubbliche federate: territorializzazione delle etnie?

Negli anni ’60, il risorgere della questione albanese con la richiesta dello status di Repubblica per il Kosovo e la messa in discussione del ruolo della Serbia da parte slovena e croata, diede luogo ad un periodo di democratizzazione interna. Iniziò allora una profonda riorganizzazione

      

317 Dogo Marco, L’eredità ottomana nella regione balcanica, in: Giovagnoli Agostino e Del Zanna Giorgio (a cura di), Il mondo visto dall’Italia, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 2005, pp. 330.

della Lega dei comunisti, che aprì nuovi spazi alla frammentazione. Nel 1967 vi furono una serie di riforme per ampliare e rinnovare la base del partito e per rafforzare le Repubbliche a scapito della Federazione.

Nel 1967 fu pubblicata una Dichiarazione sulla situazione e la denominazione della lingua

letteraria croata, firmata da numerose associazioni culturali, fra cui l’associazione degli

scrittori croati Matica Hrvatska.

Vent’anni dopo l’accordo di Novi Sad (che sancì le norme linguistiche e di grafia della lingua serbo-croata / croato-serba), quindi, si riaprì il problema della divisione delle lingue croata e serba: fu chiesto e ottenuto un emendamento dell’articolo della Costituzione riguardante il nome della lingua ufficiale (da serbo-croato/croato-serbo in croato) e alfabeto (da latino e cirillico a latino). Dopo di ciò molti intellettuali abbandonarono la Matica Hrvatska318.

Il movimento masovni pokret (movimento di massa), noto con l’abbreviazione di “Maspok”; legò saldamente la richiesta di decentralizzazione economica a quella culturale, dando vita ad un movimento nazionalista a tutto tondo, che vivificò i concetti di una nazionalità basata principalmente sull’esistenza di una lingua croata separata, ottenuta attraverso una rivisitazione filologica nazionalista ed una purificazione lessicale. Iniziò, inoltre, a rileggere in senso nazionalista (e specificatamente anti-serbo) la storia, in particolare quella della seconda guerra mondiale. Il “Maspok” riavvivò anche l’associazione fra cattolicesimo, alfabeto latino e “croaticità”.

Secondo Bringa, queste argomentazioni erano pericolose in quanto collegate, da un lato, al concetto etnico ed esclusivo di nazione e, dall’altro, alla teoria dello Stato – nazione. Di conseguenza, l’affermazione della “croaticità” a livello di Repubblica non poteva che essere realizzata a spese dei non croati, che rappresentavano una consistente parte della popolazione e fra i quali i serbi rappresentavano il gruppo più ampio319.

Le proteste giovanili sessantottine nei confronti dello stato sociale, che avevano difficoltà ad identificare una controparte, furono indirizzate verso la parità dei diritti per i croati, visti come

      

318 Privitera Francesco, Between Yugoslavism and Separatism, Intellectuals in Yugoslavia, in Bianchini Stefano e Dogo Marco (a cura di), The Balkans. National Identities in a Historical perspective, Europe and the Balkans International Network, Longo Editore, Ravenna, 1998, pp. 134-137.

319 Bringa Tone R., Nationality categories, national identification and identity formation in “multinationa”

Bosnia, in Anthropology of East Europe Review, Vol. 11, Nos. 1-2 Autumn, 1993 - Special Issue: War among

vittime storiche di sfruttamento. Il problema apparentemente economico della distribuzione delle risorse diventò quindi una questione etnica320.

Nel 1971 i leader del partito comunista croato richiesero la decentralizzazione politica, economica e culturale.

L’evolversi della situazione dei rapporti inter-etnici, portò alla Costituzione del 1974, che accentuò l’autogestione e diede il via alla decentralizzazione delle Repubbliche federate, trasferendo numerose competenze alle Repubbliche ed alle due regioni autonome, fino a renderle quasi indipendenti. Lo stesso partito venne decentralizzato, contrariamente alla dottrina ed al modello sovietico. Così vennero eliminati tutti gli elementi di centralismo, a parte l’arbitrato di Tito e l’esercito.

Secondo Bataković, furono l’aumentata richiesta di indipendenza di Slovenia e Croazia e la successiva reazione serba mirante a rinforzare i legami con i vertici militari e al ritorno ad un maggior centralismo nella Federazione, che segnarono l'inizio della dissoluzione conflittuale della Jugoslavia321.

Fu in questa situazione che, in ogni repubblica, aumentò la pressione affinché la gente si dichiarasse appartenente alla nazione di riferimento della repubblica stessa. La costituzione della repubblica di Croazia inoltre, modificò la lingua ufficiale (il serbo-croato) in croato o serbo, aggiungendo che il croato e l’alfabeto latino dovevano essere gli unici utilizzati a fini ufficiali, compresa l’educazione scolastica.

A livello pratico, la costituzione del 1974 interruppe i legami economici e istituzionali che tenevano unita la Federazione; la programmazione economica a livello di repubbliche fu tesa all’autonomia economica e dei mercati e restrinse la mobilità lavorativa (uno dei cavalli di battaglia della formazione identitaria jugoslava, insieme a quello studentesco), non solo fra una repubblica jugoslava ed un’altra, ma anche internamente322.

Tuttavia, i metodi di potere comunisti, per quanto decentralizzati, rimanevano gli stessi e le otto nomenclature risultavano caratterizzate dall’accaparramento del potere e dei privilegi, dal disprezzo dell’opinione pubblica e dal nazionalismo inconfessato. Fu l’uso di questo potere a creare contrasti fra le varie nazionalità. Sebbene, infatti, il sistema fosse costruito per ridurre il

      

320 Privitera Francesco, Between Yugoslavism and Separatism, Intellectuals in Yugoslavia, in Bianchini Stefano e Dogo Marco (a cura di), The Balkans. National Identities in a Historical perspective,, Europe and the Balkans International Network, Longo Editore, Ravenna, 1998, pp. 134-137.

321 Bataković D., Mosca e Belgrado: l'illusione dei vasi comunicanti, Limes, 1, pp. 203-214.

peso della Serbia, che aveva caratterizzato il Regno di Jugoslavia, il popolo serbo abitava solo per tre quinti in Serbia ed era disperso in sette delle otto repubbliche e regioni323.

Prévélakis sottolinea che una delle conseguenze dell’autogestione e della decentralizzazione, fu l’impossibilità del centro di ridurre le disparità fra le repubbliche con una redistribuzione delle risorse, aumentando quindi la differenza fra gli Stati più ricchi (Slovenia e Croazia) e quelli più poveri (Macedonia e Kosovo). Inoltre, la propensione all’indipendenza economica aumentava gli sprechi, che inizialmente erano stati eliminati grazie ad un criterio di complementarietà a livello federale. Così invece, si aveva la crescita di forze centrifughe di origine economica che prendevano forme etniche, nonché il ritorno dei vecchi temi nazionalisti324.

Suran sottolinea che la decentralizzazione politica e culturale del Paese, oltre a quella economica, ha accentuato le differenze culturali e religiose. Uno dei fini della Costituzione del 1974 fu, infatti, quello di delegare il potere politico alle repubbliche ed a riconoscere la specificità dei cosiddetti “popoli jugoslavi”. Essa avrebbe anche dovuto migliorare la posizione delle minoranze, ma in pratica questo avvenne solo per quelle più consistenti, come gli albanesi del Kosovo e della Metohija, che ottennero l’autonomia regionale325.

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