• Non ci sono risultati.

2. La formazione dell’identità in Bosnia – Erzegovina

2.2   L’interdipendenza storico‐culturale dei Balcani

2.3.3 L’identità degli abitanti della Dalmazia, della Slavonia e della Croazia storica nel Medio evo e all’inizio dell’età moderna

Si ritiene che l’identità degli abitanti degli Stati confinanti, per quanto non direttamente connessa con quella bosniaca in questione, sia tuttavia rilevante per lo studio dell’identità bosniaca; per quanto riguarda gli abitanti dell’odierna Croazia, ci si rifà principalmente all’autorevole opinione di John Fine. Per quanto riguarda l’identità degli abitanti della Serbia, ad essa ci si riferirà nel capitolo dedicato all’Impero Ottomano.

John Fine, alla fine della sua analisi dettagliata e ricca di fonti della percezione identitaria delle persone abitanti l’odierna Croazia nel Medio Evo (600-1500) e nell’epoca pre-moderna (1500-1800) When Etnicity Did Not Matter in the Balkans131, conclude ritenendo le identità molteplici ed in competizione fra di loro. Egli considera l’appartenenza religiosa, familiare e di clan come elementi importanti dell’identità, insieme all’appartenenza ad una città o ad un villaggio e, talvolta, ad una regione. Nella sua analisi delle fonti medioevali, arriva alla conclusione che le identificazioni “nazionali”, anche quando venivano impiegate, non avevano il senso di appartenenza ad un’etnia, bensì quello di affiliazione ad uno Stato politico.

Con un approccio modernista all’identità, egli considera le identità etniche impossibili senza la coscienza delle stesse; è quindi, a suo avviso, la mancanza di una coscienza etnica dell’epoca a negare l’esistenza di un’etnia croata (o serba, ecc).

Egli sostiene che la coesistenza di varie “etichette” etno-nazionali, in competizione fra loro, per definire se stessi e gli altri, è essa stessa prova della mancanza di una coscienza etnica. Molte di queste “etichette” etno-nazionali si riferivano ai nomi degli stati medioevali, ma il significato con cui iniziano ad essere usate nel XIX secolo non ha nulla a che fare con quello attribuito nelle epoche precedenti.

Era la religione la base per la formazione di comunità in tutto il Sudest Europa nel Medio Evo e nell’Impero Ottomano.

In Dalmazia, inoltre, per la particolare storia di questa regione, era presente un forte sentimento di appartenenza che però più che regionale dalmata era, nel Medio Evo, cittadino.

      

131 Fine John V.A. Jr, When Etnicity Did Not Matter in the Balkans. A Study of Identity in Pre-Nationalist

Croatia, Dalmatia and Slavonia in the Medieval and Early Modern Periods, University of Michigan Press, 2006,

Quando furono attaccati dai “turchi” reagirono in quanto cristiani e sudditi della corona ungherese, non in base ad un supposto patriottismo “croato”.

I vassalli andavano in guerra per il proprio signore: pro domino non pro patria, per onorare un vincolo di fedeltà o di fede132.

Lo Stato croato esistente nel Medio Evo si sviluppava su un territorio molto più piccolo di quello odierno. In quel periodo storico, inoltre, gli Stati erano dinastici, non nazionali, avevano quindi l’interesse ad accrescere la gloria della famiglia reale, ed eventualmente dell’aristocrazia nel suo complesso, non a promuovere un movimento di nazionalizzazione delle masse133.

In Croazia, nel Medioevo, il legame di sudditanza al signore o alla dinastia non creava una comunità, un legame fra gli abitanti. E’ quindi legittimo scrivere la storia della Croazia medioevale, ma non dei “croati”, perché la Croazia era uno Stato, non una nazione.

Mentre nel Medio Evo il termine prevalente era “slavo”, nel Rinascimento a “slavi” si accosta il termine “illirico”. Poiché i croati e gli altri slavi in alcune aree convivevano e parlavano dialetti della stessa lingua appare chiaro perché i termini inclusivi prevalessero.

Nel XVI secolo, gli umanisti dalmati, in opposizione a quelli italiani della Dalmazia che si appellavano alle proprie origine romane, si focalizzarono sulla necessità politica di una solidarietà slava e iniziarono a definirsi come discendenti degli illiri134.

Negli scrittori dalmati del XVI secolo (come Sismundo, Đore, Menčetić e Držić), che decidevano di scrivere nella propria lingua, la definivano semplicemente domaci (materna), in opposizione alle lingue letterarie affermate: latino e italiano. Qualora vengano espressi sentimenti di appartenenza culturale essi in genere non ricevono una definizione altra che “noi”, in quanto parlanti la "nostra" lingua (non l’italiano o il veneziano), solo a volte viene data una etichetta nazionale, che però varia: in genere “slavo” e “illirico”, solo a volte “croato”.

      

132 Vrioli M., For Love of Country: an essay on Patriotism and Nationalism, Oxford, 1995, p. 21.

133 Fine John V.A. Jr, When Etnicity Did Not Matter in the Balkans.A Study of Identity in Pre-Nationalist

Croatia, Dalmatia and Slavonia in the Medieval and Early Modern Periods, University of Michigan Press, 2006,

pp. 1-8.

134 Illiri, popolazione, poi nome della provincia romana «Illyria», poi esteso a tutta la regione «Illyricum», quindi nome del territorio occupato dalle armate napoleoniche «Province illiriche»

Anche le definizioni della lingua non sono univoche: slavo, illirico, croato, dalmata o slavone (cioè la lingua dei testi liturgici ortodossi), di cui solo l’ultima lingua ha una standardizzazione sufficiente da non essere confusa, mentre l’uso delle altre definizioni cambia a seconda degli autori135.

Nell’analizzare la percezione degli abitanti della Dalmazia, di Ragusa e della Croazia fra il XVII ed il XIX, John Fine nota che i termini prevalenti sono quelli di “illirico” o “slavo”. Molti dalmatini scrivevano dei “croati”, intesi come appartenenti alla Croazia, o degli abitanti della Slavonia (sia che fossero cattolici che ortodossi) con un evidente senso di estraneità. Si iniziano allora a distinguere le varianti dialettali, a designare come “croato” il kajkavo o il

čakavo, mentre lo štokavo viene definito “illirico”; in altri casi, invece, il čakavo viene

definito dalmatino. Alcuni si definiscono “illirici che parlano croato”, mentre altri “croati che parlano illirico”! I termini locali come dalmata o della Slavonia, continuarono ad essere usati con un significato prettamente territoriale o politico.

Nella Dalmazia ottocentesca il termine “dalmata” acquisisce un significato territoriale ed inizia ad identificare tutti gli abitanti della Dalmazia, compresi gli italiani ivi stabilitisi da molto tempo. Tuttavia le identificazioni di “slavo” e di “illirico” continuano ad essere prevalenti136. Fino all’800, e secondo alcuni studiosi anche oltre, l’uso di questi termini continua ad essere molto vario.

Bukovski fa riferimento all’importanza della resistenza contro la “magiarizzazione” forzata (all’inizio del XIX secolo) per la nascita di una coscienza identitaria. Il regno di Croazia era finito da tempo, l’unico residuo di “nazione” rimasto era il parlamento di Zagabria (Dieta), nel quale però si identificavano esclusivamente i nobili137.

La lingua croata era ancora frammentata in diversi dialetti, priva di una standardizzazione, di conseguenza aveva maggiormente l’effetto di dividere che di unire; inoltre, la maggior parte della vita intellettuale era condotta in latino, tedesco e italiano; il “croato” era utilizzato solamente in chiesa, per il catechismo, per i libri di preghiera, ecc.138

      

135 Fine John V.A. Jr, Ibidem., pp. 270-275.

136 Fine John V.A. Jr, Ibidem., pp. 276-280.

137 Bukovski J., The Chatolic Church and Croatian National Identity: from the Counter-Reformation to the Early

Nineteenth Century, in «East European Quarterly», 13 n. 3, 1979, p. 327.

John Fine conclude la sua analisi con la considerazione che la definizione prevalente degli abitanti dell’odierna Croazia, nel Medio Evo, era “slavi”, fra il XVI ed il XVIII secolo si utilizzava il termine “slavo” o “illirico”, mentre il termine “croato” fino ad epoca recente non era quello più usato e aveva un significato geografico e territoriale corrispondente alla Croazia storica.

L’identità etnica non era ancora diventata fondamentale nella vita degli individui, che spesso si sentivano liberi di possedere un’identità multipla (di classe: nobili / contadini, territoriale, genericamente slava o illirica). Infine, la divisione secolare di Croazia, Dalmazia e Slavonia fra la Repubblica di Venezia, l’Impero austro-ungarico, la Repubblica di Ragusa, l’Impero Ottomano, non permetteva una visione unitaria139.

Outline

Documenti correlati