3. La categorizzazione giuridica delle identità collettive e il conseguente condizionamento delle scelte di identificazione individuali
3.3. La Bosnia – Erzegovina post-Dayton
3.3.4. La necessità di garanzie democratiche
Il noto politologo Marko Pejanović451, sottolinea che la Bosnia – Erzegovina, a differenza degli stati di stampo occidentale, è sempre stata fondata su un doppio livello di cittadinanza: dei cittadini e dei popoli.
In base alla delibera della prima assemblea del Comitato antifascista di liberazione della Bosnia - Erzegovina del 1943, infatti: «la statualità si regge contemporaneamente sulla base di due identità», come «Stato dei cittadini e dei popoli che in essa vivono». Questa delibera era originata dalla necessità socio-culturale di riconoscere che il Paese è composto non da uno ma da tre popoli con particolari identità storico-cuturali (serbi, croati, musulmani), e dalla categoria «altri», in cui vengono comprese le minoranze. Venne riconosciuto formalmente, infatti, che tutte le identità storico-cuturali sono «fondamento per l'esistenza e lo sviluppo
450 Trogu Silvia, Il superamento del sistema educativo affermatisi con la guerra in Bosnia – Erzegovina: un
processo in corso volto a favorire la convivenza fra le nuove generazioni, in Rassega europea. Atti 2006,
Accademia europeista del Friuli Venezia Giulia, Gorizia, pp. 62-70.
451 Professore dell’Università di Sarajevo, membro della nota associazione degli intellettuali indipendenti “Circolo 99” e presidente del “Consiglio dei cittadini serbi – Movimento per l’eguaglianza in Bosnia – Erzegovina”, all’interno della quale ha condotto una battaglia per l’ottenimento di una effettiva eguaglianza dei cittadini.
dello Stato». Tutte le Costituzioni successive della Repubblica di Bosnia – Erzegovina, come Stato federato della Jugoslavia, dal 1946 al 1992, hanno mantenuto questo doppio livello di cittadinanza, così come l'insistenza sul fatto che i popoli godono di uguali diritti.
Invece con la nuova Costituzione di Dayton (1995), è stata sancita, secondo Pejaković, la disuguaglianza dei diritti dei croati e dei bosgnacchi nella Republika Srpska e dei serbi nella Federazione. Si tratta complessivamente di circa 1,3 milioni di cittadini discriminati, circa un terzo degli abitanti del Paese.
Per eliminare questa disuguaglianza, il Consiglio dei cittadini serbi - movimento per l'uguaglianza dei diritti (SGV-PRBiH), il Consiglio nazionale croato (HNV), il Congresso degli intellettuali bosgnacchi (VKBI) ed il Circolo '99, promossero una iniziativa che ottenne l'appoggio dell'Alto Rappresentante Wolfgang Petrich e che portò alla Delibera della Corte costituzionale del 2000 ed agli emendamenti delle entità del 2001. Così venne ristabilita, almeno in teoria, l'uguaglianza dei popoli452.
L'applicazione nella prassi dell'uguaglianza dei popoli, continua però ad essere ostacolata dai partiti nazionalistici che hanno portato il Paese alla guerra e che continuano nell’intento di dividerlo su base etnica. Nonostante gli emendamenti delle entità del 2002, che hanno dovuto essere imposti dall'Alto Rappresentante, la struttura della Republika Srpska è rimasta quasi totalmente monoetnica e analogamente la Federazione rappresenta essenzialmente solo due popoli: bosgnacchi e croati.
Per quanto riguarda la Federazione, l’ostacolo maggiore è il fatto che questi emendamenti non sono stati confermati dal Parlamento della Federazione stessa, per opposizione di due partiti nazionalisti: quello bosgnacco (SDA) e quello croato (HDZ); di conseguenza la rappresentatività dei serbi nelle amministrazioni locali, Cantoni e Municipalità, continua ad essere compresa fra l’1 ed il 2%.
Per quanto riguarda la Republika Srpska, il vicepresidente è bosgnacco o croato, ma i ministeri, le istituzioni e le imprese di proprietà pubblica sono sostanzialmente monoetnici. Nelle Municipalità la rappresentatività dei bosgnacchi e dei croati è compresa fra l’1 ed il 2%, esattamente come in Federazione per i serbi.
452 Pejanović Marko, Politički razvitak Bosne i Hercegovine u postdejtonskom periodu, Sarajevo, Šahinpašić, 2005. (The Political Development of Bosnia and Herzegovina in the Post-Dayton Period, Sarajevo, Šahinpašić, 2005), pp. 123-132.
In tutto il Paese, le uniche amministrazioni che rispettano il principio della rappresentatività dei popoli sono il Distretto di Brčko e la Municipalità di Tuzla.
Secondo una ricerca effettuata dal “Centro per la promozione della società civile” in 56 Municipalità, risulta che, in Federazione, su 32 Municipalità analizzate gli impiegati sono: 75% bosgnacchi, 21% croati, 1,7% serbi e 1,7% “altri”; nella Republika Srpska su 24 Municipalità analizzate, gli impiegati sono: 97% serbi, 1,5% bosgnacchi, 0,3% croati, 0,2% “altri”. Secondo numerose analisi svolte da organizzazioni non governative, che si occupano di diritti umani e di reintegrazione dei rifugiati, le maggiori violazioni dei diritti umani sono legate all’amministrazione pubblica.
Un aspetto particolare è costituito dall’educazione, dalle lingue, dalla cultura e dalle religioni: sono tutti aspetti che rientrano nella categoria dei cosiddetti “interessi vitali etno-nazionali” su cui ogni popolo ha diritto di veto.
Senza la piena uguaglianza dei tre popoli, così come degli «altri», non è possibile reintegrare la società bosniaco-erzegovese con il rientro dei rifugiati nei propri luoghi di residenza ante-guerra. Senza la piena uguaglianza di tutti i cittadini e la difesa della loro appartenenza etnica, non è, inoltre, possibile ristabilire la fiducia interetnica.
Rimane la discriminazione di tutti i cittadini che non si identificano in nessuna delle tre identità etniche e che, conseguentemente, rientrano nella categoria “altri453.
Si ricorda che la struttura della popolazione è plurietnica su tutto il territorio del Paese; in base all'ultimo censimento del 1991, infatti, su 109 municipalità, solo due avevano una maggioranza assoluta di bosgnacchi, quattro avevano una maggioranza assoluta di serbi e cinque avevano una maggioranza assoluta di croati.
Dogo, riferendosi alla richiesta di referendum sull’indipendenza bosniaca, parla di incomprensione della realtà locale che ha oggettivamente contribuito a spingere verso la guerra; mette poi in guardia da semplici considerazioni sulla democraticità del voto della maggioranza, in quanto non adatte ad un contesto plurietnico, nel quale non può esserci
453 Pejanović Marko, Politički razvitak Bosne i Hercegovine u postdejtonskom periodu, Sarajevo, Šahinpašić, 2005. (The Political Development of Bosnia and Herzegovina in the Post-Dayton Period, Sarajevo, Šahinpašić, 2005), Edizione inglese: The Political Development of Bosnia and Herzegovina in the Post-Dayton Period, Sarajevo, Šahinpašić, 2005), pp. 123-132.
legittimazione in un’alleanza politica che esclude la grande maggioranza di un’etnia e tutti i suoi leader politici454.
Inoltre, secondo Dogo, nessun collegamento automatico dovrebbe essere stabilito fra l’esistenza di un gruppo etnico e la formazione di uno stato455. Come si è visto a Dayton e tutt’oggi, questo collegamento esiste al punto tale da essere da Bieber definito “istituzionalizzazione dell’etnicità” dal titolo dell’omonimo libro456”.