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2. La formazione dell’identità in Bosnia – Erzegovina

2.5 La prima “etnicizzazione”: l’identificazione dei cattolici e degli ortodossi di Bosnia – Erzegovina con croati e serbi

2.3.4 Tesi sull’etnicizzazione novecentesca

La tesi di una prima etnicizzazione come conseguenza delle “rivolte nazionali”, è contrastata efficacemente da Dogo, secondo il quale, la semplificazione etnica ottenuta attraverso espulsioni, aggiustamento di confini, esodi, assimilazioni, migrazioni, urbanizzazioni, non è stata sufficiente a rendere la diversità etnica una risorsa politica obsoleta239.

Secondo Gasparini, nell’Impero austro-ungarico non c’è stata alcuna formazione di nazioni ed etnie in quanto entrambe sono il risultato di una valorizzazione della propria cultura, anche se si è perdenti nel contesto sociale. Inoltre, la valorizzazione delle nazionalità era ostacolata dalla complessità ed indifferenza della società e dal tentativo della società stessa di amalgamare le differenze sociali della cultura urbana in un’unica cultura, che fosse in grado di dialogare con quella dominante e quindi di formare un cosmopolitismo interno (fra culture minoritarie) ed esterno240.

Bibò concorda, sostenendo che l’Impero Ottomano e quello austro-ungarico hanno impedito la formazione delle nazioni che sono nate, conseguentemente, molto tardi e con una forte caratterizzazione etnica241.

Secondo Fine, fu nel ‘900 che le comunità religiose acquistarono caratteristiche nazionali. Sebbene una lingua comune possa permettere di superare le differenze religiose, come successe agli albanesi (cattolici, ortodossi, musulmani) che divennero un’unica nazione, la

      

238 Lovrenović Ivan, Bosanski hrvati. Esej o agoniji jedne evropsko-orijentalne mikrokulture, Durieux, Zagreb, 2002, pp. 15-16.

239 Dogo Marco, Historians, Nation Building, Perceptions, in Bianchini Stefano e Dogo Marco (a cura di), The

Balkans. National Identities in a Historical perspective, Europe and the Balkans International Network, Longo

Editore, Ravenna, 1998, pp. 24-25.

240 Gasparini Alberto, Simmetrie e asimmetrie fra stato e nazione nell’Europa centrale, in: Grusovin Marco (a cura di), Nazione e stato nell’Europa centrale, Atti del XXXI Convegno ICM – Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1997, pp. 17-18

241 Bibò Istvàn, Miseria dei piccolo Stati dell’Europa orientale, Budapest, 1946, ed italiana: Il Mulino, 1994, p. 24.

religione prevalse in Bosnia - Erzegovina, Serbia e Croazia e portò ad una completa etnicizzazione a base religiosa (per cui i cattolici si definiscono croati, gli ortodossi serbi). John Fine quindi presenta la prima etnicizzazione come un fenomeno del tutto fortuito: “i croati contemporanei avrebbero potuto non essere affatto tali, avrebbero potuto o essere assorbiti da una identità più estesa (slavi del sud) o essere divisi in identità regionali (dalmati, della Slavonia. E’ stata, quindi, una questione di invenzione o di scelta quella per cui gli illirici e gli slavi dell’800 sono diventati croati, al posto che jugoslavi o dalmati, istriani e abitanti della Slavonia. Tuttavia, secondo Fine, il fatto che l’identità croata abbia iniziato ad emergere nell’800 per consolidarsi nel ‘900, non intende suggerire in alcun modo che non siano una nazione legittima242.

Secondo Hobsbawm una coscienza nazionale croata si sviluppò solo dopo la creazione del Regno di Jugoslavia, in opposizione al preteso predominio serbo al suo interno243.

Secondo i sociologi Slavo Kukić e Franjo Kožul244, croati e serbi fino all’epoca recente non distinguevano sé stessi soltanto attraverso la confessione religiosa. L’identificazione etnica avvenne all’inizio del XX secolo.

Radić ebbe un ruolo epocale nella nascita della nazione croata specialmente in Bosnia: è stato il primo ad abbandonare la tradizione dei partiti civici e nel 1904, quindi nel periodo in cui l’Impero austro-ungherese si dedicò alla Bosnia, fondò il partito dei contadini croati, il primo partito contenere nel nome una identificazione etnica.

Radić ed i rappresentanti del partito HRSS furono gli unici ad opporsi all’unione con la Serbia dopo la Prima Guerra Mondiale ed iniziarono una lotta politica per l’autonomia croata (all’interno della Federazione di Jugoslavia), così come contro la monarchia ed in favore della repubblica.

Prima di Radić, i croati ed i serbi di Bosnia si dividevano in kršćane e hrišćane, quindi in comunità di due diverse confessioni cristiane, senza alcuna identificazione nazionale. La loro differenziazione economica, politica e culturale non era evidente. Le differenze esistenti erano legate in primo luogo alle confessioni religiose. A differenza dei croati e dei serbi in Croazia e Serbia, quelli di Bosnia condividevano la stessa storia, gli stessi occupanti, la stessa condizione socio-economica, quindi fra di loro non esistevano confini sociali.

      

242 Fine, Ibidem., p. 6, 12-14.

243 Hobsbawm Erich, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito e realtà, Einaudi, 1992, pp. 20-21 (titolo originale: Nations and Nationalism since 1780, 1990), p. 160.

244 Kožul Franjo; Kukić Slavo, Država i nacija, Mostar, 1998; (entrambi gli autori appartengono al gruppo etnico croato e sono professori all'Università croata di Mostar Ovest. N.d.a.)

L’inizio della coscienza nazionale era legato, da un lato alla confessione religiosa, dall’altra ai vicini croati e serbi. Non avendo una storia che potessero definire esclusivamente propria, essi legarono la propria storia a quelle di Croazia e Serbia.

La divisione radicale avvenne nel 1928 con l’uccisione di Stjepan Radić e successivamente del re Aleksandar Karađorđević245.

Da allora queste popolazioni slave meridionali parlanti la stessa lingua con minime variazioni e che in Bosnia - Erzegovina condividevano la stessa storia, divennero due gruppi etnici che facevano riferimento a due diverse culture. L’identificazione etnica si sovrappose a quella religiosa: i hrišćani ortodossi sono diventati serbi, i kršćani cattolici sono diventati croati. Da allora due processi di assoluta contrapposizione culturale e politica diedero origine a due movimenti nazionalisti paralleli: četnico ed ustaša. Questi movimenti ebbero un ruolo preminente nella preparazione della guerra e nei massacri durante la seconda guerra mondiale e durante quella del 1991-95246.

La suddetta visione di Slavo Kukić e Franjo Kožul concorda sostanzialmente con quella della definita da Marco Dogo della “nazionalizzazione esterna”.

Secondo Judah, prima della Jugoslavia comunista e, ancora di più prima della fine dell’800, il numero dei cattolici e degli ortodossi di Bosnia che si identificavano solo religiosamente era maggiore, rispetto a quelli che si identificava etnicamente, come croati e serbi247.

La tesi di un’etnicizzazione novecentesca, concorda con il fatto che non solo i censimenti asburgici, ma anche il primo censimento del nuovo Stato di Jugoslavia, nel 1921, non considerava le etnie o le nazionalità, ma solo le categorie religiose e linguistiche.

Sebbene la presenza di categorie linguistiche sembrerebbe a prima vista dare indicazioni di tipo nazionale, se consideriamo le voci registrate come lingue, vediamo che non è così: infatti, fra le lingue slave, ne sono considerate solo tre: serbo-croato, sloveno, “altre lingue slave” ; dunque, solo la seconda categoria dà una chiara indicazione nazionale, la terza comprende molte minoranze (slovacchi, ucraini, cechi, polacchi, russi, macedoni e bulgari).

      

245 Alexsandar I Karađorđević (1888 - 1934), fu il primo re del Regno di Jugoslavia (1929 – 34) e precedente del Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni (1921 – 29). Il suo assassino, Vlado Cernozemski, era membro della Organizzazione rivoluzionaria internazionale macedone (IMRO). L’ IMRO lottava per la secessione della Macedonia dalla Jugoslavia. Secondo l’UKTV History program, per il suo assassinio l’IMRO collaborò con il gruppo croato degli Ustascia guidato da Ante Pavelić.

246 Kožul Franjo; Kukić Slavo, Država i nacija, Mostar, 1998 (entrambi gli autori appartengono al gruppo etnico croato e sono professori all'Università di Mostar Ovest. N.d.a.)

Anche la categoria religiosa, dà indicazioni troppo vaghe in merito alla eventuale appartenenza nazionale, raggruppando ortodossi (serbi, ma anche bulgari, rumeni, parte dei montenegrini, parte dei macedoni e altri), cattolici (croati, ma anche sloveni, italiani, la maggior parte di tedeschi e ungheresi), greco-cattolici (della Slavonia croata), musulmani (bosgnacchi, albanesi, bulgari, rumeni montenegrini).

Le uniche indicazioni nazionali che detto censimento fornisce sono quelle relative alle minoranze di lingua non slava: tedeschi, ungheresi, albanesi, italiani, ebrei aschenaziti (di lingua ladina), turchi (in gran parte albanesi turcofoni)248.

Per quanto riguarda le frontiere inter-confessionali, Banac sostiene che nei Balcani non corrispondono del tutto alla realtà, a causa di un processo psicologico per cui le periferie, le aree di confine, allo scopo di affermare la propria identità tendono a sottolineare in modo esasperato la propria integrazione. L’aderenza culturale alle tre principali religioni ha avuto un’importanza sicuramente decisiva per dare contenuto culturale e politico all’identità nazionale249.

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