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2. La formazione dell’identità in Bosnia – Erzegovina

2.1 Il concetto di nazione e di etnia nei Balcani

2.1.3 Teoria e pratica della pulizia etnica

John Plamenatz analizzò le due tipologie di nazionalismo, occidentale ed orientale, definendo quello ottocentesco occidentale come portatore dell’unificazione e vivificato da idee liberali; ad esso contrappone il nazionalismo orientale, esemplificato dai Balcani, che non ha nulla in comune con la caratteristica positiva del primo. Inoltre, il nazionalismo occidentale agiva in nome di una cultura alta, normativa, centralizzata ed era rivolto ad una popolazione ben definita; quindi, l’unico elemento mancante per assicurare a questa cultura il sostegno statale di cui godevano le culture rivali era l’unità politica. Essa, quindi, era raggiungibile con alcune battaglie e un’azione diplomatica, ma non comportava un eccessivo numero di vittime112. Il nazionalismo orientale, invece, non operava in nome e per conto di una cultura alta già definita e codificata, ma di una cultura ancora da codificare e che oltretutto si trovava in una situazione di feroce rivalità con simili concorrenti regionali; inoltre il nazionalismo orientale operava su una caotica mappa etnografica e dialettale, aggravata da ambigue lealtà storiche ed etniche e con popolazioni che avevano appena iniziato ad identificarsi con una delle culture nazionali emergenti. Queste popolazioni erano ancora bloccate in un complesso di lealtà multiple di consanguineità, appartenenza territoriale e religiosa. Per questo motivo, al fine di rendere queste popolazioni adatte all’imperativo nazionalistico non potevano bastare qualche battaglia ed un po’ di diplomazia: si trattava di mettere in atto un'accorta e forzata ingegneria culturale. In molte situazioni, inoltre, erano necessario realizzare forme di scambio o di

      

110 Bianchini Stefano e Dogo Marco, Foreword, in Bianchini Stefano e Dogo Marco (a cura di), The Balkans.

National Identities in a Historical perspective, Europe and the Balkans International Network, Longo Editore,

Ravenna, 1998, pp. 12-13.

111 Banac Ivo, The National Question in Yugoslavia. Origins, History, Politics, Cornell University Press, Ithaca and London, 1984, p. 11, 31.

espulsione di popolazioni, di assimilazioni più o meno forzate e, a volte, di eccidi per ottenere quello stretto rapporto Stato - nazione che costituisce l’essenza del nazionalismo113.

Anche Hastings distingue un nazionalismo territoriale che può coesistere con la democrazia ed un nazionalismo etnico che è incompatibile con essa; conclude che l’universale applicazione dei principi del nazionalismo da parte degli intellettuali europei dopo il trattato di Versailles ha portato alla pulizia etnica sia durante la seconda guerra mondiale che durante l’ultima guerra in Bosnia114.

Il termine serbo-croato-bosniaco corrispondente a pulizia etnica (etničko čišćenje) ha un significato sia letterale che figurato, quindi è usato per definire una serie di pratiche miranti all’omogeneizzazione nazionale forzata di un territorio.

La “pulizia etnica”, quindi, solo in rari casi comprende l’aspetto che in italiano si dà a questo termine, cioè il massacro o il genocidio di una etnia. In genere si presenta sotto forme assai più sfumate e varie: assimilazione obbligata, emigrazione più o meno forzata (ad esempio da parte di vittime di violenze o che temono per la propria incolumità, di persone a cui è stata occupata o bruciata la casa, di licenziati a causa della propria appartenenza etnica); inoltre, espulsioni vere e proprie, mancato riconoscimento della cittadinanza del nuovo Stato (famoso il caso della Slovenia che ha concesso “selettivamente” la cittadinanza del nuovo stato, con il risultato di venticinquemila “cancellati”, cioè di ex-cittadini jugoslavi residenti in Slovenia da sempre, ma privi di cittadinanza slovena115), scambio di popolazioni (come lo scambio fra la Grecia e la Turchia negli anni ’20 condotto sotto l’auspicio della Società delle nazioni!). Durante le guerre balcaniche e nelle due guerre mondiali, i suddetti tipi di “pulizia etnica” sono stati usati da tutti i belligeranti116.

Il contesto in cui nasce la pulizia etnica è quello dello Stato – nazione che cerca di omogeneizzare la propria popolazione secondo un modello di nazione etno-linguistica, anziché secondo quello civico, ossia attraverso la categoria della cittadinanza.

      

113 Plamenaz John citato in: Gellner Ernest, Nations and Nationalism, Blackwell, Oxford, 1983, 1997, pp. 99-101

114 Hastings Adrian, Ibidem., pp. 109-110.

115 Giulia Foglin, Human Rights Violation: the case of the erased in Slovenia, tesi di Master in "International Peace operators", July, 2008, IUIES.

Le giustificazioni che sono state addotte per la pulizia etnica sono le seguenti: di ordine strategico (attribuendo loro una volontà di secessione o l’adesione politica ad uno Stato ostile), demografico o storico (considerandoli non autoctoni o colpevoli di massacri)117.

Bisogna ricordare tuttavia, con Delli Zotti, che storicamente, le politiche di pulizia etnica non hanno mai funzionato completamente118; così come con Romano “che per quanto estesi e brutali gli spostamenti di popolazione non possono impedire che l’Europa centro-orientale rimanga un intarsio di nazionalità, una serie di scatole cinesi in cui ogni maggioranza etnica è a sua volta minoranza di un’altra maggioranza”119.

Prévélakis sottolinea l’importante effetto avuto sui popoli balcanici dal fatto che le Grandi Potenze, per determinare i confini fra gli Stati balcanici, avessero usato delle “carte etnografiche”, per la prima volta, per il trattato di Santo Stefano e per quello di Berlino (1878). I dirigenti balcanici recepirono subito l’importanza di influenzare i cartografi occidentali o, ancora meglio, di adattare in qualunque modo la realtà prima del loro arrivo. Di conseguenza, la pulizia etnica, che nel tardo periodo ottomano era espressione di tensioni sociali che prendevano forme etniche, divenne un principio fondamentale di geopolitica balcanica e la “barbarie” divenne la conseguenza di una politica studiata a tavolino: anziché aspettare che le potenze europee stabilissero confini etnici per gli Stati, bisognava adattare lo spazio etnico ai territori rivendicati da ogni Stato.

Questo atteggiamento era facilitato dal fatto che le identità etniche in tutte le zone intermedie erano poco definite ed era quindi ancora possibile influenzare le popolazioni in un senso o nell’altro120.

Le violenze della guerra del 1991-1995 non sono quindi qualcosa di radicalmente nuovo, ma la sovrapposizione di fasi pianificate e organizzate sistematicamente (maggioritarie) a episodi particolari come regolamenti di conti personali e familiari, vecchi conflitti per terreni o pascoli, e così via. Questi episodi hanno trovato libero sfogo a causa dell’incoraggiamento

      

117 Roux M., Stato del mondo, Il saggiatore, Milano, 1994, pp. 49-51.

118 Delli Zotti, Il crollo delle federazioni comuniste, il riemergere dei nazionalismi e la transizione alla

democrazia, in Bergnach L. e Tabboni S. (a cura di), Conflittualità interetnica e nuovi nazionalismi, Quaderni

ISMU, 7/1995., p. 112.

119 Romano S., Stato, etnie e nazionalità in Europa dopo il 1989, in Modernizzazione e sviluppo, 3, pp. 15-21. Citato in Delli Zotti, Ibidem., p. 112.

alla violenza da parte dei partiti etno-nazionalisti, da un lato, e della sostanziale sicurezza della propria impunità, dall’altro121.

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