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1.3.1 Cosa abbiamo imparato e cosa non abbiamo capito

1.3.3 Interpretare i falliment

Con riferimento a questi profili di insuccesso, in letteratura possiamo individuare due diverse interpretazioni critiche sul ruolo del SCIA e che risultano divergenti proprio in relazione alle possibili implicazioni di policy. Si tratta, chiaramente, di una distinzione di comodo. Più realisticamente, la letteratura, e le soluzioni che essa propone, si muovono in un continuum in cui queste due interpretazioni fungono in qualche modo da posizioni estreme, da punti cardinali.

La prima interpretazione considera il sotto-investimento il principale fallimento del tradizionale SCIA SS. Come tutti i beni con forti caratteri di “pubblicità”, gli investimenti privati ma anche pubblici dei singoli paesi e dei singoli comparti sono inferiori rispetto a quello che gli elevati rendimenti sociali suggerirebbero. Anche la riduzione della crescita della spesa in ricerca in molti paesi, esprimerebbe la tendenza di molte agricolture a com- portarsi da free-rider, cioè di trarre vantaggio dalle soluzioni tecnologiche messe a punto in altri contesti concentrandosi, eventualmente, solo sull’adattamento alle proprie specifiche

condizioni19. Questa tendenza a disimpegnarsi dalle attività con maggiore ricaduta “pub-

blica” (cioè, più ricerca applicata e sviluppo piuttosto che ricerca di base) spiegherebbe anche i rendimenti marginali decrescenti di questi investimenti (Alston, 2011a, 2011b e 2011c), dal momento che questi ultimi tenderebbero ad essere soprattutto incrementali, quindi poco adottabili e adattabili in contesti diversi rispetto a quelli in cui sono stati rea- lizzati. Rendimenti marginali che, nell’ottica di uno SCIA SS, si trasferiscono dal comparto della ricerca a tutti le altre componenti “a valle”, cioè extension e education, e rafforzano la tendenza a contenerne gli investimenti pubblici giacché divengono meno competitivi 19 “These institutional failures continue to impose very large opportunity costs on these countries” (Alston et al.,

con altri usi a alto rendimento (per esempio, infrastrutture). In questa prospettiva, le prin- cipali evidenze degli ultimi decenni, quali il productivity slowdown nonché la mancata convergenza in produttività, risultano conseguenza di questo progressivo deteriorarsi di un SCIA con forte radicamento nella ricerca agricola “globale” e pubblica, quindi ad alto rendimento sociale.

Secondo questa interpretazione, perciò, la strategia necessaria è quella di rafforzare la tradizionale struttura del SCIA SS, rafforzando il ruolo della ricerca a dimensione glo- bale (internazionale) e pubblica in modo da riallacciare la complementarietà tra questa, la ricerca privata e la ricerca adattativa dei paesi follower (Pingali, 2010). Tuttavia, oltre a rilanciare gli investimenti pubblici nel sistema, è necessario garantirne meglio i regimi pro- prietari e l’appropriabilità dei benefici. Il ruolo della ricerca globale e pubblica rimane im- portante (Pingali, 2010), ma va ricostituito garantendo una maggiore difesa della proprietà

intellettuale relativa alla nuova conoscenza e alle nuove soluzioni tecnologiche20, così che i

paesi tradizionalmente follower siano indotti a darsi propri SCIA maggiormente autonomi soprattutto sul fronte della ricerca, cioè maggiormente capaci di produrre in proprio la conoscenza e le innovazioni necessarie alle specifiche esigenze, potendo poi appropriarsi

interamente dei vantaggi prodotti (Pardey et al. 2008)21.

L’esito di questa ridefinizione del SCIA su scala globale può essere certamente una riduzione degli spillover nel breve termine ma, allo stesso tempo, anche lo stimolo per

una ripresa della crescita degli investimenti nel SCIA nei paesi follower22, con una conse-

guente ripresa della produttività e dei processi di relativa convergenza tra paesi, territori e comparti agricoli, ma anche con un riequilibrio tra ricerca pubblica e privata (a favore di quest’ultima) grazie ai regimi di maggiore tutela della proprietà intellettuale. Nel medio- lungo termine, un maggior grado di appropriazione dei risultati dei singoli SCIA nazionali può anche determinare una maggiore apertura reciproca degli stessi, cioè indurre una maggiore internazionalizzazione del sistema della ricerca e della conoscenza agricola, an- cora piuttosto limitata.

Da questa lettura non sembrerebbe emergere una critica più radicale al SCIA SS, né dubbi sostanziali circa la sua adeguatezza rispetto alla situazione attuale e alle prospettive

future23. Il progressivo “sfilacciamento” del ruolo del pubblico e di alcuni assetti istituzio-

nali consolidati, che pure questa interpretazione mette in luce, non vengono ricondotti a cambiamenti epocali e irreversibili dello stesso sistema della conoscenza e dell’innovazio- ne per l’agricoltura.

Al contrario, la seconda interpretazione circa i fallimenti del classico disegno del SCIA SS si caratterizza proprio per una lettura decisamente più critica non solo rispetto alla sua capacità di affrontare il presente e il futuro, ma anche rispetto alla sua reale effica- cia in un pur glorioso passato. Vi è la convinzione che buona parte dei grandi guadagni di produttività messi in mostra nei decenni trascorsi a livello globale non derivino da contri- 20 Gray (2011) presenta un’ampia rassegna dei vantaggi e degli svantaggi della protezione intellettuale nel caso della

ricerca agricola, soprattutto come stimolo della ricerca privata o a livello di singolo paese e, quindi, come modalità per una efficace complementarietà tra ricerca pubblica e privata. Vengono anche presentati casi in cui la certezza della proprietà intellettuale ha costituito uno stimolo decisivo alla realizzazione dell’innovazione stessa (si veda il caso della Canola).

21 Per una analisi quantitativa dettagliata della relazione tra singoli NARS e IARC si veda Balaguru (2009).

22 Si tenga conto, in fatti, che mentre l’ARI media nei paesi OCSE è del 3%, in due paesi con una agricoltura di grande dimensione e ormai competitivi a livello mondiale quali Cina e India, l’ARI scende allo 0,5% circa.

23 Haniotis (2012) ed European Commission (2012b) offrono una sintetica rappresentazione di questa lettura dei li- miti dell’attuale disegno della ricerca agricola anche e soprattutto in ambito internazionale senza, però, che venga messo in discussione il suo ruolo centrale e dominante nel disegno del SCIA.

buti della scienza e della ricerca in qualche modo poi trasferiti a “valle” verso gli impieghi produttivi. Se si guarda dentro la “scatola nera”, si scopre che questo ruolo è stato spesso sovra-enfatizzato puntando su casi di successo che pure ci sono stati (vedi la già citata

introduzione delle varietà ibride di mais), ma non costituiscono casi paradigmatici24. Alla

base della grande crescita di produttività, c’è piuttosto una collettivizzazione, una diffu- sione di conoscenza pratica, applicativa ed efficace che solo in piccola parte trova la sua matrice nella ricerca di base e più spesso dipende dalle fasi a “valle”, per esempio la divul- gazione e l’assistenza tecnica, nonché dalla generalizzata maggiore circolazione delle infor- mazioni e dell’altrettanto generale e imponente crescita del livello medio di scolarizzazione e di formazione del personale agricolo generalmente inteso. In questo senso, il maggior fallimento istituzionale del SCIA SS risiede piuttosto nell’aver concentrato l’attenzione (e le risorse) su una porzione della conoscenza scientifico-tecnologica, nonché su una idea codificata di innovazione, che aveva, in realtà, una rilevanza limitata, lasciando invece ad uno sviluppo largamente spontaneo, poco governato e poco finanziato, quelle forme della conoscenza e quei processi innovativi informali, taciti, diffusi e graduali che hanno rap- presentato il vero motore del “miracolo” della crescita della produttività del secolo scorso. In questa lettura, il già menzionato rallentamento della crescita della spesa o la sua diminuzione in termini reali, l’enfasi sulla definizione di appropriate forme e meccanismi contrattuali di finanziamento (Janssen, 1998; Materia e Esposti, 2009 e 2010), la crescente (e quasi spasmodica) attenzione alla valutazione dei risultati della ricerca stessa (Horton et al., 1993; Alston, 2010b), sono i fenomeni più evidenti di un generalizzato ripensamento circa la fideistica convinzione che l’investimento in ricerca pubblica agricola (soprattutto di alto livello, cioè ricerca di base e accademica), possa sempre e comunque indurre esiti positivi in termini di perfomance e produttività. Anche la distinzione e la presunta comple- mentarità tra ricerca pubblica (accademica e di base) e ricerca privata (prevalentemente industriale e applicata) è superata dai fatti e forse mai davvero esistita secondo quei cano- ni, dal momento che i contributi forniti dalla seconda sono stati spesso generati in tota- le indipendenza dalla prima (Röling, 1992; Sauermann e Stephan, 2010). Il productivity slowdown viene interpretato come evidenza della bontà di questa interpretazione: pur in presenza di investimenti in ricerca ingenti, e tuttora crescenti in alcuni ambiti, gli esiti in termini di produttività diminuiscono semplicemente perché giungono ad esaurimento, o perchè mostrano inevitabili rendimenti decrescenti quei fattori che davvero avevano dato impulso alla produttività, quali l’incremento di scolarizzazione, la maggiore diffusione dell’informazione e della conoscenza pratica, una più spiccata cultura di orientamento al mercato, ecc..

In questo ambito, alcune letture ancora più radicali propongono una interpretazione del productivity slowdown come inevitabile conseguenza del fatto che la forte e genera- lizzata crescita della produttività dei decenni precedenti sarebbe in larga parte apparente. Dovuta, cioè, al mancato calcolo del consumo di stock di risorse naturali (fertilità, bio- diversità, ecc.) e della produzione di esternalità negative (o bad outputs), quali inquina- mento del suolo e delle falde, dissesto idrogeologico, ecc. Il SCIA SS avrebbe stimolato questo incremento di produttività largamente sovrastimato, alimentando tecnologie capaci 24 Monducci (2011) sottolinea come ancora oggi l’innovazione nel comparto agroalimentare italiano abbia poco a che fare con attività formali di R&D; sia piuttosto ancora legata ad una vecchia idea di innovazione di processo che spesso nasce all’interno dello stesso sito produttivo o nel’ambito dei legami con i fornitori (per es. sviluppo di mac- chinari), ma anche molto orientata al lancio di nuovi prodotti per il quali le innovazioni critiche sono soprattutto organizzative e di marketing. Si veda anche Boehlje et al. (2011) per un’analisi di alcune peculiarità dei processi innovativi nell’agribusiness.

di sfruttare quegli stock e di innalzare le perfomance produttive insieme alla crescita di quelle esternalità. Allorché questo processo comincia ad incontrare i propri limiti nell’e- saurimento di quegli stock e nei costi crescenti di quelle esternalità, anche il SCIA SS che lo ha alimentato mostra la corda.

Alla base di questa critica vi è l’idea che il bene di riferimento di tutto il SCIA sia qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto postulato nella visione tradizionale: non co- noscenza scientifica di rango accademico, né conoscenza incorporata in qualche soluzione tecnologica proprietaria, bensì una conoscenza diffusa, quindi collettiva, non incorporata, talvolta tacita, e che comunque produce tanto più vantaggio quanto più è “pubblica”, cioè di libero accesso ed estendibile a tutti gli ambiti applicativi territoriali e settoriali. Ciò è ritenuto tanto più vero oggi e in prospettiva futura alla luce dei nuovi paradigmi tecnologi- ci che si stanno affacciando e delle nuove sfide che dovranno essere affrontate (si vedano i prossimi paragrafi). Ne deriva una critica sostanziale al SCIA SS e al disegno tuttora

prevalente,25nonché la necessità di un nuovo disegno alla luce della reale natura del bene

“conoscenza” che questo sistema è chiamato a generare e gestire, così come dei processi che possono contribuire a tradurla in ulteriori incrementi di perfomance