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1.3.1 Cosa abbiamo imparato e cosa non abbiamo capito

1.4 Alla ricerca di un nuovo modello: come ripetere quel successo?

1.4.2 Verso un nuovo modello: da SCIA a SCIB

Già al paragrafo 1.3.2 si è detto dei rilievi critici emersi negli ultimi decenni circa i fallimenti del SCIA così come tradizionalmente pensato e disegnato. In realtà, andando oltre i facili schematismi, almeno dagli anni ’60 il dibattito internazionale su finalità, limiti, esigenze e sfide del SCIA si è sviluppato in modo pressoché interrotto (Bergeret, 2012, p. 9). Un dibattito che ha continuamente ripensato al disegno e ai meccanismi di funziona- mento del sistema e ne ha indotto (sebbene spesso lentamente e in modo incompleto) an- che la sua graduale riforma. Un dibattito che ha prodotto un continuo fiorire di definizioni, acronimi, concettualizzazioni e accezioni (Poppe, 2012).

La figura 1.1 cerca di ripercorrere, in modo schematico e in estrema sintesi, questo

percorso41. Va ribadito, che alla base dello stesso concetto di SCIA vi è il progressivo af-

fermarsi del cosiddetto knowledge system thinking (Röling, 1992), cioè la convinzione, dettata dall’evidenza, che le perfomance innovative e quindi di produttività di una agri- coltura non siano il risultato di un semplice processo lineare, unidirezionale che va dal- la produzione della conoscenza (ricerca) alla sua applicazione produttiva, bensì l’esito di complesse interazioni sistemiche tra diversi soggetti ed istituzioni coinvolte in vario modo nella produzione e diffusione della conoscenza e nella sua incorporazione in soluzioni in- novative applicabili.

Inizialmente, pur in questa logica sistemica, è però prevalsa la già più volte menzio- nata lettura top-down (SS). Al vertice vi è la ricerca (un NARS spesso con connessioni internazionali), da cui a cascata, attraverso education ed extension, la conoscenza fluisce cambiando forma e connotati verso l’adozione produttiva, cioè il produttore agricolo ( from lab to field; LtoF). Proprio l’imporsi del knowledge system thinking ha progressivamen- te messo in discussione questa visione a favore di una interpretazione che sottolineava maggior coordinamento e integrazione tra le componenti ricerca, education ed extension 39 Per maggiori dettagli ed approfondimenti si veda http://ec.europa.eu/research/bioeconomy. Tuttavia, l’idea secon-

do cui la bioeconomia è essa stessa il prodotto della recente evoluzione tecnologica sembra largamente condivisa: “The bioeconomy consists of all industries that use biological processes to produce products: food, fiber, green chemicals, pharmaceuticals, biofuels and energy. Agriculture and fermentation were the key elements of the tra- ditional bioeconomy. The modern or new bioeconomy is based on our expanding knowledge of molecular and cell biology and takes advantage of information technology and nanotechnology” (dal call for papers del 128th EAAE Seminar) [http://www.economia.uniroma2.it/icabr-conference/sarea.php?p=15&sa=192].

40 Questa ridefinizione e convergenza di ambiti settoriali tende a ridefinire anche i confini disciplinari. La stessa Economia Agraria oggi sembra aver senso solo come Economia Applicata alla Bioeconomia.

41 Per approfondimenti circa l’affermarsi del knowledge system thinking e del progressivo passaggio da AKS a AIS e AKIS, si vedano Dockes et al. (2011) e Poppe (2012). EU SCAR (2012a e 2012b) presenta bene il dibattito più recente su questa evoluzione in particolare da AKS a AKIS, nonché sull’architettura dell’AKIS, i suoi attori, le sue dinami- che, gli incentivi e le questioni irrisolte.

(triangolo della conoscenza). La pari dignità e rilevanza tra questi vertici del triangolo ne facilita quell’interazione capace di generare le varie forme della conoscenza poi trasferibili al produttore. Proprio questa lettura produce originariamente il concetto di AKS (Agri- cultural Knowledge System) [Poppe, 2012] che rimane una visione sostanzialmente top- down e supply-side sebbene non necessariamente science-based ( from lab, classrooms and meeting rooms to field, LCMtoF).

Il passaggio successivo consiste nel mettere in discussione proprio la lettura supply- side a favore di un ruolo più attivo della domanda di conoscenza e di innovazione, con que- sto intendendo prevalentemente gli utilizzatori finali, ovvero i produttori agricoli. Vengono messi in maggiore evidenza i processi reali di generazione e adozione dell’innovazione agri- cola, nonché la relativa conoscenza pratica, incorporata ed applicata, proprio alla luce del fatto che molte innovazioni in ambito agricolo non solo non mostrano una chiara matrice “scientifica”, ma vengono generate grazie ad un contributo attivo degli utilizzatori (produt- tori) e ad un rapporto paritario e interattivo tra questi e le istituzioni della conoscenza.

Questa evoluzione (knowledge&innovation system thinking)42determina il passaggio ver-

so il concetto di AIS (Agricultural Innovation System) [The World Bank, 2011] e, poi, verso il concetto di AKIS (Agricultural Knowledge and Innovation System) [Deschamps, 2011; Bergeret, 2012, p. 11-12; OECD, 2012] che dovrebbe originarsi proprio dall’interazione tra supply and demand-side e dal combinarsi di processi top-down e bottom-up ( from lab to

field, from field to lab, LtoF-FtoL)43.

Questa visione sostanzialmente non gerarchica, bensì fondata sulla quantità e qua- lità (cioè intensità) delle interazioni, dei flussi di conoscenza, più o meno incorporata, e delle informazioni all’interno di questo sistema, è l’elemento che viene maggiormente esal- tato nell’ultimo passaggio di questa lettura evolutiva del SCIA. Una lettura in cui il sistema non è tanto una articolazione di astratte componenti istituzionali interagenti (il triangolo della conoscenza: ricerca, education, extension), quanto piuttosto un network di soggetti eterogenei (anche all’interno della stessa componente; per esempio, la ricerca pubblica) e dinamici, interagenti secondo forme e modalità a loro volta in continua evoluzione. In que- sta lettura, i confini delle componenti tradizionali sfumano per “esplodere” in una galassia di soggetti autonomi ma interdipendenti. Soggetti che travalicano i confini tradizionali del sistema, giacché in questo insieme di interrelazioni, diventano rilevanti anche i con- sumatori organizzati, i gruppi di pressione, i movimenti di opinione; insomma, una vasta

gamma di stakeholders44. Non solo, quindi, si perde la dimensione gerarchica, ma la stessa

statica distintività di fasi e componenti del sistema si fa più confusa e meno rilevante. Chi si distingue sono i singoli soggetti, istituzionalizzati o meno, i singoli stakeholder peraltro in continua evoluzione. Il sistema diventa in realtà un network attivamente partecipato (Paffarini e Santucci, 2009) che opera sia su una scala locale che sovra locale ( from sta- keholder to stakeholder, StoS). Espressione esemplare di questa evoluzione è certamente il progressivo affermarsi, nel dibattito recente sul disegno del SCIA, del concetto di Lear- ning and Innovation Networks for Sustainable Agriculture (LINSA) [CREPE, 2010, 2011; SOLINSA, 2012].

42 Hall (2011) spiega le ragioni dello “shift from research to innovation in agriculture”.

43 Va ricordato che, nel progressivo fiorire di definizioni, accezioni e acronimi, non tutto questo processo risulta lineare. Anzi, affiorano diversi elementi di ambiguità e confusione. La stessa espressione AIS è stata usata per individuare due concetti diversi: Agricultural Innovation System e Agricultural Information System (Poppe, 2012). 44 Dodet (2007) chiarisce come l’attuale evoluzione del SCIA debba prevedere una ampliamento degli stakeholders coinvolti: “agricultural research is not solely defined by the area it covers but also by the challenges it faces in terms of its importance to society, establishing priorities and modes of action” (Dodet, 2007).

Un tale ripensamento del sistema che ha portato alle accezioni attualmente preva- lenti, non significa che questa evoluzione si sia realizzata interamente nella realtà. Né che questa evoluzione, per quanto concretamente realizzatasi, sia davvero capace di contenere i fallimenti del SCIA progressivamente emersi, di riorientarlo e coniugarlo rispetto alle nuove sfide e alle nuove traiettorie tecnologiche. In realtà, i soggetti operanti nel SCIA, almeno quelli tradizionali, e lo stesso mondo agricolo (con questo intendendo chi vi fa impresa, chi lo organizza e rappresenta, nonché chi lo studia e governa) sembrano tuttora non del tutto consapevoli del cambiamento di epoca in corso, e rimangono ancorati ad una visione in cui l’innovazione viene “offerta” da un sistema della conoscenza ordinato e coordinato dall’alto, che sa cosa fare e in che traiettorie tecnologiche muoversi, grazie agli investimenti pubblici, al ruolo centrale delle istituzioni pubbliche e alla presenza capillare di soggetti privati legati alla fornitura di imput produttivi.

Risulta necessario che la ridefinizione del sistema prenda atto che le nuove traiet- torie tecnologiche non hanno semplicemente reso utile nuova conoscenza, ma hanno an- che modificato sostanzialmente che cosa si intenda per conoscenza, come la scambiamo, comunichiamo, implementiamo per tradurla in innovazione. La conoscenza, infatti, non esiste in astratto. Vi è sempre qualcosa o qualcuno che la incorpora. Queste forme di incor- porazione della conoscenza/informazione sono oggi profondamente modificate, continua- mente in evoluzione e certamente molto più modulari e scambiabili di quanto non fosse in passato. Un sistema SS si fondava su un idea di conoscenza codificata dentro forme stabili, rispetto a cui era possibile trovare assetti istituzionali che ne regolassero la sua natura pubblica/non pubblica.

Una espressione abbastanza esemplare di questa evoluzione dell’“oggetto” cono- scenza/innovazione che il SCIB è chiamato a gestire, è proprio l’emergere di una idea più complessa e articolata di innovazione, maggiormente capace, in agricoltura e nella altre componenti della bioeconomia, di affrontare le nuove sfide e contribuire alla sustaina- ble intensification. Si tratta del concetto di system innovation, che incorpora/ibridizza nell’innovazione sia la sua dimensione più propriamente tecnologica che spesso si limita alla relazione fornitore-produttore, sia la dimensione sociale ed ambientale che chiama in causa anche i consumatori, i cittadini, tutta la comunità agricola-rurale, le istituzioni,

i settori di trasformazione e commercializzazione a valle, ecc. (Geels, 2005)45. È evidente

che ogni “innovazione sistemica” così definita non può che prevedere l’interazione di tutti questi soggetti, la condivisone di informazione e conoscenza, processi continui e diffusi di apprendimento. Un SCIB che abbia queste caratteristiche partecipative non può che essere

un sistema con una struttura reticolare (EU SCAR, 2012a)46. Ma la system innovation ha

anche chiare implicazioni nel fronte strettamente scientifico-disciplinare. Una innovazio- ne siffatta, cioè, non può che trascendere i classici confini disciplinari prevedendo la com- binazione e l’integrazione di conoscenza proveniente da una molteplicità di discipline, un

vero e proprio nuovo regime della conoscenza (knowlegde regime) scientifica47. È evidente

che la system innovation e questo knowledge regime costituiscono l’inevitabile esito in termini di tipologie innovative del passaggio dai settori tradizionali alla bioeconomia: quel 45 Per ulteriori approfondimenti sul concetto di system innovation, si vedano Barbier (2010) e Verguts et al. (2010). 46 “System innovations are multi-factor, multi-actor and multi-level (multi-scaled) and can be only understood in

terms of historical co-evolutionary process which link-up all these actors, factors and levels” (Geels, 2005). 47 Questo nuovo regime della conoscenza implicato dalla bioeconomia rappresenta uno dei principali esempi di ciò

che Gibbons et al. (1994) ebbe a chiamare “mode 2 type of knowledge production”, un modo, cioè che trascende la tradizionale disciplina scientifica, dal momento che la nuova conoscenza è prodotta proprio dallo sforzo combina- to tra ricercatori di diverse discipline e dalla loro interazione con gli altri stakeholders del SCIA.

trascendere i tradizionali limiti settoriali si traduce nella integrazione di diversi tipi di in-

novazione (tecnologica, sociale, ambientale) e di diverse discipline scientifiche48.

In questa sfida di ridisegnare il SCIA alla luce del nuovo orizzonte della bioeconomia (il SCIB), la pars destruens è più agevole della pars costruens. Solo nell’ultimo quinquen- nio, numerosi sono stati i contributi sui limiti dell’attuale sistema, sulla necessità di indi- rizzarsi verso nuove priorità, nuove modalità (European Commission, 2007; Hall A., 2007; OECD, 2010; Deschamps, 2011; Freibauer et al., 2011, p. 124; House of Lords, 2011, cap. 5 e 7). Ma l’attenzione rimane spesso concentrata sul sistema della ricerca, sull’agenda di questo sistema, in un’ottica ancora implicitamente science-based laddove, come si è cer- cato di argomentare, proprio questo nuovo orizzonte impone il superamento di quell’ottica. Infatti, più rari, controversi e meno univoci sono i contributi su come costruire un nuovo sistema della conoscenza e dell’innovazione conforme a questo nuovo orizzonte.

L’evoluzione in corso, cioè, richiede un più profondo cambiamento di prospettiva. La bioeconomia emerge in quanto nuovo riferimento settoriale proprio in virtù del fatto che i settori tradizionali che la compongono sono diventati, o stanno diventando, settori intensi- vi di conoscenza. La stessa agricoltura: da intensiva di lavoro (agricoltura di sussistenza), a

intensiva di capitale (agricoltura moderna), a intensiva di conoscenza (bioeconomia)49. Pe-

neder (2010) sostiene che proprio le nuove tecnologie (GPT e KET) determinano “conver- gence of knowledge intensive sectors”. Si tratta di un fenomeno storicamente ricorrente e generalizzato di cui, oggi, la bioeconomia è un’espressione specifica. Vengono a confluire in essa i settori che, condividendo una comune base di conoscenza e tecnologia, condividono le medesime funzioni.

L’innovazione tecnologica ai tempi della bioeconomia è sempre anche una innovazio- ne sociale, culturale e ambientale proprio perché è il prodotto di tutte queste componenti. È interessante notare come questo sviluppo avvicini l’agricoltura, o la bioeconomia, ai co- siddetti creative sectors (or industries) e goods (Falk et al., 2010). In questi contesti, infat- ti, la natura innovativa di alcuni nuovi processi, prodotti o funzioni viene spesso sottosti- mata per la loro natura non-tecnologica o solo marginalmente tecnologica. Si tratta di ciò che Falk et al. (2010) chiamano soft service innovations, idea che certamente si applica ad alcune innovazioni assai rilevanti, ma sottovalutate, che hanno interessato l’agricoltura negli ultimi decenni. Per esempio, l’agriturismo e le agroenergie. In queste circostanze, come già menzionato, l’elemento tecnologico è presente, ma è spesso solo di accompa- gnamento o facilitatore (enabling), ma comunque decisivo in quanto è spesso quello che alimenta la percezione e il valore sociale dell’innovazione stessa. Allo stesso modo, questa accettazione collettiva permette di allargare il consenso sociale a favore di queste tecnolo- gie. D’altro canto, il valore delle KET si rivela solo nella applicazione concreta (“KETs need to be applied in order to have impact” (European Commission, 2010b), ma per sua natura questa applicazione richiede il coinvolgimento coordinato di diversi soggetti, di diversi

livelli istituzionali, di diverse discipline50.

Considerando questa ipotesi di disegno reticolare del SCIB secondo una prospettiva più critica, tuttavia, emergono anche alcuni rischi. Il principale rischio è che l’idea astratta 48 Anche la letteratura che si occupa di questi temi (e, se si vuole, anche questo capitolo) tende a collocarsi a cavallo

tra l’analisi economica e sociologica.

49 “Agriculture is becoming more knowledge intensive” (El-Beltagy, 2010).

50 “Integrated, coordinated approach to KETs is needed, linking actors from various policy domains at local, regio- nal, national and international levels”; “interaction between research and development, manufacture and appli- cation is needed, combined with policies promoting KET skills by means of cross-disciplinary higher education and training” (European Commission, 2010b).

di innovation network trovi il suo corrispettivo, in pratica, in un sistema altamente fram- mentato. In sostanza, un sistema incapace di disegnare nuove traiettorie tecnologiche che invece di produrre e mettere in circolo soluzioni innovative organiche, produce e mette in circolo incoerenti schegge di conoscenza e innovazione. Connesso a ciò, c’è il rischio che l’enfasi sull’innovation network sia in realtà l’argomento retorico per smantellare i pilastri del sistema precedente, forse superato ma certamente anche capace di esiti vir- tuosi. Quindi, non un nuovo disegno per rilanciare il ruolo del SCIB, bensì una scusa per ridurre gradualmente l’investimento e l’impegno (soprattutto pubblico ma anche privato) nel sistema. In effetti, è vero che un sistema reticolare ben disegnato e funzionante può anche essere capace di lavorare efficacemente in un contesto di contenimento delle risorse disponibili, cioè di essere più “leggero”. Ma questo non può significare il depotenziamento di alcune funzioni e di alcuni soggetti che costituiscono i nodi centrali della rete, quelli cioè che garantiscono la permanenza di interazioni intense e di elevata qualità. Proprio questo depotenziamento (o mancato potenziamento) è ciò che rende frammentato quello che dovrebbe essere, nelle intenzioni, un sistema reticolare.

Tra questi nodi critici della rete vanno ribadite le istituzioni di ricerca, soprattutto pubblica e di base. Infatti, una possibile conseguenza dei suddetti rischi è una sottovaluta- zione del ruolo della ricerca. Passare da una logica SS a una reticolare, non riduce l’impor- tanza della ricerca, bensì ne modifica il ruolo collocandola in uno spazio che richiede alla ricerca stessa un maggiore e migliore grado di interazione, integrazione e collaborazione con gli altri soggetti del sistema reticolare. Al contrario, alcuni sviluppi del dibattito sem- brerebbero più o meno implicitamente mettere in discussione la centralità dell’investimen- to in ricerca e sviluppo tecnologico e l’irrinunciabile ruolo del pubblico in questo senso (Balconi et al., 2010).

Il passaggio ad un sistema reticolare, infatti, può anche solo marginalmente concer- nere interventi sull’entità e sul numero dei soggetti che lo compongono. Piuttosto, questo passaggio consiste in un salto di qualità nell’organizzazione delle relazioni tra di essi e, di conseguenza, degli interessi e delle procedure con cui ogni soggetto opera nella rete. In- tervenire sul primo livello e non sul secondo, produce frammentazione e non una struttura reticolare. Non riduce, cioè, i principali limiti organizzativi che condizionano quantità e qualità di quelle relazioni: rigidità, complessità e scarsa trasparenza delle procedure, ec- cesso di regolamentazione, scarsa mobilità orizzontale delle risorse, limitata chiarezza e stabilità circa incentivi e sanzioni, ecc..

In sostanza, un sistema reticolare che non faccia questo salto di qualità organizzativo rischia di fallire proprio laddove falliva anche il sistema precedente. La differenza finisce con l’essere solo terminologica. Laddove in un sistema SS i fallimenti possono essere con- siderati di natura istituzionale, in quanto derivanti da errori nelle scelte deliberate dai soggetti deputati al governo e al coordinamento del sistema, in un sistema reticolare pos- siamo parlare di fallimenti di rete (network failures) in quanto dovuti alla scarsa quantità e qualità dell’interazione tra soggetti della rete e che ne impediscono una sufficiente capa- cità di auto-coordinamento e auto-governo (SOLINSA, 2012). La sfida attuale nel disegno del SCIB consiste proprio nel costruire e favorire questa quantità (intensità) e qualità della interazione; la sfida, cioè, è quella di “NETificare” (mettere in rete) comportamenti, com- petenze, interessi e procedure dei soggetti attualmente operanti per poi far sì che il sistema produca il suo stesso auto-governo. Il corrispettivo di ciò, dal punto di vista dell’analisi del- le perfomance del SCIB, è un progressivo passaggio verso metodologie di network analysis

in cui la bontà della perfomance non è tanto data da un qualche output finale e da un relativo rendimento, bensì da indicatori circa intensità e qualità delle interazioni di rete. Figura 1.1 – evoluzione del knowledge system thinking nella concettualizzazione del SCIA (AKIS)

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