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1.3.1 Cosa abbiamo imparato e cosa non abbiamo capito

1.3.4 Nuove sfide e agende divergent

Nell’ultimo decennio, l’idea di un necessario ripensamento del SCIA SS è stata raf- forzata dalle nuove e crescenti sfide che l’agricoltura globale è chiamata ad affrontare nel prossimo e nel lontano futuro. Da un lato, si riaffaccia con rinnovata forza la sfida princi- pale del secolo scorso, la capacità di produrre cibo a sufficienza per una popolazione mon- diale in crescita nei numeri e nei livelli di consumo, senza che questa continua crescita della domanda determini una tendenza rialzista dei prezzi agricoli e una loro crescente instabilità (Alston et al., 2009b e 2010b). Apparentemente, si tratta del riproporsi della sfida fondamentale della produzione e della tecnologica agricola, quella della food securi- ty: to feed the world (Alston e Pardey, 2009; Freibauer et al., 2011). Ma oggi l’agricoltura globale si trova di fronte un orizzonte profondamente mutato (Beddow et al., 2010; Kirsten, 2010; Maracchi, 2010), in cui anche i rapporti di forza stanno mutando. Le agricolture tradizionalmente dominanti, quali quelle di USA e UE, stanno lasciando gradualmente spazio alle agricolture di paesi emergenti quali Cina, India, Brasile, Argentina, e anche i divari tecnologici sembrano ridursi. Invece, in numerosi altri paesi, soprattutto africani, la situazione di sottosviluppo agricolo permane e il gap tecnologico con il resto del mondo tende piuttosto ad acuirsi.

25 Estratti da Galiay (2010) esprimono chiaramente il tono di questa critica. “Lessons from case studies on AKS governance”, “overall, a failure to incorporate diverse values/norms in a common and shared vision”, “partial in scientific advice, insufficient in risk assessment, insufficient in communication and dialogue”, “lack of inclusive- ness in framing issues and lack of sense of urgency”. Per una lettura critica relativa al SCIA tradizionale, si veda- no anche Glover (2012) e Ritter (2012). Werrij (2009) propone un’ulteriore prospettiva sul fallimento del modello attuale fortemente basato sulla ricerca di alto livello e sul modello lineare di innovazione, e ne trae le conseguenze in termini di relative politiche per la ricerca e la conoscenza soprattutto per i paesi sviluppati. Weber e Xia (2011) analizzano il caso delle nano-biotecnologie in cui un sistema apparentemente ben strutturato con un importante supporto pubblico a vari livelli e garanzia degli investimenti privati (appropriabilità) si rivela in realtà relati- vamente poco efficace in termini innovativi. Analogamente, Bieberstein et al. (2012) mostrano come gli ingenti investimenti in nano-food e nano-packaging possono trovare uno scarso gradimento, quindi successo, presso i consumatori.

Il già menzionato productivity slowdown, la forte crescita dei consumi in paesi qua- li Cina, India e Russia che da soli compongono oltre un terzo della popolazione mondiale, le recenti turbolenze sui mercati mondiali delle commodities agricole, testimoniano come questa sfida non sia stata definitivamente vinta nel secolo scorso e, anzi, tende oggi ad assumere una nuova dimensione e nuovi contorni anche per i paesi con le agricolture tec- nologicamente più avanzate (Huffman e Evenson, 2006; Pardey e Alston, 2010; Kirschke et al., 2011; Glover, 2012; Ritter, 2012). Di nuovo parafrasando Alston et al. (2009a), è come se Malthus si stesse prendendo una rivincita su Mendel: dopo un secolo in cui il progresso tecnologico agricolo (simboleggiato dal miglioramento genetico) ha saputo vincere la sfida della crescita della domanda alimentare, sorgono oggi legittimi dubbi sul fatto che questa vittoria si possa ripetere. Di fatto, una porzione significativa della popolazione mondiale che la sfida della food security non l’aveva ancora vinta neanche nel periodo precedente, in questa nuova fase rischia di subire le maggiori conseguenze di una rinnovata scarsità

alimentare26.

La principale novità rispetto al secolo scorso, tuttavia, sta nel fatto che questa sfida va oggi vinta solo a precise condizioni. La principale condizione è quella della compatibilità ambientale o, detto in maniera più propria, della sostenibilità. Non solo la crescita dell’of- ferta ottenuta grazie all’innovazione tecnologica dovrà essere sostenibile dal punto di vista ambientale, cioè non alterare gli equilibri ecologici, non compromettere la qualità dell’aria e dell’acqua, non consumare biodiversità. Ma questa nuova agricoltura dovrà attivamente contribuire alla crescita sostenibile con riferimento alla risoluzione del problema energeti- co e al contenimento dei cambiamenti climatici, cioè alle grandi sfide ambientali globali di questo secolo (Msangi et al., 2009).

In realtà, questa prima condizione conduce ad un altro requisito fondamentale che l’agricoltura del futuro dovrà necessariamente avere. È il requisito della multifunzionali- tà; la capacità di produrre, oltre ad alimenti, anche altri beni e servizi non-food, pubblici o comunque di interesse collettivo. Certo, tra questi ci sono i servizi ambientali che ci riportano alla sosteniblità, ma, soprattutto nelle società ricche e post-industriali all’agri- coltura viene richiesto di produrre paesaggio e valori estetici, servizi culturali e ricreativi, benessere fisico e mentale, ecc.. Nonché di essere garante, quale primo anello della filiera alimentare, di food safety e food quality; cioè, garantire sicurezza sanitaria, nutrizionale, ambientale ed etica degli alimenti, nonché la loro origine e provenienza. Si tratta di sod- disfare la richiesta dei consumatori della parte più ricca del mondo di una gamma sempre crescente di prodotti con requisiti diversificati e specifici (Esposti, 2005).

Sostenibilità e multifunzionalità, tuttavia, richiedono una produzione di conoscen- za e di innovazioni di natura diversa rispetto alla convenzionale sfida della food security. Innovazioni di prodotto (o di funzione, come si dirà più avanti) più che di processo, inno-

vazioni organizzative e di marketing oltre che tecnologiche; innovazioni più complesse27 e,

soprattutto, una conoscenza più ampia rispetto a quella relativa ai “soli” processi produtti- vi e ai “soli” mercati agricoli. Non più semplicemente “Mendel contro Malthus” ma “molto più di Mendel” (un’idea più ampia di innovazione) con “molto più di Malthus” (un’idea molto più ampia di bisogni da soddisfare).

Peraltro, le esigenze di aumento della produttività strictu sensu e quelle della soste- nibilità e della funzionalità possono facilmente entrare in conflitto e risultare difficilmente conciliabili. Il rischio concreto, cioè, è che laddove non si riesca a definire una agenda per 26 Una sorta di nuova “poverty penalty” (Sadler, 2010).

il SCIA che riesca a tenere insieme queste esigenze, si delineino piuttosto due agende diffe- renti e divergenti (Pardey et al., 2006b, p. 2). Una agenda per la new-scarcity che interessa principalmente agricolture, popolazioni e paesi per cui la sfida della food security rimane la sfida dominante (Lele et al., 2010; El-Beltagy, 2010) e per la quali continuano ad aprirsi interessanti “technological options for productivity increases” (Beintema e Elliott, 2011; Kirschke et al., 2011, p. 39). Un’agenda per la post-scarcity, che riguarda le agricolture dei paesi più ricchi in cui il tema della food security sembra secondario rispetto alle sfide

della sostenibilità e della multifunzionalità28. Questa divaricazione di agende è un rischio

concreto alla luce delle tendenze, già evidenziate in precedenza, alla “ri-nazionalizzazio- ne” dei SCIA, o almeno ad una graduale erosione di una qualche forma di coordinamento internazionale (Alston e Pardey, 2009). Al contrario, un’agenda unica capace di conciliare queste diverse esigenze, non può che essere un’agenda globale, giacché solo a questo livello emerge l’opportunità e persino la necessità di non tenere separati i vari aspetti.

In questo quadro, la vera questione diventa l’effettiva capacità di ridisegnare un SCIA che sappia rispondere sia alle sfide sia new-scarcity che della post-scarcity. In effetti, da più parti vengono avanzate proposte per una strategia della ricerca e dell’innovazione agri-

cola capace di trovare questa sintesi29; la sustainable intensification, per esempio (Hou-

se of Lords, 2011, cap. 1-3). Certamente questa ridefinizione della strategia complessiva richiede non solo un sostanziale ridisegno del SCIA globale, ma anche di quelli nazionali (The Royal Society, 2009; EU SCAR, 2008, p. 63-65). A quest’ultimo livello, tuttavia, non sembra che la sfida sia recepita in maniera altrettanto chiara e netta. Al contrario, in nu- merosi paesi sviluppati, il ripensamento del proprio SCIA sembra già fortemente caratte- rizzato nel senso di una agenda tipicamente post-scarcity, con grande enfasi ai temi della sostenibilità, della qualità e della sicurezza alimentare, della multifunzionalità, ma con relativa minore attenzione alla sfida della food security. Per esempio, Pardey et al. (2010) mettono in evidenza come nel 1985 la spesa delle stazioni sperimentali agricole negli USA fosse per il 69% dedicata a progetti finalizzati all’incremento della produttività; da allora

tale quota è regolarmente scesa ed ha raggiunto il 56% nel 2007 (ultimo dato disponibile)30.

Sembra perciò delinearsi un processo spontaneo che, in relazione alla divaricazione delle agende, determina anche una divergenza nelle strategie di ridefinizione dei SCIA. Per una strategia basata sulla sfida della new-scarcity, l’idea di riferimento rimane quella di un SCIA sostanzialmente SS con una forte componente globale ed una maggiore attenzione al rafforzamento di meccanismi che consentano ai benefici di diffondersi anche a paesi, agri- 28 Nel 1st Foresight Exercise, lo SCAR ha individuato 4 possibili scenari futuri rispetto a cui definire prospettive e

contributi della ricerca e dell’innovazione tecnologica in agricoltura (EU SCAR, 2008): Climate shock, Energy crisis, Food crisis, Cooperation with nature. Dal nome stesso di questi scenari, emerge chiaramente come quello della food safety, visto dalla prospettiva economica e sociale della UE, è solo una delle sfide da affrontare, non ne- cessariamente la principale.

29 Numerosi sono gli studi e le analisi condotte a tal proposito, proprio al fine di definire delle prospettive prevalenti circa lo sviluppo della produttività agricola a livello mondiale e i contributi che lo sviluppo tecnologico potrà dare in tal senso nei prossimi decenni. Si vedano, per esempio, i Foresight Scenarios dello SCAR (Standing Committee on Agricultural Research) dell’UE (Hall T. 2007; EU SCAR, 2008), i risultati del progetto europeo SCENAR 2020 (Nowicki, 2007) e i risultati del modello IMPACT dell’IFPRI (Von Braun, 2007). Bakker (2011), Fischer et al. (2011), Hu e Huang (2011), Roy (2011) e Van Gastel (2011) presentano altri studi, analisi e scenari relativi alle prospettive dell’innovazione tecnologica agricola e alimentare dei prossimi decenni alla luce della complessità delle sfide e delle nuove tecnologie emergenti. Guillou (2012) presenta queste sfide e queste opportunità non semplicemente nel ristretto ambito agricolo-alimentare ma alla luce del più ampio concetto di bioeconomia. Su questo si tornerà nei prossimi paragrafi.

30 Sempre con riferimento agli USA, un altro chiaro indicatore di questa tendenza è riportato da Perry (2010) secon- do cui tra le parole chiave che si trovano nelle declaratorie di 35 programmi di dottorato di ricerca in Economia Agraria nelle università statunitensi, le parole “resource” o “environmental” appaiono nel 100% dei casi, “deve- lopment” nel 66%, “production” solo nel 34%.

colture e realtà territoriali fin qui escluse (AKIS/RD, 2000; Rivera et al., 2005). Per una stra- tegia prevalentemente centrata sulle sfide della post-scarcity, invece, con sempre maggiore nettezza emerge la necessità di ripensare più radicalmente un SCIA che, anche sfruttando le nuove opportunità tecnologiche, preveda flussi bottom-up oltre che top-down, che sia de- mand-side pull più che supply-side push, che dia alla formazione, educazione, divulgazione, assistenza tecnica, informazione e partecipazione, la stessa dignità (quindi risorse) della ricerca (Ritter, 2007; Hall T., 2007; Moreddu, 2012). È evidente che in questa prospettiva sia possibile ripensare il SCIA su una scala nazionale o addirittura locale, quindi in maniera autonoma, giacché la dimensione globale può risultare non più determinante.