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l e Strutture di ricerca del m iniStero

1.1 ruolo ed evoluzione

L’Università costituisce una componente molto dinamica e rilevante della ricerca italiana, sia in termini di risorse (umane e finanziarie) mobilitate, sia in termini di risul- tati di ricerca prodotti in tutti i campi del sapere, compreso quello strettamente agricolo e del comparto agroalimentare. Negli ultimi decenni il sistema ha subito molteplici riforme che hanno avuto impatto sia sulla governance, l’articolazione e l’organizzazione del siste- ma stesso, sia sulla programmazione dell’offerta formativa. Il tutto si è tuttavia realizzato in un contesto di progressiva diminuzione dei finanziamenti e riduzioni del turn-over del personale di ricerca e di supporto (docenti, assegnisti, dottorandi, tecnici amministrativi). Le direttrici che nella storia hanno guidato l’evoluzione delle università sono principal-

mente riconducibili alla socializzazione della conoscenza1 e alla progressiva conquista di

autonomia gestionale, didattica e finanziaria2, che, però, negli ultimi 15 anni hanno visto

accentuarsi degli elementi di indeterminatezza, frammentazione, incertezza sul futuro. Il processo di trasformazione degli atenei italiani, avviatosi nei primi anni ’90, pro- segue in maniera decisa anche nel periodo 1996-2000: sotto il primo governo Prodi, il ministro Berlinguer introduce nel campo dell’istruzione e della ricerca innovazioni profon- de, tutte all’insegna dell’adeguamento alle esigenze nuove di una società in rapida trasfor- mazione, sempre più integrata nella cornice europea e mondiale e segnata dall’economia

della conoscenza3. Il percorso avviato da Berlinguer e proseguito con il ministro Zecchino

1 Occorre attendere le contestazioni studentesche del 1968 perché la situazione generale delle università italiane cominci a destare attenzione costante da parte della classe politica, con notevoli e sostanziali conseguenze per le successive trasformazioni strutturali e sovrastrutturali del sistema universitario. I movimenti studenteschi di- ventano difatti portavoce di un’aria di rigenerazione che fa della socializzazione dell’università, del rinnovamento delle discipline, della lotta di classe il proprio cavallo di battaglia. Ai forti segnali di cambiamento provenienti dalla società, la classe politica ha saputo rispondere, però, per decenni solo con interventi disorganici e a mosaico. 2 L’autonomia regolamentare e didattica delle università prendono forma con la Legge n. 341 del 1990 che rende

effettiva la ripartizione degli studi universitari in diploma di laurea, specializzazione e dottorato, mentre per l’autonomia finanziaria occorre attendere la Legge n. 537 del 1993 che, inquadrata in una più ampia riforma del pubblico impiego, risponde alla necessità di dotare il sistema universitario di criteri di finanziamento più raziona- li ed efficaci dei finanziamenti a pioggia fino ad allora valsi. La legge stabilisce dunque che ogni università gestisca con indipendenza i propri piani di spesa (sempre considerando le risorse provenienti dal ministero) e le spese per il personale sulla base delle proprie preferenze e necessità e in base ai finanziamenti ministeriali ricevuti allo sco- po. La Legge n. 537 istituisce peraltro la sperimentazione di un organismo nazionale di valutazione delle attività universitarie.

3 L’economia della conoscenza può essere definita come la disciplina che si occupa dello studio dei processi di pro- duzione e distribuzione di conoscenze e del loro impatto sui sistemi economici a livello sia microeconomico che macroeconomico (Geuna, 2010). In questo senso, grande rilevanza ha certamente avuto lo sviluppo delle ICT come veicolo per la diffusione delle conoscenze e delle innovazioni.

dà alla luce il modello del “nuovo ordinamento”4 attraverso l’introduzione del percorso di studi differenziato e di stampo anglosassone “3+2” e l’inserimento del sistema dei crediti

formativi5.

Con decreto n. 509 del 1999, la riforma universitaria del ministro Zecchino istituisce dunque una nuova articolazione dell’istruzione universitaria, ora su due livelli: la “laurea triennale”, ovvero titolo di primo livello rilasciato al termine del corso di formazione della durata di tre anni, fornisce una preparazione di tipo teorico-metodologico generale e com- petenze professionali di tipo tecnico-operativo; la “laurea specialistica”, invece, è il titolo di secondo livello rilasciato al termine del corso di formazione della durata di due anni, successivo alla laurea triennale, e fornisce una formazione avanzata per esercitare attività professionali ad elevata qualificazione.

Modifiche al nuovo ordinamento così definito vengono successivamente apportate dalla riforma universitaria del ministro Moratti: nel 2004, con decreto ministeriale n. 270, si sancisce, con avvio nell’anno accademico 2008-2009 e previsione di conclusione nel 2010-2011, la riorganizzazione accademica. La riforma universitaria Moratti è orientata verso un sistema meno burocratizzato e mira a stimolare una maggiore autonomia e con- correnza tra le università.

I livelli di istruzione restano sempre due ma cambiano denominazione: la laurea triennale prende il nome di laurea o laurea di primo livello, mentre la laurea specialistica diventa laurea magistrale. Tra le varie modifiche, si ricordano: l’attribuzione di un maggior numero di crediti formativi alle materie di base e alle metodologie generali nel caso delle lauree di primo livello, la diminuzione del numero di esami, la definizione di un livello minimo di crediti formativi associati al tirocinio per chi intende entrare subito nel mondo del lavoro, la definizione di percorsi di studio affini nei primi due anni di studi per favorire eventuali passaggi da un corso di studi ad un altro, infine la possibilità di seguire un corso di laurea magistrale non di “stretta continuità” rispetto al corso di laurea di primo livello. La riforma citata presenta interventi anche in materia di formazione post laurea e riguarda in particolare i master universitari di primo e secondo livello della durata di un anno ed il dottorato di ricerca della durata di 3 anni (dopo il conseguimento della laurea magistrale). Nel 2008, tuttavia, vengono gettate nuove basi per una ulteriore successiva riforma del sistema di istruzione in generale e universitario in dettaglio, che porterà il nome di “Riforma Gelmini”. L’entrata in vigore della legge n. 133 del 2008, sebbene riguardi nello specifico la finanza pubblica, comporta notevoli conseguenze in termini di governance anche per l’università italiana. Prima fra tutti, è prevista la possibilità per le università di deliberare la propria trasformazione in “fondazioni di diritto privato” (art. 16), enti non commerciali dotati di autonomia gestionale, organizzativa e contabile, che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell’Università, e che adotta- no uno statuto e dei regolamenti (approvati dal Ministro dell’Istruzione, Università e della

4 Il “vecchio ordinamento” consiste nel percorso di studi precedente alla riforma del 1999. La laurea poteva essere conseguita al termine di un ciclo di studi della durata di quattro, cinque o sei anni, a seconda della disciplina studiata. Gli ordinamenti universitari delle lauree vecchio ordinamento prevedevano un numero variabile di esa- mi, raggruppati per annualità. L’annualità era l’unità di misura degli esami di questo ordinamento che la riforma successiva ha sostituito con il credito formativo universitario (CFU).

5 Si tratta di un concetto che definisce quanta attività di studio, o di lavoro di apprendimento, è convenzionalmente richiesta a uno studente nell’unità di tempo fissata in 25 ore. Le università possono riconoscere come crediti anche conoscenze (ad esempio di tipo linguistico o informatico) e competenze professionali, acquisite in ambiti extra- universitari purché certificate.

Ricerca, MIUR6) a disciplinare la possibilità di ingresso nella fondazione universitaria di nuovi soggetti, pubblici o privati. Resta fermo il sistema di finanziamento pubblico e la vigilanza sulle fondazioni universitarie da parte del MIUR con il controllo della Corte dei Conti. Nonostante le vivaci proteste, il decreto diviene legge il 23 dicembre 2010.

Ancora nel 2010 viene emanata la legge n. 240 (30 dicembre) concernente la radicale riforma del sistema universitario i cui effetti, tuttavia, hanno visto la luce solo gradual- mente poiché la sua applicazione è dipesa dall’emanazione di numerosi decreti attuativi rimasti attesi per lungo tempo. La legge si propone in particolare di riorganizzare il sistema universitario: gli organi e l’articolazione interna delle università subiscono notevoli modi- fiche. La legge ha inoltre previsto: il passaggio alla contabilità economico-patrimoniale; la federazione e la fusione di atenei e il ridimensionamento dell’offerta formativa (con una so- stanziale riduzione del numero di facoltà); una significativa riduzione della rappresentanza studentesca negli organi di gestione degli atenei; una nuova condizione contrattuale della docenza universitaria che non sarebbe più tutelata da una legge nazionale, ma da stru- menti di contrattazione specifici di ciascun ateneo fortemente correlati dalla disponibilità locale di risorse. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nel gennaio 2011, la legge è divenuta riforma effettiva del sistema universitario non senza accendere anch’essa le proteste di molte componenti universitarie.

Con specifico riferimento alle Facoltà di Agraria, generalmente di piccole dimensio- ni, e Medicina Veterinaria, è presumibile che nel lungo termine la riforma avrà l’effetto di ridurne il numero procedendo a degli accorpamenti o fusioni di preesistenti facoltà.