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La storia della cappella musicale di Loreto fu strettamente connessa alla crescente rilevanza assunta dal Santuario a partire dal secolo XVI.182 Con la bolla In sublimia del 2 ottobre 1507 si assistette infatti al primo diretto intervento pontificio relativo alla chiesa di Santa Maria di Loreto da parte di Giulio II. Nel documento si stabiliva che la Santa Casa, insieme a tutto il suo patrimonio, fosse posta sotto la diretta giurisdizione della Santa Sede, e la sua amministrazione normata attraverso le Constitutiones Lauretanae, nelle quali si trovava anche

181 Cfr. F. FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, con uno sguardo sulla storia della musica in Italia,

I, Napoli, Morano, p. 180.

182 Per la storia della cappella musicale di Loreto si sono consultati i seguenti testi: G. TEBALDINI, L’archivio

musicale della cappella lauretana. Catalogo storico-scritico, Loreto, Amministrazione di S. Casa, 1921; E. ALFIERI, La cappella musicale di Loreto dalle origini a Costanzo Porta (1507-1574), Bologna, A.M.I.S., 1970; F. GRIMALDI, La

cappella musicale di Loreto nel Cinquecento. Note d’archivio, Loreto, Ente Rassegne Musicali, 1981; ID., Cantori maestri

e organisti della cappella musicale di Loreto nei secoli XVII-XIX. Note d’archivio, Loreto, Ente Rassegne Musicali, 1982; ID., I codici musicali della cappella di Loreto, Loreto, Ente Rassegne Musicali, 1984; Ministero per i Beni e le

Attività culturali, Direzione Generale per gli Archivi, Guida degli archivi lauretani, a cura di F. GRIMALDI e A. MORDENTI, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1985-1986; ID., Pellegrini e pellegrinaggi a Loreto nei secoli XIV-XVIII, Foligno, Accademia Fulginea di Lettere Scienze e Arti, 2001; P. PERETTI, Le cappelle musicali nella Marche nei secoli XVI-XX, Loreto, s.e., 2004; F. GRIMALDI, La Santa Casa di Loreto e le sue istituzioni. Documenti istituzionali e regolamenti, Foligno, Accademia Fulginea di Lettere Scienze e Arti, 2006; ID., La cappella

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la prima menzione della fondazione di una cappella musicale, accompagnata da esplicite direttive che ne disciplinavano l’attività. Le direttive papali relative alle cappelle musicali delle principali basiliche della città pontificia vennero progressivamente recepite anche a Loreto, non solo in relazione agli aspetti liturgici legati al canto, ma anche allo stile dei brani che avrebbero dovuto essere eseguiti. Lo sviluppo della cappella musicale lauretana instaurò così fin dal suo sorgere uno stretto rapporto con l’ambiente della musica sacra di romana che segnerà il suo futuro sviluppo. Non a caso, in particolare nel corso del secolo XVII, essa vide spesso alla sua direzione e tra i suoi componenti musicisti formati alla Scuola romana. Scrive Grimaldi:

Le Cappelle del binomio Roma-Loreto coltiveranno in particolare lo stile a cappella, pur distaccandosi dalla severità di Palestrina e avranno in comune il medesimo repertorio musicale, comprendente non colo le opere di Palestrina ma anche quelle di Francesco Soriano, Giovanni Francesco Anerio, Tomàs Luis de Victoria etc.183

Il secolo XVI rappresentò inoltre per la basilica della Santa Casa l’inizio di quel processo che la porterà a divenire uno dei più importanti luoghi di culto mariano d’Europa, meta privilegiata del pellegrinaggio devozionale in Italia. In particolare nella fase post-tridentina, Loreto divenne un esempio della politicizzazione del culto mariano caratteristica del progetto controriformistico.

Il crescente prestigio della cappella musicale di Loreto nei secoli XVI e XVII è attestato dalla presenza di alcuni fra i più importanti maestri di cappella italiani. Dal 3 settembre 1574 al 30 giugno 1580, Costanzo Porta (Cremona, ca. 1529 - Padova, 19 maggio 1601) diresse la cappella musicale della Santa Casa, procedendo anche ad una riformulazione dei compiti spettanti al maestro di cappella e all’organista, secondo le esortazioni in materia di musica contenute nei decreti tridentini. Annibale Zoilo (Roma, ca. 1537 - Loreto, 1592) ricoprì la carica di maestro dal 25 settembre 1584 al 30 giugno 1592, inaugurando una presenza continuativa di esponenti della Scuola romana alla guida della cappella lauretana. Il 28 ottobre 1609 venne incaricato Antonio Cifra (Roma, ca. 1584 - Loreto, 2 ottobre 1629), che mantenne la carica fino al 28 febbraio 1622, per poi tornare a ricoprirla dal 22 giugno 1626 fino alla morte. Infine, Giuseppe Corsi da Celano (Celano, ca. 1630 - Modena, post 1690) fu nominato maestro della cappella di Loreto il 28 febbraio 1668, rimanendo in carica fino all’11 novembre 1675. Grimaldi, riferendosi al secolo XVII, osserva che:

La chiesa lauretana aveva allora una fiorente e nota cappella musicale e aveva già annoverato fra i suoi maestri e organisti nomi molto noti, selezionati tra i molti che vi aspiravano. Le stesse celebrazioni liturgiche venivano eseguite con particolare splendore, accompagnate da scelte esecuzioni musicali, perché molto spesso la chiesa era anche meta di pellegrinaggi di illustri e conosciuti personaggi di cultura e di governo, sia laici che ecclesiastici.184

183 GRIMALDI, La cappella musicale di Loreto cit., p. 48. 184 Ibid., p. 37.

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Durante il corso del secolo XVII, nella cappella lauretana, legata all’osservanza dei precetti emanati dal governo centrale della Chiesa in materia di musica, il canto fermo e la polifonia vocale di derivazione palestriniana continuarono a rimanere i punti di riferimento del repertorio eseguito.185 Tuttavia, nonostante il perdurare delle prescrizioni tridentine, accanto a composizioni vocali in stile osservato, cominciarono ad essere introdotti nelle liturgie lauretane anche brani segnati dall’influenza delle novità linguistiche e stilistiche nate in seno alla musica strumentale e al teatro d’opera. Si venne così a creare progressivamente uno iato tra i regolamenti riguardanti le caratteristiche delle musiche appropriate alla liturgia e quelle effettivamente eseguite. Nonostante l’attenuarsi delle differenze tra musica sacra e musica profana, la cappella musicale di Loreto restò nondimeno caratterizzata dall’osservanza delle regole prescritte e da un atteggiamento moderato nei confronti delle innovazioni musicali.

Sul finire del secolo XVII lo statuto della Santa Casa, divenuta ormai un vero e proprio complesso religioso e amministrativo, subì una trasformazione fondamentale. Con la bolla Sacrosancta Redemptionis del 9 agosto 1698, papa Innocenzo XII istituì la Congregazione Lauretana, un apposito collegio cardinalizio,186 che oltre alla giurisdizione ecclesiastica deteneva quella laicale e temporale sulla comunità, sugli abitanti, sul territorio della città di Loreto, esercitata tramite il governatore della Santa Casa.187 La cappella musicale venne così ad essere amministrativamente dipendente dalla Congregazione lauretana, alla quale spettava il compito di concedere la patente al maestro di cappella e all’organista in vista dell’assunzione del servizio, nonché di stabilirne gli onorari. Il vescovo, in quanto delegato della Santa Sede, conservava le proprie prerogative spirituali, relative al culto, all’amministrazione dei sacramenti, alla sorveglianza sulla condotta morale dei cittadini lauretani, compresi i membri della cappella, che a lui dovevano rivolgersi per ottenere eventuali licenze per potersi assentare dal servizio liturgico. A questo scopo il vescovo delegava al prefetto della musica (praefectus musicae) il compito di vigilare che tutti i componenti della cappella svolgessero correttamente i loro doveri.

Nella direzione delle attività musicali, il maestro di cappella era coadiuvato dal maestro di coro e dall’organista. La responsabilità maggiore riguardante il buon andamento della cappella, sia dal punto di vista dell’esecuzione musicale sia da quello disciplinare, ricadeva però sul maestro di cappella, il quale oltre a dirigere i coristi era tenuto a comporre nuovi brani musicali da lasciare in deposito nell’archivio della Santa Casa. A lui spettava inoltre la scelta delle musiche da eseguirsi, in relazione ai diversi momenti liturgici, in base a norme molto precise, in vigore a partire dalla metà del secolo XVII, che stabilivano quanto si dovesse cantare musica figurata o in semplice canto fermo. Il maestro di cappella era inoltre tenuto a controllare la conformità dei testi liturgici delle composizioni eseguite. Il

185 Esplicite in tal senso sono le regole riguardanti l’ufficio dei cantori, del maestro del coro, dell’organista e

del maestro di cappella, emanate dal cardinale Giulio Roma, vescovo di Loreto, tra i documenti del sinodo celebrato nel 1626 e pubblicati nello stesso anno. Cfr. Diocesana Synodus Lauretana ab Illustrissimo et Reverendissimo domino cardinali Roma, episcopo Lauretano et Recinetensi celebrata die VIII ianuarii M.DC.XXVI, Maceratae, apud Iulianum Carbonum, 1626, pp. 152-163.

186 Della Congregazione lauretana facevano parte il cardinale segretario di stato, il cardinale datario, il

segretario dei brevi, l’uditore di Sua Santità, il sottodatario, che aveva funzioni di segretario e il commissario della camera apostolica. Cfr. Guida degli archivi lauretani cit., I, pp. 16 e segg.

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suo salario mensile non era stabilito in modo fisso, ma poteva variare nel corso del tempo e in relazione ai singoli musicisti, ed essere integrato o meno da un contributo per il vitto e l’alloggio. Il maestro di coro, scelto tra gli stessi cantori, aveva il compito di predisporre il necessario per le esecuzioni e di dare il tono ai cantori. Interveniva inoltre nel coro dei chierici, durante le liturgie in canto fermo. L’organista aveva l’obbligo di intervenire a tutte le funzioni in base a un mansionario stabilito, accompagnando il coro e gli eventuali strumenti, e intervenendo estemporaneamente durante le liturgie in alternanza ai coristi o ai chierici. I cantori della cappella venivano eletti per concorso e solo in alcuni casi per ammissione diretta da parte della Congregazione lauretana. Essi potevano rientrare nel novero dei titolari (numerari) o dei coadiutori (soprannumerari). L’ufficio del coadiutore consisteva nel sostituire i cantori più anziani che non erano in grado di svolgere pienamente il servizio oppure i cantori titolari che si assentavano per recarsi a cantare nei teatri. Tale carica rappresentava il primo passo per poter divenire cantori titolari, una volta resosi definitivamente vacante il posto. Il numero dei membri cantori della cappella si stabilizzò nel corso del secolo XVII in sedici unità: quattro per ciascun registro vocale.

A partire dai primi anni del XVIII si cominciò ad assistere ad un lento declino della cappella musicale. I problemi più gravi sorsero dal deteriorarsi dei rapporti tra i cantori e l’amministrazione, a seguito del crescente clima di disordine interno alla cappella. Nel 1707, il vescovo Filippo Carlo Spada, che il 12 ottobre 1702 era stato inviato a Loreto in qualità di visitatore apostolico, nel tentativo di sanare alcuni aspetti problematici del servizio musicale della Santa Casa, redasse una serie di articoli, o capitoli, rivolti ai membri della cappella.188 In essi i cantori, il maestro di cappella e l’organista venivano esortati a comportarsi in maniera dignitosa durante le celebrazioni liturgiche e a eseguire i canti con la dovuta cura. Allo scopo di limitare gli abusi e le controversie veniva istituito l’ufficio del puntatore, svolto a turno dai cantori della cappella. Questa figura, analogamente a quanto avveniva nelle cappelle pontificie, aveva il compito di annotare le assenze e le scorrettezze compiute dai membri della cappella (eccettuato il maestro) affinché i trasgressori fossero in conseguenza di ciò multati. I capitoli di Spada rappresentarono solo il primo dei numerosi regolamenti relativi all’attività della cappella musicale stilati nel secolo XVIII. Il 22 febbraio 1716 a fronte del perdurare di una situazione problematica all’interno della cappella musicale, questi articoli vennero infatti ripubblicati con alcune aggiunte, da parte del cardinal Melchiorre Maggio, visitatore apostolico e governatore. Tuttavia le iniziative volte a mantenere l’ordine e il decoro della cappella musicale non diedero l’esito sperato. Nel luglio del 1739 il governatore di Loreto fu costretto a chiedere al maestro di cappella, che allora era Geminiano Giacomelli, di compilare una nuova raccolta di «Regole da osservarsi dal maestro di Cappella, organista e musici che servono la Santa Casa», riprendendo in parte alcune delle norme già indicate nel 1707.189

La crisi della cappella musicale derivava in parte dai mutamenti che stavano attraversando il mondo musicale e soprattutto alla diminuita attenzione verso il genere sacro. Nel repertorio della cappella lauretana, si nota in questi anni ad un progressivo allontanamento dalla polifonia vocale, legata al canto fermo e alle regole del contrappunto

188 I-LT, Cappella musicale, b. 1, Memorie, Bolle e Regolamenti, n. XII, cc. 6r-7v. 189 I-LT, Cappella musicale, b. 1, Memorie, Bolle e Regolamenti, n. XVI, c. 8r.

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osservato, a favore di una scrittura musicale più vicina ai linguaggi e al melodramma. I cantori iniziarono a manifestare sempre minor interesse per l’attività della cappella: non più soddisfatti dal trattamento economico loro riservato e insofferenti rispetto alla disciplina che il servizio liturgico richiedeva, si rivolsero sempre più spesso all’esterno per cercare qualche scrittura più remunerativa nei limitrofi teatri d’opera. La situazione si era dunque profondamente modificata rispetto al secolo XVII, durante il quale un impiego stabile nella cappella lauretana era ancora considerato una professione ambita in grado di garantire una dignitosa posizione sociale. Occorre tenere presente inoltre che, a partire dal secolo XVIII, anche nella città-santuario di Loreto, chiusa sia geograficamente sia culturalmente entro i confini dello Stato pontificio, si cominciò ad assistere alla diminuzione del potere di influenza politica e sociale della Santa Sede. In conseguenza di ciò si assistette anche ad un mutamento nella coscienza sociale dei cantori, che si manifestò nell’inoltro di richieste dirette all’amministrazione per ottenere una riduzione dell’orario di lavoro e per chiarire gli anni di servizio che erano tenuti a svolgere per poter ottenere la giubilazione (collocamento a riposo). Nella seconda metà del secolo XVIII, il moltiplicarsi dei teatri e il conseguente aumento delle possibilità lavorative per i cantori peggiorò ulteriormente la situazione di disordine e trascuratezza nell’attività svolta dalla cappella musicale. Anche l’ottenimento di un aumento salariale e di una riduzione degli obblighi di servizio non produsse mutamenti significativi. Le prospettive offerte dalla professione teatrale divennero sempre più opzioni preferenziali per i cantori, tanto che la cappella cominciò a trovarsi sprovvista di elementi idonei, con un conseguente impoverimento della qualità delle esecuzioni.190

Nell’Archivio storico della Santa Casa si conserva un memoriale anonimo non datato, probabilmente redatto da un corista nella prima metà del secolo XVIII, nel quale sono registrati i principali problemi interni alla cappella musicale. L’estensore di queste note non manca di segnalare i disordini e gli abusi della cappella, quali la condotta poco decorosa dei cantori durante le celebrazioni, la facilità con la quale alcuni di loro ottenevano licenze per assentarsi dal servizio, l’arbitrio col quale venivano multati i cantori, anche i più scrupolosi e assidui. Nel memoriale sono riportate anche alcune osservazioni sull’operato del maestro di cappella,191 giudicato incapace di ristabilire l’ordine tra i cantori e prendere i provvedimenti necessari per riportare la cappella al livello che le era proprio, in quanto «costituita, ed ordinata ad instar cappellae pontificiae».

Il primo e principale disordine che sia nella cappella della musica del santuario di Loreto si

190 Per una testimonianza sulle mutate condizioni socio-economiche dei cantanti è interessante la descrizione

che ne fece Charles Burney: «Prima del mio arrivo a Roma mi era stato detto da un amico che vi aveva vissuto diciannove anni, che non dovevo attendermi di trovare nella cappella pontificia delle esecuzioni superiori a quelle del resto d’Italia, come era stato nei tempi passati prima che esistessero i teatri d’opera ed i migliori cantanti ricevessero retribuzioni così alte. Un tempo i musicisti del Papa erano meglio pagati e possedevano realmente qualità superiori agli altri. Ora però le condizioni sono mutate […]. Il costo della vita è aumentato, il denaro ha minor valore, dappertutto le retribuzioni sono maggiori; alla professione del cantante si preferisce perciò unire un’altra professione per ottenere sufficienti mezzi di sussistenza. Ne consegue, naturalmente, una decadenza della musica sacra che va di male in peggio, mentre quella teatrale riceve ogni giorno nuovo impulso dati i compensi sempre maggiori». Cfr. C. BURNEY, Viaggio musicale in Italia, a cura di E. Fubini, Torino, EDT, 1987, pp. 275-276.

191 Le critiche erano rivolte probabilmente a Geminiano Giacomelli, ma non è da escludere che possano

63 è la poca ubbedienza d’alcuni cantori d’essa verso chi presiede alla direzione della medesima, che sono il maestro di Cappella, quale dirige il canto figurato ed il maestro di coro che sopraintende il canto gregoriano. Si fanno lecito quelli di contraddire francamente all’uno e all’altro de’ direttori, con volere cantare tanto in musica che in canto fermo, se va a loro beneplacito e quando loro aggrada sotto insussistenti pretesti e ciò molte volte partorisce che il maestro di Cappella conviene servirsi de musici di minore abilità. 2° L’indecenza di vedersi molti de’ medesimi cantori, tanto ne’ coretti, quanto nel pavimento avanti alla Santa Casa starsene a cantare sedendo, il che causa oltre lo scandalo in chi ciò osserva anco lo sconcerto nella musica, mentre non vedendoci né carta né libro cantano a capriccio, senza sapere ciò che fanno. 3° La pettulanza d’alcuni che pretendono estorcere quasi per forza le licenze dal maestro di cappella, d’assentarsi dal servizio sotto diversi pretesti, ma il vero si è che non hanno altro motivo che il volersi prendere spasso e divertimento, non contenti di starsene la maggior parte dell’anno assenti. 4° Causa parimente disordine il non pagarsi ogni mese le puntature a tenore del sinodo, e decreti affissi, poiché andando le cose in lungo sieguono delle dimenticanze che poi partoriscono litigi e dissenzioni, come potrà informare il maestro di cappella etc. 5° Riesce poi non poco disgustevole a’ quei cantori, che servono di continuo con assiduità il santuario l’essere sottoposti a dovere pagare irremisibilmente alcune puntature di poco momento, cioè per non ritrovarsi per un istante con il piede nell’ultimo gradino, sì del coretto che del pavimento avanti la Santa Casa, e poi dovere tollerare, che altri, che non servono la chiesa la quarta parte dell’anno siano dispensati dal servizio le settimane, e mesi intieri, sotto insussistenti pretesti e che le puntature di quelli, che sono assidui debbano essere comuni cogl’altri, che mancano, particolarmente nelle principali solennità dell’anno, che sono le più laboriose. 6° E perché fatta la legge, pensata la malizia, come suol dirsi, intesosi da’ suddetti cantori doversi rinnovare lo stile pratticato per avanti di dover ricercare in scriptis le licenze al superiore, con esprimersi il tempo etc., francamente si sono protestati, che in tal caso s’averanno il bisogno di tre o quattro giorni, ne riceveranno sei, ed otto. 7° Altro abuso è quello, che essendo prossime le vacanze, tanto hiemali che estive, quelli, che devono avere le prime, senza veruna necessità ricercano il superiore d’essere dispensati dal servizio sino dieci, e quindici giorni, e talvolta anco un mese anticipatamente, che concedendoglisi vengono a godere quasi duplicate le vacanze. 8° Per mantenere ne’ cantori la concordia, e buona armonia fra essi, pare sia necessario, che il maestro di cappella debbavi ancora egli contribuire, con evitare ogn’ombra di parzialità verso chi si sia di detti cantori, con mostrarsi indifferente verso ciascuno di essi, e padre commune, come anco non suscitare novità di sorte alcuna, ma di continuare lo stesso ordine praticatosi per tanti anni, e da tanti suoi antecessori, uomini di sublimi talenti, a tenore che il sinodo, o per inveterata consuetudine, non repugnare il decoro, e buon servizio della chiesa, tanto in ordine a ciò si deve cantare, quanto alle buone usanze di detta cappella, constituita, ed ordinata ad instar cappellae pontificiae, che dà norma a tutte l’altre d’Europa, tanto più, che le novità non partoriscono mai buoni effetti, ma sempre sono feconde di disordini, e dissentioni etc. 9° E finalmente per il totale ristabilimento del buon ordine nella detta cappella, è più che necessario il rinvenire l’antiche constituzioni d’essa, e ciò non potendosi effettuare, converrà farne di nuove, ed obbligare i cantori, che l’abbino, come per legge, con che si verrà a togliere infinità di disordini, et abusi.192

Questa dunque la difficile situazione della cappella che Basili si trovò ad affrontare al suo arrivo a Loreto nel marzo del 1740.

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