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Gli studi di contrappunto di Pasquale Antonio Basili sotto la guida di Andrea

Anche se non è stato possibile rintracciare manoscritti contenenti esercizi di contrappunto basati sul metodo delle specie svolti alla scuola di Basili, tuttavia alcuni documenti riconducibili al percorso di studi svolto dal nipote Pasquale Antonio permettono di comprenderne meglio strumenti, contenuti e obiettivi.170

In due lettere indirizzate a padre Martini, Pasquale Antonio Basili riferisce alcune informazioni riguardati il proprio periodo di formazione musicale a Loreto sotto la guida dello zio. Nella prima, datata 23 maggio 1759, il nipote del nostro autore, richiedendo una lettera di raccomandazione a sostegno della propria candidatura al posto di maestro di cappella di Orvieto,171 scrive al maestro bolognese: «a lei son cognite le mie debolezze, che

168 Ibid., p. 230.

169 D-B, Mus. ms. autogr. theor. Basili, A. 1, c. 96r.

170 Per le notizie biografiche relative a Pasquale Antonio Basili cfr. cap. I.

171 Martini scrisse effettivamente una raccomandazione a favore di Pasquale Antonio Basili. Cfr. Minuta di

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componevo sette anni fa allorché stavo sotto la tutela di mio zio don Andrea Basili in Loreto».172 Le «debolezze» menzionate altro non sono che la serie di composizioni su cantus

firmus inviate da Pasquale Antonio Basili all’Accademia Filarmonica di Bologna il 30 giugno

1753, per esservi ammesso in qualità di compositore secondo le modalità dell’aggregazione «alla forestiera».173 Questi brani, che saranno analizzati in questa sezione, rappresentano testimonianza di estrema rilevanza della metodologia didattica seguita dal nostro autore nella formazione del nipote. La seconda lettera, risalente al 29 agosto 1761, Pasquale Antonio Basili si rivolge a padre Martini per averne un attestato scritto di stima da esibire a Baldassarre Angelini, ex allievo dello stesso Francescano.174 Angelini, a quanto si può leggere, aveva offeso Pasquale Antonio Basili, mettendone in dubbio le capacità di compositore e sfidandolo pubblicamente a comporre una fuga a dodici voci. A certificare la propria competenza il musicista chiama nuovamente in causa gli studi svolti alla scuola del maestro lauretano: «io so bene che mio zio quindici anni fa s’è adoprato in genere di musica, e di comporre, impiegarmi nelle più ardue imprese dell’arte, e ne ho fin dal ’51 riportato appresso i più celebri uomini applauso».175 Grazie alle indicazioni cronologiche fornite in queste due lettere è possibile stabilire che Pasquale Antonio Basili iniziò i propri studi con lo zio a Loreto intorno al 1746. A questo periodo risale come si è visto la traduzione del Gradus ad Parnassum, che certamente è stata utilizzata dal maestro lauretano come strumento didattico anche a beneficio del nipote. Gli studi di quest’ultimo si erano protratti per circa sette anni, trascorsi i quali si era trasferito ad Apiro (oggi in provincia di Macerata), come risulta dalla qualifica con la quale si presentò al giudizio dei Filarmonici,176 proseguendo tuttavia la propria formazione con lo zio almeno fino alla metà del 1753.

Il primo dei documenti appartenenti a questo periodo emersi durante l’indagine archivistica è un esercizio di spartitura della Missa ad fugam di Giovanni Pierluigi da Palestrina.177 Sul frontespizio del manoscritto autografo, conservato nella Biblioteca “Mozzi-Borgetti” di Macerata, si legge: «Missa ad fugam del Palestina messa in partitura da Pasquale Basili in Loreto 1750».178 In alto a destra sopra il primo sistema si trova

Orvieto), I-Bc, I.017.194a, SCHN 0552: «Attesto io infrascritto, come il sig. Pasquale Antonio Basili, ha tutte le qualità desiderabili per servire di maestro di cappella qualunque chiesa, avendo in sé il buon gusto accompagnato da tutta l’arte che può desiderarsi in un distinto compositore di musica singolarmente da chiesa, di cui ha dato tutte le prove più distinte negl’esperimenti da esso fatti in occasione d’essere stato aggregato all’Accademia Filarmonica di Bologna». L’esito finale non fu tuttavia favorevole a Pasquale Antonio Basili. Al concorso parteciparono anche Gregorio Ballabene e Carlo Antonio Cristiani (Camerino, ca. 1725 - Fermo, 21 aprile 1764), che al termine delle votazioni risultò vincitore (cfr. lettera di P. A. Basili a G. B. Martini del 1° agosto 1759, I-Bc, I.017.193, SCHN 0553).

172 Cfr. lettera di P. A. Basili a G. B. Martini del 23 maggio 1759, I-Bc, I.017.194, SCHN 0551.

173 Secondo il regolamento dell’Accademia Filarmonica bolognese, i compositori non residenti a Bologna che

richiedevano l’aggregazione non erano tenuti a sostenere un esame scritto estemporaneo, ma potevano semplicemente inviare una o più composizioni proprie per sottoporle ai giudici in carica.

174 Su Baldasarre Angelini cfr. M. PASCALE, Il musicista perugino Baldasarre Angelini. Le lettere a padre G. B. Martini,

«Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia», n.s. I, 1977-1978, pp. 27-69.

175 Cfr. lettera di P. A. Basili a G. B. Martini del 29 agosto 1761, I-Bc, I.017.196, SCHN 0555.

176 Nel verbale di richiesta di aggregazione Pasquale Antonio Basili viene definito infatti come «maestro

dell’Apiro», cfr. I-Baf, Registro dei verbali, II/2, 14 giugno 1753, c. 241r.

177 G. P. da PALESTRINA, Missarum liber secundus, Roma, Eredi di Valerio e Luigi Dorico, 1567.

178 I-MAC, Mss. mus. 18-5. Il manoscritto, inserito in una raccolta di partiture palestriniane, è stato

erroneamente attribuito a Francesco Basili, il cui nome compare nel frontespizio sotto quello del cugino, cancellato a penna. Oltre all’evidenza fornita della grafia, appartenente chiaramente a Pasquale Antonio, è

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l’indicazione «del Palestina» nella grafia di Andrea Basili. A confermare la funzione didattica del manoscritto è la scarsa cura nella disposizione del testo cantato, che a partire dal Sanctus viene solamente accennato in alcune delle voci, segno che l’interesse principale era rivolto all’analisi dell’intreccio contrappuntistico. La scrittura appare regolare e chiara, segno che probabilmente si tratta di una bella copia realizzata dopo che i singoli brani erano stati spartiti e controllati dal maestro. Si possono tuttavia individuare alcune vistose correzioni, realizzate mediante abrasione e sovrascrittura, che segnalano come il lavoro di revisione sia stato condotto a diversi stadi della messa in partitura.179 La scelta di una delle più note e complesse composizioni del Palestrina è indice che la formazione musicale ricevuta da Pasquale Antonio nel 1750 fosse già ad un livello piuttosto avanzato. Probabilmente il maestro lauretano aveva già analizzato con il nipote i brani contenuti nel manoscritto Landsberg 202, utilizzandoli come modelli di spartitura.180 Come si è detto, nell’ambito della scuola romana lo studio della polifonia vocale sacra rinascimentale effettuato mediante la riduzione scritta in partitura delle singole voci era un aspetto fondamentale della formazione musicale del compositore. A conferma di questo aspetto metodologico, nel manoscritto delle Notizie essenziali di musica, precedentemente analizzato, sul quale anche Andrea Basili effettuò parte dei propri studi musicali, vengono fornite non solo le indicazioni necessarie per poter spartire brani scritti in notazione mensurale ma anche esempi tratti da opere del Palestrina. È verosimile che il nipote del nostro autore abbia seguito un iter analogo, nel quale l’esercizio sulle specie contrappuntistiche veniva affiancato all’analisi di brani polifonici, seguendo un percorso di apprendimento procedente dall’astratto al concreto, nel quale l’applicazione pratica della regola trova nell’exemplum d’autore il suo contesto ermeneutico privilegiato. La familiarità di Pasquale Antonio Basili con questo esercizio è confermata da quanto scrive in una lettera a Saverio Mattei datata 4 ottobre 1780: «Io ho spartiti da venti e più messe dello stesso [scil. Palestrina]».181 La scelta della Missa ad fugam mette inoltre in evidenza l’importanza assegnata allo studio dell’imitazione canonica, uno degli strumenti didattici principali utilizzati da Andrea Basili nel corso di tutta la sua attività di insegnamento. Non a caso la seconda testimonianza documentaria risalente all’ultima fase della formazione del nipote del nostro autore è quasi interamente costituito da canoni.

Si tratta dei componimenti inviati da Pasquale Antonio Basili all’Accademia Filarmonica, conservati al Museo internazionale e Biblioteca della musica di Bologna.182 Il manoscritto autografo, datato 30 giugno 1753, era accompagnato da un lettera indirizzata al

impossibile che il secondogenito di Andrea Basili possa aver redatto la partitura, dato che nel 1750 non era ancora nato.

179 Gli interventi più vistosi di correzione si trovano alle bb. 5-9 del Patrem onnipotentem e in tutto l’Osanna in

excelsis, nel quale è evidente la difficoltà dell’allievo a comprendere la notazione mensurale.

180 Non è casuale che il manoscritto I-MAC, Mss. mus. 18-5 sia redatto sul carta dello stesso formato e con

identica filigrana della raccolta contenuta in D-B, Ms. mus. Landsberg 202. Questo manoscritto sarà analizzato nella sezione seguente.

181 Cfr. lettera di P. A. Basili a S. Matteri del 4 ottobre 1780, pubblicata in S. MATTEI, Paralipomeni per servire di

continuazione alle opere bibliche, I, Napoli, Giuseppe Maria Porcelli, 1788, pp. 216-218: 217.

182 I-Bc, DD.126, Sette brevi componimenti in istile rigoroso sopra le parole Benedicamus Domino e Bononia docet. Eitner

cita questo manoscritto nel suo Quellen-Lexikon riportando erroneamente la data del 30 giugno 1735, ipotizzando che Pasquale Antonio fosse il padre di Andrea Basili, cfr. EITNER, Biographisch-Bibliographisches Quellen-Lexikon der Musiker und Musikgelehrten, cit., I, p. 363.

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principe dell’Accademia, con la stessa data, con la quale il giovane compositore rispondeva alla richiesta di inviare alcuni brani in vista della valutazione della sua domanda di aggregazione. All’inizio della lettera vengono descritti dettagliatamente i brani:

In segno d’ossequiosissimo rispetto, e pronta ubbidienza a Vossignoria illustrissima sette diverse composizioni fatte sopra il Benedicamus solenne. La prima è a quattro voci con qualche obligo come vedrà. La seconda è a cinque in fuga obligando i due Tenori a tutte le note del Benedicamus in canone all’unisono. La terza è a tre, Soprano, Tenore e Basso, il Tenore fa il canto fermo, ed al Basso risponde il Soprano in canone rivoltato alla duodecima. La quarta composizione è a tre, due Contralti in canone all’unisono, ed il Tenore fa tutte le note del Benedicamus. La quinta è a due Tenori dicendo tutte le note del Benedicamus uno alla dritta, e l’altro al riverso. La sesta è a due Tenori coll’obligo di tutte le note del detto Benedicamus per canone in subdiatesseron. La settima è a nove voci in fuga coll’obligo nel primo Basso di cantare tutte le note del Benedicamus, ed il Tenore di rispondere in canone rivolto in subditono.183

Come si apprende dal seguito della lettera, questi brani erano stati composti nell’arco di quattro giorni sotto la guida di Andrea Basili. Ad esse l’aspirante accademico si riferisce con il termine di «lezzioni», sottoponendole alla critica dei giudici come saggio dei propri studi di contrappunto. È molto probabile che i brani siano stati non solo composti sotto l’occhio vigile del maestro lauretano, ma anche da lui rivisti prima dell’invio. Sul manoscritto si possono notare infatti piccoli interventi nella grafia di Andrea Basili, che integrano le indicazioni relative agli artifici contrappuntistici impiegati e alcune lacune nel testo cantato. Il cantus firmus utilizzato è l’intonazione del Benedicamus Domino solenne:184

Intonazione del Benedicamus Domino solenne.185

Pasquale Antonio Basili sviluppa a partire da questo soggetto sette brevi brani di genere diatonico. Il primo, l’unico in cui l’imitazione canonica è assente, consiste in un contrappunto imitato a quattro voci con il canto fermo al Soprano. Strutturalmente il brano è analogo agli esperimenti cui venivano sottoposti coloro che richiedevano l’ammissione alla Congregazione dei musici di s. Cecilia, non dissimile da quello che verrà elaborato dal medesimo da Pasquale Antonio nel 1766 per ottenere l’aggregazione a questo sodalizio.186

183 Cfr. lettera di P. A. Basili diretta probabilmente al principe dell’Accademia Filarmonica, 30 giugno 1753, I-

Bc, Epv.Basili P.1.

184 Sul medesimo cantus firmus sono basati gli Studj sopra’l canto fermo del Benedicamus Domino solenne, composti da

Antonio Aurisicchio (Napoli, 1710 - Roma, 1781), conservati nella collezione Santini della Biblioteca diocesana di Münster. Cfr. D. DI PALMA, “voce” Aurisicchio, Antonio, in DBI, IV, 1962.

185 Cfr. P. CERONE, Le regole più necessarie per l’introduttione del canto fermo, Napoli, Gargano e Nucci, 1609, p. 27. 186 Cfr. I-MAC, Mss. mus. 3-1, Responsorio in Festo Corporis Christi (Immolabit hedum). Il brano è erroneamente

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Gli altri sei componimenti sono costituiti da fughe e canoni in ordine di complessità crescente, culminanti in una fuga a nove voci nella quale sette voci si muovono in imitazione libera, sovrapponendosi ad un canone al rovescio del canto fermo affidato alle due rimanenti. Non è inverosimile ritenere che Andrea Basili abbia ampiamente collaborato alla stesura di questi brani, non solo esercitando la sua supervisione didattica, ma anche suggerendo all’allievo modalità di realizzazione e soluzioni compositive all’allievo. La stessa richiesta di aggregazione fatta da Pasquale Antonio Basili è probabilmente stata suggerita e sostenuta dallo zio allo scopo di favorirne la carriera musicale.

Destinati alla formazione del nipote potrebbero essere anche i contrappunti ricopiati dalla mano di Francesco Basili in un manoscritto conservato nella Bibliomediateca dell’Accademia nazionale di santa Cecilia. Si tratta di un fascicolo pentagrammato intitolato «Canone del sig. Giuseppe Jannaconi».187 All’interno si trovano però anche una serie di composizioni su canto fermo di Andrea Basili, scritte «in occasione che il nepote della moglie ebbe il redeat per il medesimo soggetto nell’esame di Roma».188 Come si apprende dalla lettera di Basili a Giuseppe Foschi, Pasquale Antonio non era riuscito a superare al primo tentativo l’esame di ammissione alla Congregazione dei musici di santa Cecilia:

mio nipote in Roma si espose al concorso. Alla prima non passò, ed io stesso glie la sentii contro, avendo veduto nella prima sua composizione trascorsi che da un vero, e giusto giudice non poteva ammettersi: ma preso il mio consiglio, doppo una seria occupazione, fattane supplica per essere di nuovo all’esame, passò egregiamente.189

Il «consiglio» di Basili consiste nel fornire al nipote diversi esempi di contrappunto imitato in stile osservato. In primo luogo una fuga tonale a 4, nella quale il cantus firmus, al quale si sovrappone è collocato successivamente in tutte le voci, partendo dal Basso e ascendendo fino al Soprano. Segue un’altra fuga tonale il cui soggetto, derivato dal precedente cantus

firmus, viene trattato in imitazione stretta. La scelta della risposta tonale in entrambi i casi è

un elemento caratteristico della concezione romana del contrappunto severo. Basili intendeva qui evidentemente fare in modo che il nipote si adeguasse agli standard richiesti dagli esaminatori della Congregazione ceciliana, nonostante in altre occasioni si fosse espresso a favore della risposta reale.190 Basili inserisce poi due canoni chiusi, basati sempre sul medesimo tema: un canone a 2 voci in diapason, e un canone all’unisono a 8 voci.

Come si è visto, l’imitazione canonica rappresenta il punto culminante della formazione contrappuntistica tratteggiato nel manoscritto delle Notizie essenziali di musica. Nei manoscritti teorico-didattici prodotti in seguito dal maestro lauretano l’importanza attribuita al canone come strumento didattico verrà ulteriormente confermata, come anche dall’interesse per questa tecnica compositiva nella sua tarda produzione musicale.191 Questo aspetto della metodologia di insegnamento seguita da Basili ne mostra lo stretto legame con la tradizione rinascimentale della pedagogia musicale. Nei secoli XVI e XVII il canone era

187 I-Rama, A. Ms. 3399. 188 Ibid., c. 2v.

189 Cfr. lettera di A. Basili a G. Foschi del 4 gennaio 1773, I-Bc, I.017.158, SCH 0513.

190 Cfr. le già citate lettere di A. Basili a G. B. Martini inviate a metà del 1749, relative al caso Delfini, I-Bc,

I.017.110, SCHN 0472; I-Bc, I.017.191, SCHN 0473.

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utilizzato come esercizio in relazione a diversi aspetti della competenza musicale. Innanzitutto l’impiego di semplici canoni a due voci era considerato un strumento privilegiato per l’apprendimento dei rudimenti della pratica musicale, dalla solmisazione al canto polifonico.192 L’impiego del canone è spesso associato anche all’illustrazione della notazione mensurale. Nel terzo libro del Dodecachrdon Heinrich Loriti Glareanus utilizza semplici esempi canonici tratti dalle opere di vari autori per illustrare la teoria modale.193 Ma è nell’applicazione delle tecniche contrappuntistiche più avanzate che solitamente viene fatto ricorso al canone. Nei suoi Artifici musicali, Giovanni Battista Vitali,194 indirizzandosi al lettore, mostra in quale considerazione fosse tenuta l’imitazione canonica come elemento della formazione musicale alla fine del secolo XVII:

Non merita il nome di musico chi non sa maneggiare in qualsivoglia modo gli arcani più profondi dell’arte. Perciò desiderando io di particolarmente giocare, ho dato in luce questa mia operetta inserta con varii canoni, contrapunti dopii, e curiose inventioni, acciò serva di motivo a maestri, che si possano perfettionare i loro scolari, quando però n’habbino la vera notitia; se bene alcuni poco pratici hanno osato dire non essere necessaria la cognizione di questi canoni, havendone io più volte havuto discorso con molti della professione, che per verità non me ne hanno saputo dare un minimo barlume, e pure s’ingannano, perché ne ho osservato sparsi in varie composizioni d’huomini i più virtuosi, che mai intrecciarono note, che bramando rendere il loto nome immortale, si diedero a queste laboriose fatiche, stimando senza queste non poter conseguire il nome di perfetto compositore, per essere i canoni realmente il vero esame del contrappunto.195

Il pieno possesso dell’arte canonica secondo Vitali, che afferma di aver potuto ammirare in particolare a Roma la perizia dei compositori nella composizione di canoni, rappresenta il sigillo della raggiunta maestria nel contrappunto. Andrea Basili, che nell’Urbe aveva compiuto il proprio perfezionamento musicale, si era certamente esercitato a lungo in questa tecnica contrappuntistica, e continuerà a comporre canoni enigmatici per tutta la sua vita, come attestato dallo scambio epistolare con padre Martini.196 Tra le opere a stampa che il maestro lauretano cercò di ottenere tramite il corrispondente bolognese si trova anche una raccolta di canoni del compositore romano Pier Francesco Valentini.197 All’inizio del secolo XVIII a Roma inoltre il canone era utilizzato in alcune delle prove concorsuali per coloro che aspiravano a dirigere una cappella, come avvenne per esempio nel 1721 nella

192 Per una rassegna dell’impiego didattico del canone nel periodo compreso tra i secoli XVI e XVIII si veda

D. B. COLLINS, Canon in Music Theory from c. 1550 to c. 1800, PhD dissertation, Stanford University, 1992, in particolare il cap. VIII (Canon in Music Pedagogy), pp. 373-398. Una indagine sul significato dell’arte canonica in Italia durante il secolo XVII, cfr. L. WUIDAR, Canons énigmes et hiéroglyphes musicaux dans l’Italie du 17è siècle, Bruxelles, Peter Lang, 2008.

193 H. LORITI GLAREANUS,Dodecachordon, Basilea, Heinrich Petri, 1547, Liber III.

194 Giovanni Battista Vitali (Bologna, 18 febbraio 1632 - Modena, 12 ottobre 1692), compositore e

strumentista formatosi sotto la guida di Maurizio Cazzati.

195 G. B. VITALI, Artificii musicali ne’ quali si contengono canoni in diverse maniere, contrapunti dopii, inventionj curiose,

capritii, e sonate, Modena, Eredi Cassiani, 1689, p. 5.

196 Cfr. per esempio le lettere di A. Basili a G. B. Martini del 6 Novembre 1770 (I-Bc, I.017.145, SCHN 0506)

e del 24 gennaio 1774 (I-Bc, I.017.166, SCHN 0521).

197 Si tratta della raccolta postuma intitolata Canoni musicali (Roma, Belmonti, 1655). Cfr. lettera di A. Basili a

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chiesa di S. Maria dell’Anima in occasione della nomina del nuovo maestro.198 Tra i concorrenti era allora risultato vincitore Girolamo Chiti, che superò la prova grazie al severo magistero contrappuntistico appreso da Giuseppe Ottavio Pitoni, sotto la guida del quale si era lungamente esercitato nella scrittura canonica, come attestano due raccolte teorico-didattiche compilate a partire dal 1713.199 Ma anche la scuola bolognese assegnava al canone una notevole rilevanza in ambito didattico, come si evince da quanto padre Martini scrive commentando un canone su canto fermo di Zarlino, nell’opera che racchiude i fondamenti della sua metodologia di insegnamento della composizione:

Questi artifizii, questi laboriosi impegni sembreranno facilmente ai compositori de’ nostri giorni fatiche inutili, e più tosto conducenti a corrompere il buon gusto, che si vuole sia connaturale, e intrinseco alla nostra musica, Ma io penso, che preso con moderazione un tal esercizio da chi desidera di giungere alla perfezione di questa professione, possa recare gran lume, e vantaggio, affine d’impossessarsi delle regole più essenziali del contrappunto, e di vederne la loro ampia estensione esercitandosi ad esempio dei pittori, i quali con ogni applicazione dell’arte del disegno (che nella pittura equivale all’arte del contrappunto nella musica) vengono a rendersi abili, e capaci di dipingere lodevolmente, e con facilità, che nella musica corrisponde alle composizioni o per voci, o per strumenti; e siccome i pittori esprimono nel disegno gli atteggiamenti più singolari, e più difficili delle figure, e delle loro parti, per sempre più giungere alla perfezione della loro arte, così ancora hanno praticato i