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La moneta

Nel documento IlSettoreBancario PaoloBiffis (pagine 90-95)

La difficoltà di definire che cosa si intenda per moneta comporta l’indetermi-natezza del suo ammontare in ogni momento, oltre che la difficoltà di far emergere la dinamica della sua formazione. È allora necessario dare al termine un contenuto più preciso, ancorché convenzionale, e distinguerlo dalle specie monetarie di cui l’aggreato si compone.

L’utilità di circoscrivere il significato della locuzione è fondato sull’interesse a seguirne l’andamento, che diviene più stringente quando si cercano di capire le ragioni della politica monetaria, oggi fondata prevalentemente su regole piuttosto che prevalentemente sulla discrezionalità. Nel primo caso ci si riferisce ad un ambiente ove le autorità monetarie tendono ad attenersi a quanto annunciato in precedenza relativamente alle azioni da intraprendere per fronteggiare gli eventi economici; nel secondo caso, invece, le autorità reagiscono a seconda degli eventi, attuando la politica più appropriata.

Le regole di una politica monetaria fissano gli obiettivi da raggiungere e/o da mantenere. In proposito, alcuni economisti (i monetaristi) ritengono che la banca centrale dovrebbe mantenere costante la crescita della quantità di moneta offerta; altri ritengono che l’obiettivo da privilegiare dovrebbe essere la crescita del PIL (o del PNL) e che la banca centrale dovrebbe agire di conseguenza (quando la crescita del PIL eccede l’obiettivo, la banca centrale dovrebbe ridurre la crescita dell’offerta di moneta; in caso contrario, essa dovrebbe aumentare la crescita dell’offerta di moneta in modo da spingere la domanda aggregata); altri ancora ritengono che l’obiettivo da privilegiare dovrebbe essere il livello dei prezzi e che la banca centrale dovrebbe aggiustare l’offerta a seconda dello scostamento fra il livello dei prezzi effettivo e quello programmato.

La nascita della BCE e il conseguente accentramento delle decisioni di politica monetaria a livello sovranazionale fu accompagnata dal dibattito su quale fosse la strategia di politica monetaria migliore e, soprattutto, quale quella più consona alla realtà dell’Unione Monetaria Europea (UME, v. Glossario), date le diverse impostazioni di policy adottate in precedenza dalle Banche centrali nazionali e data l’opinione dell’Istituto Monetario Europeo (IME, v. Glossario) le cui conclu-sioni si attestavano intorno a due ipotesi ritenute le più realistiche per il Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC, v. Glossario): l’inflation targeting14 oppure

14Con la strategia inflation targeting la banca centrale impone un vincolo esterno al proprio operato attraverso l’annuncio di un obiettivo di inflazione. A questa strategia si accompagnano un assetto istituzionale di instrument independence e particolari procedure informative (infla-tion reports e simili) volte a garantire quella necessaria trasparenza richiesta alla banca centrale. Nel regime di inflation targeting la banca centrale non asseconda gli obiettivi di breve periodo dei governi ma si impegna a rispettare l’obiettivo fondamentale della stabilità dei prezzi acqui-standosi sul campo la reputazione necessaria a stabilizzare le aspettative degli operatori. Questi ultimi possono vigilare sulla coerenza tra gli obiettivi espressi (ma l’obiettivo di inflazione è, generalmente, assegnato dai governi, mentre la banca centrale conserva una assoluta indipen-denza nell’utilizzo degli strumenti di politica monetaria per realizzarlo) e le azioni intraprese.

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il monetary targeting15.

La BCE scelse una via intermedia, definita come stability oriented Eurosy-stem’s monetary policy strategy, illustrata pubblicamente dal Consiglio Direttivo della BCE nell’ottobre 199816: nella sua strategia di politica monetaria la banca avrebbe utilizzato due forme di analisi per la valutazione dei rischi della stabilità dei prezzi. Anzitutto, l’analisi monetaria, riconoscendo le origini essenzialmente monetarie dell’inflazione nel medio termine (primo pilastro); in secondo luogo, la valutazione di ampio respiro di un ampio ventaglio di indicatori (comprese le proiezioni e le previsioni macroeconomiche) che avrebbe costituito un ulteriore sostegno per le decisioni di politica monetaria (secondo pilastro).

Al fine di esplicitare ex ante la regola cui attenersi, la BCE considerava rag-giunto l’obiettivo della stabilità dei prezzi nel medio termine se, sui 12 mesi, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) per l’area dell’euro aumentava fino al massimo del 2%. La fissazione del limite superiore dell’aumento implicava che nemmeno la diminuzione del livello dei prezzi (deflazione) corrispondeva all’o-biettivo del mantenimento della stabilità. Siccome, tuttavia, stabilità dei prezzi e tasso di inflazione sono due facce della stessa medaglia, riconoscendo nell’inflazio-ne un fenomeno monell’inflazio-netario, la BCE riconosceva alla monell’inflazio-neta il ruolo «di un’ancora nominale naturale, solida e affidabile»[36]: per questo aveva annunciato un valore di riferimento quantitativo per la sua crescita valevole per il medio periodo e com-prendente una configurazione allargata di moneta (M 3) quale migliore indicatore della performance di una politica monetaria volta a mantenere la stabilità dei prezzi. La banca centrale annunciava così un valore di riferimento per la crescita diM 3 pari al 4,5%.

Negli anni a seguire, l’obiettivo quantitativo citato è stato messo in secondo piano (le rilevazioni del divario fra obiettivo quantitativo e consistenza di M 3 è risultato sistematicamente piuttosto sconfortante) e si è preferito avvalersi, dap-prima, di analisi maggiormente attente all’economia reale resesi nel frattempo disponibili.

Solo in seconda battuta si tiene conto ora delle variabili monetarie dato che la BCE dispone di molte informazioni acquisite attraverso l’esperienza diretta, le opinioni espresse da osservatori esterni17 e l’analisi degli andamenti economici. In definitiva, l’inflation targeting consente di condurre credibilmente una politica monetaria ‘discrezionale’, ottenendo i risultati ottimali quando gli operatori si convincono che l’autorità monetaria stia seguendo una regola fissa. Restano inevitabili le difficoltà di previsione dell’in-flazione in un orizzonte di periodo non breve che tenga conto dei ritardi con i quali la politica monetaria agisce sull’inflazione (da diciotto a ventiquattro mesi).

15La strategia monetary targeting prevede che la banca centrale assegni un ruolo primario alla crescita di un aggregato monetario che rappresenta un obiettivo intermedio: tale strategia indica chiaramente una responsabilità operativa della banca centrale.

16Comunicato stampa della BCE: A stability – oriented monetary policy strategy for the Escb del 13 ottobre 1998.

17Il ruolo della moneta e l’analisi monetaria, in particolare, hanno suscitato pareri discordanti fra gli operatori economici professionali. Alcuni hanno posto in discussione la robustezza delle proprietà della moneta quale di indicatore in grado di anticipare la dinamica dei prezzi, alla

Nella nuova strategia di politica monetaria i ‘due pilastri’ risultano essere confermati, ma il primo pilastro è costituito dall’‘analisi economica’ finalizzata a valutare le determinanti di breve–medio periodo degli andamenti dei prezzi18alle cui carenze si supplisce con l’‘analisi monetaria’ per definire il trend dell’inflazione nel medio e nel lungo periodo che sfrutta la relazione di lungo periodo tra la moneta e i prezzi19.

Ne segue che, a partire dal 2003, l’importanza del pilastro monetario è stata ridimensionata in quanto considerata come seconda in ordine di importanza e, come specificato dallo stesso Consiglio Direttivo della BCE, costituisce prevalen-temente un mezzo per riscontrare, in una prospettiva di medio–lungo periodo, le indicazioni fornite per il breve–medio termine fornite dall’analisi economica20. luce del fatto che la correlazione fra espansione della moneta e inflazione sembra essersi ridotta nel corso del tempo e al ripristinarsi di condizioni di stabilità dei prezzi. In questo contesto, gli stessi osservatori hanno altresì messo in dubbio che la condizione necessaria per l’annuncio di un valore di riferimento per la crescita della moneta, ossia la stabilità della domanda di moneta a lungo termine, continui a essere soddisfatta nell’area dell’euro. Alcuni hanno anche sollevato obiezioni circa l’utilità di distinguere un pilastro ‘monetario’. Generalmente essi sostengono che le previsioni sull’inflazione, che sono spesso formulate sulla base di modelli macroeconomici incentrati principalmente sull’economia reale, includono tutte le informazioni sull’evoluzione dei prezzi e sullo stato dell’economia necessarie alle autorità monetarie per valutare con piena cognizione di causa i rischi per la stabilità dei prezzi. Tali osservatori ritengono che le previsioni debbano tenere conto della moneta solo in quanto indicatore dell’inflazione futura. Altri ancora hanno auspicato un rafforzamento del ruolo della moneta e di un valore di riferimento predefinito per la sua crescita e rinviano ai numerosi studi che dimostrano la stretta relazione fra la moneta e i prezzi. Infine, alla struttura a due pilastri è stato talvolta contestato di poter generare confusione, poiché la presenza di fonti di informazione diverse potrebbe far pensare che queste prescrivano differenti soluzioni di politica monetaria, o comportino una rigida separazione dei dati, laddove i rischi per la stabilità complessiva dei prezzi devono essere valutati nella prospettiva di un giudizio globale, formulato sulla scorta di tutte le evidenze.

18Essa si basa principalmente sull’analisi dell’attività reale e delle condizioni finanziarie del-l’economia, si avvale di strumenti idonei a esaminare le deviazioni di più breve periodo dell’in-flazione dalla tendenza a lungo termine e tiene conto del fatto che, su tali orizzonti temporali, la dinamica dei prezzi è ampiamente influenzata dall’interazione fra la domanda e l’offerta nei mercati dei beni e dei fattori di produzione. Tuttavia, l’analisi economica non sempre riesce a rilevare il meccanismo secondo cui i fattori monetari agiscono su orizzonti temporali estesi e a determinare le tendenze di lungo periodo dell’inflazione.

19Una tesi importane a favore dell’adozione di questo approccio si richiama alla differenza degli orizzonti temporali per l’analisi della dinamica dei prezzi. Il processo inflazionistico, infatti, può essere visto come composto sostanzialmente in due elementi: uno associato all’interazione ad alta frequenza tra i fattori di domanda e di offerta; l’altro connesso alle tendenze più lunghe e persistenti. Quest’ultimo elemento è strettamente connesso, sul piano empirico, al trend di crescita della moneta nel medio periodo.

20Per conferire maggiore risalto nelle sue comunicazioni all’approccio basato sui due pilastri, il Consiglio direttivo ha anche annunciato la decisione di modificare la struttura della dichiarazio-ne introduttiva del Presidente (cioè della prima parte delle conferenze che seguono le principali riunioni del Consiglio direttivo). In seguito a tale modifica questa esordisce con un’analisi eco-nomica basata su un’ampia gamma di indicatori, il cui fine è individuare i rischi per la stabilità dei prezzi a breve e medio termine. La seconda parte verte sull’analisi monetaria, il cui scopo è valutare le tendenze dell’inflazione nel medio–lungo periodo, alla luce della stretta relazione esistente fra moneta e prezzi su orizzonti temporali estesi. Infine, viene fornita una verifica

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Solo nel caso in cui le due analisi producano risultati sensibilmente contrastanti, verrebbero analizzate più approfonditamente le implicazioni di una crescita della moneta.

La BCE ha così abbandonato l’idea di preoccuparsi della quantità di moneta (M 3) tout court, anche se si tratta di un aggregato di per sè molto importante da tenere in considerazione; l’obiettivo della stabilità dei prezzi viene ora com-misurato ad un insieme di ‘variabili economiche’ e di ‘variabili monetarie’ il cui controllo incrociato ex post sembra poter meglio dare conto del raggiungimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi21.

Come si accennava, l’aggregato M 3 è la risultante di diverse forze espresse da diversi soggetti: la banca centrale che regola la base monetaria, le banche che producono moneta bancaria, le Famiglie e le Imprese e gli stessi settori finanziari non bancari che esprimono la propensione per determinati mezzi di pagamento.

A partire dal 1ogennaio 1999, l’aggregato in questione si compone dei seguenti elementi:

—M 1: circolante, debiti a vista delle banche (cioè i conti correnti liberi); —M 2: M 1, depositi rimborsabili su preavviso fino a tre mesi e depositi con durata prestabilita fino a due anni;

— M 3: M 2, pronti contro termine, obbligazioni con scadenza originaria fino a due anni, quote di Fondi di mercato monetario e titoli di mercato monetario.

Come si può osservare, passando dalla configurazione di M 1 a quella di M 3, si ha un ampliamento dei soggetti che emettono le passività: non solo la banca centrale e le banche che producono moneta bancaria ma anche gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR, v. Glossario) qualora gestiscano Fondi di mercato monetario (v. Glossario), oltre che gli emittenti di strumenti di mercato monetario; all’ampliamento delle forme tecniche si è affiancato così l’ampliamento degli emittenti.

Dal punto di vista macroeconomico ha scarso rilievo la circostanza che la de-tenzione delle passività o delle quote di Fondi monetari possano anche comportare un costo di conversione in contanti; mentre, infatti, alcuni prodotti bancari di rac-colta si trasformano in contanti al loro valore nominale (i conti correnti), il che non comporta perdite nominali in conto capitale, altri si trasformano in contanti a determinati costi, purché si tratti di costi ‘contenuti’. Passando dalla configura-zione diM 1 a quella di M 3, si passa da una configurazione di attività monetarie in senso stretto ad una configurazione di attività ‘monetarie’ sui generis.

crociata delle informazioni derivanti da queste due prospettive complementari ed è presentata una conclusione complessiva sui rischi per la stabilità dei prezzi.

21Recentemente il dibattito si è arricchito di un nuovo importante contributo che cerca di ap-profondire i motivi del divario fra target previsto dalla BCE (4,5%) e andamento effettivo di M3 (circa 7–8%) e conclude individuando l’eccesso di massa monetaria in circolazione nell’attività speculativa svolta dagli intermediari finanziari non bancari che detengono ora quote elevate di depositi e che avrebbe contribuito alla liquidità in eccesso negli ultimi cinque anni per circa un quinto [185].

Dal punto di vista di un singolo operatore dunque, l’aggregatoM 1, a differenza degli altri, comprende, oltre al circolante, una specie monetaria che, in quanto mezzo di pagamento, ha una capacità di accettazione molto simile a quella delle specie monetarie aventi di diritto il potere liberatorio negli scambi; i depositi bancari non in conto corrente, infatti, sono specie monetarie che necessitano di essere trasformati in circolante. La facilità di tale trasformazione li rende quindi, dal punto di vista macroeconomico, assimilabili alla moneta anche se, dal punto di vista microeconomico, questa differenza può non essere irrilevante. Analogamente si può concludere per tutti i titoli di mercato monetario comprese le quote dei Fondi comuni monetari.

Gli operatori dunque esprimono propensione a detenere mezzi di pagamento fra le attività finanziarie: ad essi si è fatto riferimento più volte con la locuzione attività monetarie perché l’aggregatoM 3 è composto anche da strumenti finanzia-ri. Come si è già fatto notare la loro capacità di trasformarsi prontamente inM 1 sta a significare che vi è istantaneamente un mercato ove quelle specie monetarie possono venire trasformate inM 1; dal punto di vista del singolo operatore la loro capacità di trasformarsi anche economicamente in M 1 sta a significare che tale trasformazione può produrre ridotte perdite in conto capitale; cioè che il valore di realizzo dello strumento monetario considerato è quasi uguale al suo prezzo di acquisto.

Come si accennava, un conto corrente bancario acquistato (acceso), ad una determinata data, versando banconote può essere venduto (estinto), ad una data successiva, riscuotendo almeno la stessa quantità di biglietti e cioè il suo valore nominale. Il depositante, cioè, ha acquistato e venduto un’attività liquida (perdita nulla sul valore nominale).

Si possono fare in proposito due osservazioni:

1) il potere d’acquisto di M 1, fra i due momenti, è diminuito per effetto dell’inflazione: questo elemento introduce il problema di contabilizzare le quantità finanziarie a valori nominali o a valori reali. Ipotizziamo che il tasso di inflazione sia irrilevante, nel senso che per risolvere questa questione sarà necessario avvalersi di opportuni deflatori;

2) le quantità di M 1 negoziate nei due diversi momenti risulteranno verosi-milmente diverse a causa del determinarsi di costi (di acquisto, di vendita o di utilizzo) o di ricavi (per interessi maturati). Ipotizziamo che queste componenti di costo e/o di ricavo risultino irrilevanti.

Anche sotto questo punto di vista si può osservare come il mercato monetario abbia una funzione fondamentale nel rendere efficiente la circolazione delle passi-vità che vi si negoziano al fine di avvicinare ai mezzi di pagamento gli strumenti finanziari che fanno parte degli aggregati monetari. Sotto questo aspetto, si deve richiamare l’attenzione su di una circostanza più volte richiamata: la continuità fra mercato monetario e mercato finanziario. Si nota che un tempo il breve termi-ne era circoscritto entro il limite dei dodici mesi; successivamente il limite ventermi-ne spostato ai diciotto mesi ed ora esso si attesta sui 24 mesi. Naturalmente non è

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