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La titolarità pubblica nelle infrastrutture Ngn

Capitolo II – Gli interventi di politica industriale

2. Costruzione e gestione pubblica delle infrastrutture Ngn

2.1. La titolarità delle infrastrutture: verso un ritorno alla proprietà

2.1.2. La titolarità pubblica nelle infrastrutture Ngn

La disciplina delle reti in fibra ottica si pone in parziale controtendenza rispetto a quanto appena descritto: lo Stato – in particolare, gli enti locali – intervengono anche per costruire una parte delle infrastrutture necessarie a realizzare le reti, divenendone direttamente titolari.

In tale settore, tuttavia, lo Stato arriva raramente a posare i cavi, limitandosi solitamente all’installazione di infrastrutture di ingegneria civile che serviranno, successivamente, per posare i cavi. Quest'attività è, però, preziosa, nella misura in cui le opere civili rappresentano la maggior parte del costo delle nuove infrastrutture fisse, e la loro realizzazione ad opera dello Stato può facilitare fortemente il cablaggio in fibra ottica. Alla luce degli orientamenti della Commissione, proprio le canalizzazioni e gli spazi fisici destinati ad ospitare i cavi di ingegneria civile sarebbero la vera essential facility delle reti Ngn74.

Con riferimento alla disciplina della posa delle infrastrutture da parte dello Stato, l’art. 88, comma 6, del Codice delle comunicazioni elettroniche abilita i Comuni a mettere a disposizione, direttamente o tramite società controllate, infrastrutture a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie75. Tali beni vengono realizzati per

facilitare la realizzazione di un’infrastruttura d’interesse per la collettività di riferimento da parte degli operatori di mercato.

I Comuni sembrano particolarmente attivi in alcuni Paesi europei, come la Francia, dove gli enti locali intervengono diffusamente per la realizzazione delle infrastrutture76. Anche in Italia, si stanno diffondendo le iniziative pubbliche locali:

si pensi alle Province di Lucca77 e Trento78, nonché alla Regione Friuli Venezia

Giulia79.

74 M. Libertini, Le reti di nuova generazione: le posizioni della Commissione europea, in Giorn. Dir.

Amm. 11/2009, 1227, nota 17.

75 Gli stessi Comuni sono anche responsabili della localizzazione degli impianti, poiché la legge li

assimila alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3, del Codice delle comunicazioni elettroniche) (Cons. Stato, Sez. VI, decisione 17 febbraio 2010, n. 898).

76 In argomento, si v. Arcep, L’intervention des collectivités territoriales dans les communications

électroniques – Points de repère sur le déploiement du très haut débit (FTTH - fibre optique jusqu’à l’abonné), Maggio 2008, 28.

La normativa più recente, inoltre, incoraggia gli operatori ad utilizzare non solo i cavidotti, ma anche le altre infrastrutture di titolarità pubblica. Al fine di consentire lo sfruttamento dei cavidotti, infatti, l’art. 2, comma 2, d.l. 112/2008, abilita gli operatori ad avvalersi, senza oneri, delle infrastrutture civili di proprietà a qualsiasi titolo pubblica o in titolarità di concessionari pubblici80. Il comma 3, peraltro, fa

salvo il potere regolamentare dell’Agcom per quanto riguarda la coubicazione e la condivisione di infrastrutture sensi dell’art. 89, comma 1, del Codice delle comunicazioni elettroniche, nonché l’emanazione del regolamento in materia di installazione delle reti dorsali.

Una volta realizzate, le infrastrutture di ingegneria civile sono a disposizione dei titolari di autorizzazione generale, che possono avvalersene purché ciò non generi oneri per il soggetto proprietario e sostenendo le spese di ordinaria e straordinaria manutenzione81.

La costruzione di infrastrutture ad opera di Comuni ed enti locali è assoggettata anche ad un apposito corpo normativo. L’art. 2, comma 3, d.l. 112/2008, infatti, ha rimesso l'adozione di un regolamento per la costruzione di reti dorsali all’Agcom82,

distretti industriali – Lucca, C(2010)4473.

78 Commissione europea, decisione 16 novembre 2010, procedimento N 305/2010, Italia, Riduzione

del digital divide in trentino, C(2010)8153.

79 Commissione europea, decisione 23 maggio 2011, procedimento N 436/2010, Italia, Banda larga in

Friuli Venezia Giulia (programma ERMES), C(2011)3498.

80 Qualora dall’opera possa derivare un pregiudizio per le infrastrutture, però, le parti concordano un

indennizzo, senza, però, ritardare l’esecuzione dei lavori. In aggiunta, l’ordinamento prevede una sorta “clausola generale”, che impone di posare cavidotti ogni volta che questo sia possibile. Ai sensi dell’art. 40 della legge 1° agosto 2002, n. 166, infatti, qualora sia necessario effettuare lavori di costruzione e manutenzione straordinaria che comportano lavori di trincea o scavo – previsti dai programmi – relativi a strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti, porti, interporti, o altri beni immobili in proprietà pubblica, devono essere posati “cavedi multiservizi” o cavidotti di adeguata dimensione, in modo da consentire “il passaggio di cavi di telecomunicazioni e di altre infrastrutture digitali”. I cavedi multiservizi vengono assimilati alle opere di urbanizzazione primaria (art. 16, comma 7-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Disposizioni analoghe vengono imposte anche nella realizzazione di nuove costruzioni civili a sviluppo verticale. I lavori, infatti, devono contemplare l’installazione di cavedi multiservizi o cavidotti di adeguate dimensioni, al fine di facilitare il collegamento delle singole unità immobiliari.

81 I titolari delle infrastrutture sono, altresì, tenuti ad offrire l’accesso nei limiti della capacità di

contenimento, con modalità eque e non discriminatorie, a tutti i soggetti abilitati. Il titolare può richiedere solamente un corrispettivo commisurato alle spese aggiuntive sostenute dal soggetto proprietario per la realizzazione dei cavidotti, che deve, comunque, essere tale da non determinare oneri aggiuntivi a carico dei soggetti proprietari.

82 In tal senso, “nei casi di cui al comma 2” (vale a dire, utilizzo per la posa di infrastrutture di

proprietà pubblica o di titolarità di concessionari pubblici), è comunque fatto salvo il potere regolamentare attribuito all’Agcom dall’art. 89, comma 1, finalizzato ad incoraggiare la condivisione e la coubicazione di infrastrutture.

che ha approvato il c.d. “Regolamento Scavi e condivisione”83. Tale Regolamento

incide, in primis, sui lavori eseguiti da enti pubblici84.

In base al Regolamento Scavi e condivisione, gli enti pubblici, inclusi gli organismi di diritto pubblico e i concessionari pubblici titolari di reti idonee per consentire la realizzazione di reti dorsali, sono tenuti a pubblicare le procedure e le condizioni per la realizzazione di nuove infrastrutture sul suolo da essi gestito, e per l’accesso a quelle esistenti (art. 4). Il diritto d'accesso o di passaggio può essere limitato solamente: a) qualora la realizzazione di infrastrutture per reti di comunicazione elettronica non sia fisicamente realizzabile a causa di ostacoli tecnici non superabili; b) qualora la realizzazione di tali infrastrutture minacci la sicurezza delle persone o della proprietà, la tutela dell’ambiente, la salute pubblica, gli obiettivi di pianificazione urbana o rurale, o quando implichi un rischio di infrazione di norme regolamentari, tecniche o legali da parte degli enti pubblici o concessionari in materia di obblighi di pubblico servizio; c) nel caso di beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni o qualora l’attività di installazione possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio.

Al Regolamento sono state, inoltre, allegate delle Linee guida (in quanto tali, non vincolanti), inerenti alle modalità di posa e localizzazione delle infrastrutture e alle modalità di accesso e di utilizzazione di tali beni pubblici. Gli enti pubblici e i concessionari pubblici devono, così, offrire agli operatori l’accesso alle infrastrutture civili, “anche tramite la pubblicazione di uno specifico documento contenente le condizioni di uso della infrastruttura”, nei limiti della capacità di contenimento.

83 Agcom, delibera 22 novembre 2011, n. 622/11/CONS. Costituiscono principi guida del regolamento

sulle dorsali la semplificazione amministrativi, la non discriminazione, l’open access, la trasparenza e la neutralità tecnologica.

84 Il presidio normativo e l’esatta portata dell’intervento del regolatore sono, però, controversi. L’art.

89 del Codice delle comunicazioni elettroniche consente all’Agcom di adottare misure per la condivisione e l’art. 2, comma 3, d.l. 112/2008 ha ulteriormente rafforzato le competenze dell’Autorità, rimettendole espressamente l’adozione di un regolamentato in materia di reti dorsali. Sebbene le basi giuridiche non contenessero limitazioni espresse, l’Agcom ha ritenuto che il tenore complessivo del Codice delle comunicazioni elettroniche e il dettato della prima parte dell’art. 2, comma 3, d.l. 112/2008 facessero riferimento all’utilizzo di beni di proprietà pubblica. L’art. 2, comma 2, d.l. 112/2008, infatti, prevede che l’operatore che abbia presentato la Dia per l’installazione delle reti in fibra ottica possa utilizzare le infrastrutture civili già esistenti appartenenti ad enti pubblici o nella titolarità di enti pubblici. In aggiunta, l’art. 88, comma 12 dispone che gli esercenti di pubblici servizi e i titolari di pubbliche funzioni hanno l’obbligo di consentire l’accesso alle proprie infrastrutture civili disponibili, senza intermediazioni da parte dell’Agcom, a condizione che non venga turbato l’esercizio delle rispettive attività istituzionali. Anche in tale caso, viene fatto riferimento unicamente agli enti pubblici. Per tale motivo, il regolamento ha un ambito di applicazione molto circoscritto: disciplina solamente la realizzazione di reti dorsali per la banda larga ed incide unicamente sui beni di proprietà di enti pubblici, concessionari ed organismi di diritto pubblico e si rivolge prevalentemente a tali enti (Regolamento scavi e condivisione, punto 42). L’art. 2, comma 3, d.l. 112/2008, tuttavia, potrebbe, forse, consentire un’interpretazione maggiormente intraprendente, nella misura in cui nessuna parte della norma ne limita l’applicazione ai beni di titolarità pubblica.

Potrebbero ottenere l’accesso tutti gli operatori autorizzati alla fornitura a fornire reti di comunicazione, in base ad accordi commerciali (contratti, convenzioni), a condizioni eque, trasparenti, non discriminatorie, senza ritardi ingiustificati, e a condizione che non venga disturbato l’esercizio delle attività istituzionali (art. 1, commi 1 a 5, delle Linee guida)85. Anche i Comuni, nell’installare le infrastrutture,

sono tenuti a scegliere percorsi ottimali per la sistemazione degli impianti tecnologici nel sottosuolo, tenendo conto delle “strutture polifunzionali” già esistenti (art. 1, comma 7, delle Linee guida).

Anche la regolamentazione locale può incentivare la condivisione delle infrastrutture pubbliche. In tal senso, il Regolamento per la concessione del sottosuolo per la costruzione di reti di telecomunicazioni del Comune di Novate Milanese prevede espressamente la condivisione delle infrastrutture, stabilendo che “l’uso delle polifore, dei cavidotti o di qualunque altro idoneo manufatto di proprietà comunale è consentito a chiunque ne faccia richiesta” (art. 6, comma 1)86.

Gli esempi citati evidenziano un regime giuridico particolare per le infrastrutture e i beni di proprietà pubblica, per i quali la semplice appartenenza allo Stato determina consente di porli a disposizione dei soggetti privati87. Come sarà meglio evidenziato

in prosieguo, i beni di ingegneria civile realizzati da privati non vengono assoggettati al medesimo regime giuridico, essendone imposta la condivisione solamente in determinate circostanze88.

La stessa Agcom riconosce la diversità dei presidi normativi posti per i beni di titolarità pubblica rispetto a quelli che le consentono di incidere su beni privati. Sebbene le predette disposizioni non contengano limitazioni espresse, l’Agcom ha

85 L’uso di infrastrutture comunali non predisposte per il passaggio di reti di comunicazione

elettronica, invece, è soggetto alle disposizioni relative all’uso del suolo e del sottosuolo senza utilizzo di infrastrutture comunali (art. 1, comma 6 delle Linee guida).

86 B. Carotti, Il ruolo degli enti locali nella realizzazione delle NGN, in Programma Isbul, W.P. 3.1. –

Semplificazione amministrativa, Roma 2010, 67.

87 Anche l’art. 94 del Codice delle comunicazioni elettroniche stabilisce che gli impianti di

comunicazione elettronica ad uso pubblico o esercitati dallo Stato e le relative opere accessorie hanno carattere di pubblica utilità.

88 La condivisione può essere imposta agli operatori Smp e, in casi limitati, anche agli altri. Con

riferimento ad un operatore non Smp che si sia avvalso di diritti di limitazione della proprietà, di servitù o di espropriazioni, l’Agcom può incoraggiare la condivisione di infrastrutture (art. 89, comma 1, del Codice delle comunicazioni elettroniche) e – presto – potrà persino imporla (art. 12 della Direttiva Quadro come modificato dall’art. 1, comma 14, della Direttiva Legiferare meglio). In aggiunta, può essere imposta la condivisione anche qualora ragioni legate alla tutela dell’ambiente, la salute pubblica, la pubblica sicurezza o alla realizzazione di obiettivi di pianificazione urbana o rurale non consentano agli operatori di disporre di valide alternative. Infine, la normativa europea più recente dispone che le autorità nazionali possano imporre la condivisione anche “all’interno degli edifici o fino al primo punto di concentrazione o di distribuzione, qualora esso si trovi al di fuori dell’edificio, ai titolari dei diritti di cui al paragrafo 1 e/o al proprietario di tale cablaggio”, purché questo sia giustificato dalla diseconomicità o impraticabilità di un’eventuale duplicazione (art. 12, comma 3, della Direttiva Quadro come modificato dalla Direttiva Legiferare meglio).

ritenuto che il tenore complessivo del Codice delle comunicazioni elettroniche e il dettato della prima parte dell’art. 2, comma 3, d.l. 112/2008 facessero riferimento all’utilizzo di beni di proprietà pubblica.

L’art. 2, comma 2, d.l. 112/2008, infatti, prevede che chi abbia presentato la Dia per l’installazione delle reti in fibra ottica possa utilizzare le infrastrutture civili già esistenti appartenenti ad enti pubblici o nella titolarità di enti pubblici. Anche in tale caso, viene fatto riferimento unicamente agli enti pubblici89.

La nozione di bene pubblico riemerge, quindi, anche sotto il profilo soggettivo, come bene appartenente alla Pubblica Amministrazione90: i beni di proprietà dello Stato

vengono assoggettati ad un regime parzialmente diverso91. In questo, si conferma la

diversità di funzione della proprietà pubblica rispetto a quella privata: se la proprietà privata adempie alla sua destinazione tramite il servizio reso al proprietario, i beni pubblici, al contrario, adempirebbero la loro destinazione arrecando utilità alla collettività92.

Ecco allora che la titolarità dei beni pubblici sembra diventare nuovamente uno strumento di intervento nell’economia, anche in un contesto di mercato fortemente sviluppato. Successivamente alla posa, però, il Codice delle comunicazioni elettroniche preclude espressamente allo Stato la possibilità di fornire reti o servizi

89 Regolamento Scavi e condivisione, punto 42. Tale Regolamento, inoltre, disciplina solamente la

realizzazione di reti dorsali per la banda larga. L’art. 88, comma 12, del d.lgs. 259/2003, tuttavia, dispone che gli esercenti di pubblici servizi e i titolari di pubbliche funzioni hanno l’obbligo di consentire l’accesso alle proprie infrastrutture civili disponibili a condizione che non venga turbato l’esercizio delle rispettive attività istituzionali – stavolta, senza intermediazioni da parte dell’Agcom.

90 Si evidenzia che i principali testi normativi non adoperano l’espressione “bene pubblico”, ma fanno

piuttosto riferimento ai concetti di proprietà pubblica, demanio e patrimonio indisponibile. L’espressione “bene pubblico”, pertanto, può essere riferita tanto ai beni appartenenti ad un pubblico potere, quanto anche ai beni che, per alcune loro caratteristiche, devono essere distinti dai beni privati (M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, cit., 87, il quale definisce così i beni pubblici in senso soggettivo ed oggettivo). La stessa Costituzione fa riferimento al concetto di “proprietà pubblica”. L’art. 42, comma 1, della Carta Fondamentale, infatti, dispone che “[l]a proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”. Tale disposizione riflette una lunga evoluzione, che ha portato ad inquadrare i beni appartenenti allo Stato all’interno della proprietà pubblica (M. Arsì,

I beni pubblici, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano 2003, 1705).

91 Si noti che l’abrogato art. 23-bis, comma 5, d.l. 112/2008, sottolineava l'appartenenza alla Pubblica

Amministrazione delle reti di proprietà degli enti locali. La disposizione, disciplinando l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, disponeva, infatti, che “[f]erma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”. Le reti ancora in mano pubblica diventano, così, molto simili ad un bene demaniale, in quanto non potevano essere trasferite a privati. In secondo luogo, il Legislatore aveva scisso la proprietà della rete dalla loro gestione. Il regime giuridico delle reti ricordava, così, quello delle miniere (che, però, appartengono al patrimonio indisponibile): proprietà pubblica attribuita in sfruttamento a soggetti privati.

92 R. von Jhering, Geist des römischen Rechts, Lipsia 1906-1907, 320 ss., su cui V. Caputi Jambrenghi,

voce Beni pubblici, in Enc. Giur., Milano 1988, 4, secondo cui la nozione di proprietà privata per le cose d’uso pubblico sarebbe persino inutile. La ricostruzione in esame consentiva di scindere la proprietà formale dalla proprietà reale, rilevando l’inadeguatezza del concetto di proprietà privata applicato ai beni pubblici. Il demanio dovrebbe pertanto essere individuato secondo la categoria della sovranità (ibid).

di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, se non tramite società controllate o collegate (art. 6, comma 1, del Codice delle comunicazioni elettroniche)93.