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3.1 (Segue) L'originaria irrilevanza della retroattività favorevole nella giurisprudenza della Corte di Giustizia

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 139-142)

UE

Si è accennato come, nell'ambito della giurisprudenza della Corte di Giustizia, il principio di retroattività favorevole non abbia trovato la stessa facilità di riconoscimento che aveva avuto l'opposta regola dell'irretroattività sfavorevole già a partire dagli anni '80: l'atteggiamento dei giudici europei è stato, infatti, per lungo tempo, incline a lasciare la risoluzione di ogni problema applicativo all’ambito domestico53.

Rispetto a questo filone interpretativo, assumono particolare rilevanza due note decisioni adottate dalla Corte sulla nozione di “rifiuto” (casi Niselli e Tombesi), ove ‒ pur prospettandosi in punto di successione di leggi penali nel tempo, una questione interpretativa sostanzialmente analoga a quella poi sollevata con l'affaire Berlusconi ‒ si è pervenuti a una soluzione differente. Quanto alla prima (causa Tombesi)54, la questione pregiudiziale sollevata

innanzi alla Corte di Giustizia riguardava alcuni procedimenti penali per trasporto, scarico ed eliminazione di rifiuti, commessi in violazione del D.P.R. n. 215 del 1982, a sua volta attuativo della Direttiva del Consiglio, 15 luglio 1975, 75/442/CEE in tema di rifiuti55. Più specificamente, era sorto il

problema di stabilire se la nozione di rifiuto penalmente rilevante per le fattispecie in contestazione, modificata in senso più favorevole agli imputati successivamente alla commissione del fatto, fosse compatibile con quella più ampia stabilita dal diritto comunitario.

53 In questo senso, cfr., Corte Giust. 26 settembre 1996, causa C-341/94, Allain, in www.eur-

lex.europa.eu; nonché, Corte Giust., ord. 15 gennaio 2004, causa C-235/02, Saetti e Frediani, in

www.curia.europa.eu, a tenore della quale «non spetta alla Corte interpretare o applicare il diritto nazionale al fine di determinare le conseguenze dell'intervento posteriore di norme nazionali in forza delle quali tali fatti non costituiscono più reati».

54 Corte Giust., 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94, C-224/95, Tombesi e altri, in www.curia.europa.eu.

55 La direttiva – attualmente non più in vigore e sostituita prima con la Direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, e poi con la Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 ‒ è consultabile in www.eur- lex.europa.eu.

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Sostanzialmente analoghi i dubbi interpretativi sorti in relazione al secondo giudizio promosso sempre davanti alla Corte (causa Niselli)56, in cui

l'addebito contestato all'imputato riguardava il trasporto non autorizzato di rifiuti57. Come per l'ipotesi precedente, successivamente alla commissione

del fatto erano intervenute nuove disposizioni di legge che, offrendo un'interpretazione autentica della nozione di rifiuto58, escludevano da essa i

materiali riutilizzabili nello stesso ciclo di produzione o di consumo. Anche qui, dunque, si profilava una possibile incompatibilità con la disciplina più rigorosa dettata dal legislatore europeo.

Non è possibile in questa sede approfondire tutte le questioni – ulteriori al riconoscimento della retroattività favorevole ‒ sollevate dalle decisioni in esame; basti osservare come entrambe – nonché la successiva sentenza sul caso Berlusconi ‒ muovano da una situazione comune: i fatti di reato, nel momento della loro consumazione, sono puniti secondo il diritto penale nazionale; successivamente sopravviene una modifica legislativa che determina un effetto di sostanziale impunità (o comunque una pena più lieve) per gli imputati, che, tuttavia, risulta in contrasto con quanto disposto dalla normativa comunitaria (in particolare, una direttiva) 59.

Nella prospettiva dell'Avvocato generale della Corte di Giustizia, a fronte di tale contrasto, sarebbe spettato al giudice interno disapplicare la legge penale nazionale, in forza del generale principio del primato del diritto dell'Unione e dell'obbligo che grava sullo Stato di dare attuazione al diritto comunitario, e conseguentemente dare attuazione alla normativa antecedente compatibile con quest'ultimo.

Sennonché, la riespansione dell'area di rilevanza penale avrebbe evidentemente determinato una palese violazione non solo del principio di

56 Corte Giust., 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, in www.curia.europa.eu. 57 Si trattava, più specificamente, di rottami ferrosi destinati al riutilizzo.

58 Cfr., art. 14, D.L. n. 138 del 2002, rubricato “Interpretazione autentica della definizione di

"rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22)”.

59 In questo senso, A. PUGIOTTO, Vite parallele? “Rifiuti” e “falso in bilancio” davanti alle Corti

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retroattività favorevole ma, altresì, dello stesso principio di legalità che, in ambito europeo, esclude che le direttive possano determinare o aggravare le conseguenze in materia penale per l'individuo60.

Rispetto a tale prospettiva, l'Avvocato generale evidenziava come la regola della retroattività favorevole non avrebbe potuto trovare applicazione nei casi di specie, dal momento che la legge successiva più mite era comunitariamente illegittima; quanto, poi, alla violazione del principio di legalità, si sosteneva che, in seguito alla disapplicazione della legge penale difforme rispetto agli obblighi comunitari, la responsabilità penale degli imputati non sarebbe derivata dalla direttiva, bensì dalla legge penale interna, in vigore al momento del fatto e, poi, illegittimamente abrogata61.

Orbene, in entrambe le decisioni, la Corte ritiene di continuare ad assumere una posizione defilata rispetto ai problemi fin qui prospettati, in linea con la sua precedente giurisprudenza. Più specificamente ‒ pur riconoscendo il principio secondo cui una direttiva non può creare, di per sé, obblighi a carico di un singolo né può avere l'effetto, indipendentemente da una norma giuridica di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di

60 Così, Corte Giust. 14 settembre 2000, causa C-343/98, Collino e Chiapperò; Corte Giust., 26 settembre 1996, Arcaro; Corte Giust., 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen. Per una sintetica panoramica dello stato dell'arte, alla vigilia della sentenza Niselli, dei rapporti tra direttive e giudice penale interno, F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e

diritto penale, in Dir. pen. proc., 2005, p. 1435. L'Autore evidenzia, altresì, come la prospettazione

avanzata dall'Avvocato generale ponesse alcuni profili problematici anche da punto di vista del diritto comunitario: si faceva, infatti, discendere da una direttiva sprovvista di effetti diretti un obbligo a carico del giudice nazionale non solo di interpretare la legge interna in senso conforme al diritto europeo, ma addirittura di disapplicarla in presenza di un contrasto insanabile in via interpretativa.

61 Come ben evidenziato da F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti, cit., p. 1436, «Un tale ingegnoso schema avrebbe prefigurato, ove fosse stato accolto dalla Corte di giustizia, un nuovo meccanismo di interferenza tra direttive e legge penale, in forza del quale una direttiva avrebbe potuto conferire una particolare resistenza a tutte le leggi penali emanate in attuazione degli obblighi di tutela da essa imposti, nonché - addirittura - a tutte le leggi penali pur anteriori alla direttiva, ma in concreto adeguate rispetto ai suoi standard di tutela (come accadeva per il “vecchio” art. 2621 c.c.); con conseguente obbligo per il giudice interno di disapplicare l’eventuale legge successiva che, abrogando tale disciplina “comunitariamente necessaria” l’avessero sostituita con una disciplina inadeguata rispetto a tali standard. D'altra parte, secondo S. MANACORDA, “Oltre il falso

in bilancio”: i controversi effetti in malam partem del diritto comunitario sul diritto interno, in Dir. un. Eur., 2006, p. 268 ss., il ragionamento promosso dall'Avvocato generale ricalcherebbe

sostanzialmente quello adoperato dalla Corte Costituzionale con riferimento ai decreti-leggi non convertiti (v., retro, Cap. I, sez. I, § 3).

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determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni ‒ i giudici si limitano ad interpretare le norme rilevanti con riferimento ai rifiuti; e ciò in quanto – a loro parere ‒ non vi è motivo, nelle ipotesi di cui si tratta, per esaminare le conseguenze che potrebbero discendere dall'applicazione della direttiva rispetto al principio di legalità della pena, dal momento che i fatti oggetto di entrambi i procedimenti sarebbero stati punibili in base alla legge vigente all’epoca della loro commissione. Né, tanto meno, viene fatta menzione della possibilità che l'applicazione diretta della direttiva possa trovare un limite nel principio di retroattività della legge penale più favorevole.

3.2. (Segue) Il riconoscimento della retroattività

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 139-142)

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