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5.1 (Segue) La problematica individuazione dei limiti alla retroattività in mitius tra diritto convenzionale e diritto

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 162-172)

interno

Così delineato il nuovo volto della lex mitior, resta, tuttavia, da chiarire quale sia la portata da attribuire al vincolo europeo nell’impatto con l’ordinamento nazionale.

113 Tale ricostruzione sarebbe confermata da una serie di indicatori sia testuali che contestuali. Quanto ai primi, andrebbe evidenziato come il terzo comma dell’art. 49 vieti la sproporzione tra le «pene inflitte e il reato», senza alcun riferimento al momento della sua commissione: ne deriverebbe un rinvio non solo alle sproporzioni diacroniche ma anche a quelle sincroniche, in cui emerge un difetto di corrispondenza tra pena inflitta e successiva gravità del reato vigente. Per ciò che concerne, invece, il contesto non potrebbe tralasciarsi la circostanza che sussista una sorta di unanimità tra le Corti nel riconoscere un legame tra proporzione e retroattività e un non legame tra legalità e retroattività. Così, C. SOTIS, Le regole dell’incoerenza, cit., p. 112-113.

114 In questo senso, F. PALAZZO, Correnti superficiali e correnti profonde nel mare delle attualità

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La necessità di trovare un punto di equilibrio tra la dimensione sovranazionale del principio e quella interna muove, in realtà, da una questione ben più ampia e significativa, inerente alla misura in cui il nostro sistema legislativo e giudiziario debba ritenersi vincolato al diritto convenzionale.

Sotto questo profilo, si è già detto come – a partire dalle sentenze gemelle n. 348 e 349 del 2007 ̶ la Corte Costituzionale abbia riconosciuto alle norme contenute nella Convenzione – nella loro estensione comprensiva del dato testuale e dell’interpretazione fornitane dai giudici europei ̶ il ruolo di parametro sub-costituzionale interposto, in quanto implicitamente richiamate dall’art. 117, comma 1, Cost., che – come è noto ̶ impone allo Stato il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. In tale prospettiva, per decidere in ordine alla violazione della Convenzione, i giudici nazionali devono passare per la Consulta – la quale si è riservata un controllo di ultima istanza sulla compatibilità delle norme in essa contenute rispetto alla Costituzione italiana ̶ e sollevare una questione di legittimità115.

La scelta – tutt’altro che «altruistica»116 ̶ di un sindacato accentrato di

costituzionalità ha, peraltro, trovato ulteriore conferma nelle successive sentenze n. 311 e 317 del 2009117, con cui la Corte Costituzionale ha ribadito,

da un lato, l’obbligo, per i giudici ordinari, di procedere ad un’interpretazione conforme delle norme interne; dall’altro, il compito per gli stessi giudici delle leggi – una volta investiti della questione di legittimità

115 Su tali decisioni, v., retro, questo capitolo, § 1.

116 L’espressione è di O. DI GIOVINE, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale.

Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2013, 1, p. 159

ss., la quale sottolinea come, in occasione delle succitate sentenze gemelle, la Consulta abbia passato in rassegna le diverse ipotesi interpretative sul tappeto e abbia scartato quelle che avrebbe condotto ad affermare una rilevanza diretta delle norme convenzionali, in particolare per il tramite dell’art. 10 Cost. in qualità di norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.

117 Corte Cost., 13 novembre 2009, n. 311, in www.giurcost.org; Corte Cost., 30 novembre 2009, n. 317, in www.giurcost.org; entrambe annotate da A. RUGGERI, Conferme e novità di fine anno in

tema di rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima lettura di Corte Cost. nn. 311 e 317 del 2009)

in www.forumcostituzionale.it, e da O. POLLICINO, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost. e

bilanciamento “bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, ibidem.

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costituzionale ̶ «di verificare che il contrasto sussista e che sia effettivamente insanabile attraverso una interpretazione plausibile, anche sistematica, della norma interna rispetto alla norma convenzionale, nella lettura datane dalla Corte di Strasburgo. La Corte dovrà anche, ovviamente, verificare che il contrasto sia determinato da un tasso di tutela della norma nazionale inferiore a quello garantito dalla norma Cedu, dal momento che la diversa ipotesi è considerata espressamente compatibile dalla stessa Convenzione europea all’art. 53»118.

È evidente, dunque, come – nel contesto di relazioni tra le Corti ̶ la riconduzione, ad opera dei giudici di Strasburgo, del principio di retroattività favorevole all’area di tutela dell’art. 7 Cedu apra a importanti conseguenze sul piano del diritto costituzionale italiano, potendosi invocare – a supporto di eventuali decisioni della Consulta in materia ̶ non soltanto il parametro dell’uguaglianza ex art. 3 Cost., ma altresì la norma Cedu quale fonte interposta dell’art. 117, comma 1, Cost.

Come si è visto, la scelta di ricollegare il fondamento della lex mitior all’art. 3 Cost. ha consentito di ammettere deroghe, purché ragionevoli, in favore di altri interessi di pari rilievo; sennonché, si pone ora il problema di capire se il più ampio raggio di copertura riconosciuto alla stessa per il tramite dell’art. 117 Cost. e dell’art. 7 Cedu ne abbia rafforzato la resistenza al punto di renderla a tutti gli effetti un diritto inderogabile.

Tale rilievo muove evidentemente dalla circostanza che, una volta inclusa – seppure non condivisibilmente ̶ la retroattività favorevole tra i corollari del principio di legalità, la stessa finirebbe per acquisire “transitivamente” lo stesso statuto di validità dell’opposto principio intertemporale, che – si è già detto119 ̶ si iscrive tra gli inviolable core rights, per i quali l’art. 15, comma

118 Corte Cost., 13 novembre 2009, n. 311, cit. 119 V., retro, questo capitolo, § 1.

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2, Cedu non autorizza alcuna deroga neppure in tempo di guerra o di altro pericolo pubblico120.

D’altra parte, dalla lettura della sentenza pronunciata dai giudici di Strasburgo, emerge una versione sovranazionale della retroattività favorevole piuttosto ampia anche nel contenuto. Nel fissare il raggio di copertura del precetto, infatti, si parla di legge e non semplicemente di pena più mite, lasciandosi, dunque, intendere che a dover essere applicate retroattivamente sono tanto le modifiche che incidono sulla fattispecie incriminatrice e sulla pena, quanto quelle riguardanti gli istituti che – più in generale ̶ ineriscono alla «complessiva situazione punitiva» del reo121; ferma restando, peraltro, la

più ampia estensione del concetto di “materia penale” adottata dalla Corte europea122. A ciò si aggiunga, poi, che – come si è visto ̶ proprio nel caso

Scoppola c. Italia, la Corte europea ha finito per applicare retroattivamente

120 Sul punto, ex plurimis, V. MANES, I principi penalistici nel network multilivello: trapianto

palingenesi, crossfertilization, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, p. 839 ss.; M. SCOLETTA, La legalità

penale nel sistema europeo, cit., p. 274; M. GAMBARDELLA, Lex mitior e giustizia penale, cit., p. 80; F. MAZZACUVA, Art. 7, cit., p. 245 ss.

121 Così, V. VALENTINI, Diritto penale intertemporale, cit., p. 219-220.

122 Tale profilo è evidenziato da M. SCOLETTA, La legalità penale nel sistema europeo, cit., p. 274- 275, secondo cui, in questa prospettiva, sarebbe possibile riconoscere al principio di retroattività favorevole ulteriori estensioni applicative nel nostro ordinamento giuridico, ad esempio in relazione alle sanzioni amministrative disciplinate dalla L. n. 689 del 1981, evidentemente caratterizzate da un’essenza intrinsecamente punitiva al pari di quelle penali.

Non può sottacersi, tuttavia, come questo assunto sia stato di recente smentito dalla Corte Costituzionale, la quale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 l. n. 689/1981, nella parte in cui non prevede in materia di sanzioni amministrative l'applicabilità del principio della retroattività della norma più favorevole sopravvenuta. Più specificamente, a fondamento di tale decisione, i giudici delle leggi hanno affermato che «non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla Cedu, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l'affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative»; piuttosto, si riconosce la possibilità che singole disposizioni sanzionatorie amministrative più favorevoli all'agente vengano applicate retroattivamente qualora l'interprete, alla luce dei criteri “Engel” elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, riconosca la loro natura sostanzialmente penale. Così, Corte Cost., 6 luglio 2016, n. 193, in

www.penalecontemporaneo.it (24 luglio 2016), con nota di A. CHIBELLI, La problematica

applicabilità del principio di retroattività favorevole alle sanzioni amministrative (5 dicembre

2016), anche in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2016, 3, p. 247 ss., e di P. PROVENZANO, Sanzioni

amministrative e retroattività in mitius: un timido passo in avanti (9 gennaio 2017), anche in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2016, 3, p. 270 ss.

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una disciplina – qual è quella del rito abbreviato ̶ tradizionalmente considerata di natura processuale123.

In siffatto contesto, è evidente, dunque, che ̶ ove si voglia assecondare una costante elevazione dei livelli di garanzia secondo il criterio del

maximum standard, sancito dalla stessa Cedu all’art. 53 ̶ la tutela accordata

dalla Convenzione europea, attraverso la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, al principio della retroattività favorevole appare più ampia rispetto a quella predisposta nel diritto interno.

Sennonché, la stessa Corte Costituzionale sembra aver posto un freno agli entusiasmi garantistici di derivazione europea.

Chiamati nuovamente a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della disciplina dettata dalla legge ex-Cirielli in materia di prescrizione con riferimento ai processi già pendenti in grado di appello o Cassazione124 ̶ in

relazione, questa volta, non solo al parametro di cui all’art. 3 Cost., ma anche a quello di cui all’art. 117, comma 1, Cost. ̶ , i giudici delle leggi hanno significativamente ridimensionato l’impatto che la decisione di Strasburgo avrebbe potuto avere nel nostro ordinamento; e, in generale, hanno rimodulato il meccanismo di penetrazione delle garanzie convenzionali, attraverso la tecnica del distinguishing125.

Più specificamente, con la sentenza n. 236 del 2011, la Consulta ha dichiarato infondata la questione sollevata dai giudici di merito in relazione

123 Così, V. VALENTINI, Diritto penale intertemporale, cit., p. 220. Va detto, tuttavia, che in realtà l’estensione del principio di retroattività favorevole alla disposizione contenuta nell’art. 442, comma 2, c.p.p. da parte dei giudici europei è stata giustificata non tanto dall’estensione di tale principio alla materia processuale, quanto piuttosto dal riconoscimento della natura sostanziale della norma inerente agli effetti sanzionatori della scelta del rito abbreviato: v., retro, questo capitolo, § 4.1. 124 Come si è visto (v., retro, Cap. 1, sez. II, § 5.1., nota 253 ), già con la sentenza 28 marzo 2008, n. 72, la Corte Costituzionale aveva salvato dalla declaratoria di incostituzionalità la disciplina transitoria contenuta all’art. 10, comma 3, della L. n. 251 del 2005 (c.d. ex-Cirielli), nella parte in cui escludeva l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione più favorevoli ai processi pendenti in grado di appello e di cassazione al momento dell’entrata in vigore della legge, sulla scorta della diversa ragionevolezza del limite disposto per questi ultimi rispetto a quello fissato dall’apertura del dibattimento in primo grado rispetto al grado di appello e di cassazione.

125 In questo senso, F. VIGANÒ, Sullo statuto costituzionale della retroattività, cit., p. 21; analogamente, V. MANES, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti

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all’art. 10, comma 3, L. n. 251 del 2005126. È evidente che, ove si fosse

seguita l’impostazione adottata con le sentenze gemelle del 2007, in forza della quale i giudici delle leggi non possono fornire una propria interpretazione delle garanzie convenzionali, ma sono tenuti a recepire la lettura fornitane dal loro giudice naturale, e cioè la Corte di Strasburgo, non sarebbe stato possibile – nella prospettiva di un principio di retroattività assoluto e inderogabile ̶ riconoscere alcun interesse da controbilanciarvi127.

Tuttavia, nell’argomentare la propria decisione, la Corte muove dall’idea che – pur dovendo rispettare la sostanza delle affermazioni sostenute dai giudici europei ̶ permanga un margine di apprezzamento e di adeguamento al fine di tener conto delle caratteristiche dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata ad inserirsi.

In questo senso, se certamente va riconosciuta l’affermazione della retroattività favorevole quale diritto convenzionale sotto l’egida dell’art. 7 Cedu, non possono – a parere della Corte ̶ tralasciarsi le peculiarità della situazione concreta da cui la sentenza è originata.

La Consulta sottolinea, anzitutto, come dalla decisione sul caso Scoppola non sia in alcun modo deducibile il carattere assoluto e inderogabile della lex

126 Corte Cost., 22 luglio 2011, n. 236, in www.penalecontemporaneo.it (23 luglio 2011), con nota di F. VIGANÒ, Sullo statuto costituzionale della retroattività, cit.; in Giur. cost., 2011, p. 3021 ss., con nota di C. PINELLI, Retroattività della legge penale più favorevole, cit.; in Cass. pen., 2011, p. 4152 ss., con nota di A. MARI, Inapplicabilità dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, ai

processi pendenti in appello o in Cassazione; in Giust. pen., 2011, p. 244 ss., con nota di M.

OGGIANO, La consulta ribadisce la derogabilità del principio di retroattività della lex mitior. Nella più ampia prospettiva dei rapporti tra Corte edu e Corte costituzionale, cfr., altresì, A. RUGGERI, La Corte costituzionale “equilibrista”, tra continuità e innovazione, sul filo dei rapporti

con la Corte EDU. Intervento all'incontro di studio su "Rapporti tra Corte di giustizia, Corte europea dei diritti dell'uomo e Corte costituzionale. Qualcosa è cambiato?", Milano, 15 ottobre 2011, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2011, 4, p. 1757 ss. (consultabile anche in

www.giurcost.org).

127 Così, F. VIGANÒ, Sullo statuto costituzionale della retroattività, cit., p. 7 ss. Sotto questo profilo, l’Autore evidenzia come sarebbe naturalmente rimasta aperta per i giudici delle leggi la strada estrema di ritenere la lettura dell’art. 7 Cedu fornita dalla Corte di Strasburgo in contrasto con la Costituzione italiana, sollevando così i “controlimiti” che impediscono in tali casi la ricezione del principio nell’ordinamento interno. Tuttavia, ad una tale prospettiva si sarebbe inevitabilmente dovuta accompagnare la precisa indicazione di un interesse di rango costituzionale le cui ragioni potessero ritenersi ̶ in maniera assoluta ̶ prevalenti rispetto al diritto della persona all’applicazione retroattiva della legge più favorevole.

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mitior: la Corte di Strasburgo non si è soffermata su questo aspetto, e non

aveva ragione di doverlo fare stante le caratteristiche del caso oggetto della sua decisione. D’altra parte – si precisa ̶ , dal punto di vista testuale, l’espressione utilizzata dai giudici europei, secondo cui «infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della commissione del reato si tradurrebbe in una applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo»128, porta a

ritenere che «se la retroattività non può essere esclusa “solo” perché la pena più mite non era prevista al momento della commissione del reato, è legittimo concludere che la soluzione può essere diversa quando le ragioni per escluderla siano altre e consistenti».

Sotto questo profilo – evidenzia la Corte ̶ il principio di retroattività favorevole presuppone «un’omogeneità tra i contesti fattuali o normativi in cui operano le disposizioni che si succedono nel tempo»; omogeneità che non appartiene alla disciplina succedutasi in materia di prescrizione con riferimento ai giudizi in corso in grado di appello e Cassazione, per i quali può, dunque, ben giustificarsi una deroga, non potendosi in tale contesto ammettere la dispersione delle attività istruttorie e degli accertamenti di responsabilità già compiuti nei precedenti gradi di giudizio129.

A queste argomentazioni, la Consulta affianca, poi, quella – più “opportunistica”, considerata la sua giurisprudenza in materia130 ̶ secondo

128 Corte edu, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, cit., § 108.

129 In senso fortemente critico rispetto a tale operazione ermeneutica, C. PINELLI, Retroattività della

legge penale più favorevole, cit., p. 3052, il quale evidenzia come, «pur di negare il carattere

innovativo di Scoppola, e a dispetto del dichiarato overruling con essa compiuto, nonché, soprattutto, dei richiami alle esigenze di proporzionalità e di prevedibilità del trattamento giuridico in capo all’imputato che secondo la Corte europea assicurano (in termini discutibili quanto si vuole) l’aggancio della regola della retroattività della legge più favorevole al nullum crimen, nulla poena,

sine praevia lege poenali, la Corte ha dovuto estrapolare dalla motivazione della Grande Camera

l’unico passo dal quale poteva desumere, e solo grazie a una notevole abilità argomentativa, una propensione ad ammettere certe limitazioni alla regola in questione».

130 È noto, infatti, come la Consulta riconosca pacificamente la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione, con conseguente inammissibilità delle questioni di illegittimità costituzionale tendenti ad ampliare, in malam partem, i suoi termini: v., retro, Cap. I, sez. I, § 3, nota 39.

Sul punto, V. MANES, Il giudice del labirinto, cit., p. 162, secondo cui «una soluzione simmetrica ed opposto a quella seguita dalla Corte sembrava sollecitata non solo dal tradizionale orientamento

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cui il principio di retroattività delineato dai giudici di Strasburgo non si estende – come tutti i corollari sanciti dall’art. 7 Cedu ̶ alle norme processuali, tra le quali – per la Corte edu ̶ rientrano quelle relative alla prescrizione del reato131.

Attraverso, dunque, un’interpretazione restrittiva delle affermazioni avanzate dai giudici europei nel caso Scoppola c. Italia132 ̶ che ne ha, di fatto,

neutralizzato le possibili ricadute ̶ la Corte Costituzionale finisce per pervenire allo stesso risultato a cui era giunta tre anni prima – sulla base del solo parametro di cui all’art. 3 Cost. ̶ escludendo l’illegittimità della disciplina dettata in materia di prescrizione dalla Legge ex-Cirielli133.

della (dottrina e della) consolidata giurisprudenza costituzionale sul punto, ma anche e soprattutto dalla precipua considerazione della prospettiva che orienta il sistema convenzionale delle garanzie». 131 Cfr., Corte edu, 22 giugno 2000, Coëme e a. c. Belgio, con cui i giudici europei hanno ritenuto che non configuri alcuna violazione convenzionale l’allungamento dei termini di prescrizione di reati per i quali il processo è ancora in corso. In tale prospettiva, proprio nella sentenza Scoppola c. Italia, la Corte edu aveva evidenziato come le norme in materia di retroattività contenute nell’articolo 7 della Convenzione si applicano solo alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono, escludendo ̶ con un’esplicita menzione ̶ quelle processuali, oggetto – tra l’altro ̶ del caso succitato Coëme e a. c. Belgio.

Va, peraltro, evidenziato come, a ben vedere, dal punto di vista argomentativo la Consulta si sarebbe potuta limitare a questa inattaccabile motivazione. Invece, stante la mancata condivisione del punto di vista adottato dalla Corte di Strasburgo in ordine al riferimento alla retroattività favorevole come principio espressivo della legalità penale, i giudici italiani hanno preferito “riscrivere” la pronuncia della Corte europea, finendo così per svelare l’intenzione di dilatare i propri spazi all’interno della più ampia partita dei rapporti tra le Corti: così C. PINELLI, Retroattività delle legge più favorevole, cit., p. 3052 ss.

132 Peraltro, ribadite in una decisione successiva, ma antecedente quella in esame: Corte edu, 27 aprile 2010, Morabito c. Italia.

133 Un analogo freno alle prospettive di una piena penetrazione del diritto convenzionale nell’ambito dell’ordinamento italiano è stato, altresì, posto dalla Consulta con la sentenza: Corte Cost., 12 ottobre 2012, n. 230, in www.penalecontemporaneo.it (15 ottobre 2012), con nota di V. NAPOLEONI,

Mutamento di giurisprudenza in bonam partem e revoca del giudicato di condanna: altolà della Consulta a prospettive avanguardistiche di (supposto) adeguamento ai dicta della Corte di Strasburgo.

Con tale decisione, i giudici delle leggi hanno rigettato la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la disciplina di cui all’art. 673 c.p.p., nella parte in cui non prevede la revoca della sentenza di condanna in caso di mutamento giurisprudenziale in bonam partem intervenuto con decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sollevata in relazione ad una serie di parametri costituzionali tra cui – segnatamente ̶ l’art. 117, comma 1, Cost. in riferimento all’art. 7 Cedu. Più specificamente, la Consulta ha escluso che la Corte di Strasburgo abbia sinora mai riferito, in modo specifico, il principio di retroattività della lex mitior ai mutamenti di giurisprudenza, ribadendo – in un’ottica tutta interna ̶ che tale principio non ha a che fare con la conoscibilità del precetto, e quindi con la necessità di tutelare la libera autodeterminazione dell’individuo, ma soltanto con l’eguaglianza, la quale resta pur sempre sacrificabile rispetto all’intangibilità del giudicato. Su tale decisione, cfr., altresì, F. VIGANÒ, Retroattività della legge più favorevole, cit., p. 107 ss.; O. DI GIOVINE, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale, cit., p. 172 ss.; V. MANES,

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Si tratta di una soluzione per alcuni aspetti poco convincente. Non sembra, in primo luogo, particolarmente persuasivo l’argomento che fa leva sul dato letterale – ma comunque non univoco ̶ per determinare la cruciale conseguenza della derogabilità della retroattività in mitius134.

A ben vedere, non può negarsi come la pronuncia dei giudici europei non offra particolari indizi sul punto, al di là del “tono altisonante” derivante dall’ubicazione sistematica riconosciuta alla stessa riconosciuta135. Ciò non

significa che il principio sia da intendersi necessariamente come assoluto; anzi, è probabile che anche nell’ottica della Corte di Strasburgo – seppure

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