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La vicenda abrogativa

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 34-39)

3. La successione di leggi penali nell’art 2 c.p.

3.1.1. La vicenda abrogativa

Con l’espressione abolitio criminis, o abolizione del reato, viene generalmente indicato il fenomeno – disciplinato sotto il profilo del diritto sostanziale dall’art. 2, comma 2, c.p. ̶ che si realizza allorquando, in un momento successivo rispetto alla commissione del fatto, interviene una legge che sopprime integralmente la figura di reato, o che ne ridefinisce i contorni, così da restringerne l’area applicativa54.

L’abolitio criminis è, dunque, espressione di una scelta politico-criminale del legislatore, il quale ritiene – al contrario di quanto accade in caso di nuova

tesi intermedia che distingue la rilevanza delle modifiche “mediate” a seconda che venga meno o permanga l’interesse sotteso alla figura criminosa che l’ordinamento intende tutelare.

Per ciò che concerne la giurisprudenza – pur in assenza di un orientamento granitico ̶ l’opinione prevalente sembra essersi attestata sulla soluzione più restrittiva: cfr., Cass. pen., Sez. Un., 27 settembre 2007, n. 2451, Magera, in Dir. pen. proc., 2008, p. 314 ss., con nota di L. RISICATO, La

restaurata ostilità delle Sezioni Unite nei confronti delle modifiche mediate della fattispecie penale;

in Cass. pen., 2008, p. 909 ss., con nota di M. GAMBARDELLA, Nuovi cittadini dell’Unione Europea

e abolitio criminis parziale dei reati in materia di immigrazione.

Sul tema della successione delle modifiche “mediate”, ex plurimis, C.F. GROSSO, Successione di

norme integratrici di leggi penali e successione di leggi penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1960, p.

1209 ss.; G. RUGGERO, Gli elementi normativi della fattispecie penale. Lineamenti generali, Napoli, 1965; D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976; L. RISICATO, Gli

elementi normativi della fattispecie penale, Milano, 2004; D. MICHELETTI, Legge penale e

successione di norme integratrici, Torino, 2006; G.L. GATTA, Abolitio criminis e successione di

nome “integratici”: teoria e prassi, Milano, 2008; C. PECORELLA, L’efficacia nel tempo, cit., p. 73; M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit., p. 243 ss. Nella manualistica, E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, cit., p. 273 ss.; T. PADOVANI, Diritto penale, cit., p. 46 ss.; G. DE VERO, Corso di diritto penale, cit., p. 304 ss.; ID., La successione di leggi penali, in (a cura di) G. DE VERO, La legge penale, il reato, il reo, la persona offesa, in Trattato teorico-pratico di diritto

penale, diretto da F. PALAZZO – C.E. PALIERO, I, Torino, 2010, p. 55 ss.; G. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, 2° ed., Torino, 2011, p. 144 ss.; C. FIORE – S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, 5° ed., Milano, 2016, p. 111 ss.; D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., p. 575 ss.; A. PAGLIARO,

Principi di diritto penale. Parte generale, 8° ed., Milano, 2003, p. 130 ss.

54 Così, E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, cit., p. 268 – 269; C. PECORELLA, sub

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incriminazione ̶ «non più meritevole o bisognosa di repressione penale una classe di fatti in precedenza inclusi nel catalogo dei reati»55.

Si tratta, in altre parole, di una controvalutazione, a seguito della quale viene meno il giudizio di disvalore penale in precedenza espresso dall’ordinamento rispetto a un dato comportamento, determinandosi così l’avvicendamento di norme penali56.

Affinché abbia luogo tale fenomeno è indispensabile «non già l’esclusione della rilevanza penale del singolo caso concreto (intesa come mera assenza di sanzione) in base alla legge successiva, ma la nuova, diversa valutazione di liceità penale, quale eliminazione del precedente giudizio dell’ordinamento»57.

Corrispondente requisito negativo è dato dall’assenza di qualsiasi altra disposizione incriminatrice che manifesti una non mutata valutazione del legislatore in ordine alla necessità di punire una certa condotta58. Come

vedremo, sarà, pertanto, da escludere l’applicabilità del secondo comma dell’art. 2 c.p. nel caso in cui l’abrogazione della norma incriminatrice sia accompagnata dalla contestuale introduzione di una nuova figura di reato, nel cui ambito siano riconducibili i fatti contemplati dalla norma soppressa; nonché le ipotesi in cui l’eliminazione della disposizione incriminante comporti la riespansione dell’ambito di operatività di altre fattispecie vigenti nell’ordinamento.

In tale prospettiva, si discute circa la sussistenza di una vera e propria

abolitio criminis in caso di trasformazione di un fatto costituente reato in un

illecito amministrativo.

Secondo l’opinione prevalente, ai fini dell’abolizione del reato, è indifferente che si sancisca la completa liceizzazione del fatto ovvero il suo trasferimento nel catalogo degli illeciti amministrativi, risultando invece

55 E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, cit., p. 269. 56 Così. S. CAMAIONE, Successione di leggi, cit., p. 33

57 M. ROMANO, Commentario sistematico, cit., p. 56-57 c.p. 58 Così, P. SIRACUSANO, Successione di leggi, cit., p. 63.

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determinante la circostanza che la condotta perda il suo disvalore sotto il profilo strettamente penalistico59.

Quando un reato venga trasformato in illecito amministrativo – ferma la possibilità per il legislatore di prevedere una disciplina transitoria60 ̶ si

verifica un duplice fenomeno: abolitio criminis rispetto al reato e contestuale introduzione di una fattispecie amministrativa che, tuttavia, non potrà trovare applicazione rispetto ai fatti già commessi, stante il principio di irretroattività fissato dall’art. 1 della L. 24 novembre 1989, n. 68161.

59 In questo senso, ex plurimis, E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, cit., p. 269 – 270; I. CARACCIOLI, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2° ed., Padova, 2005, p. 83 ss.; T. PADOVANI, Diritto penale, cit., p. 46; ID., Tipicità e successione, cit., p. 1381; G. DE VERO, Corso

di diritto penale, cit., p. 304; ID., La successione di leggi penali, cit., p. 52-53; M. GAMBARDELLA, voce Legge penale nel tempo, in Enc. dir., VII, Milano, 2014, p. 658-659; ID., L’abrogazione della

norma, cit., p. 142; F. MANTOVANI, Diritto penale, p. 86; G.L. GATTA, Abolitio criminis, cit., p. 147; C. PECORELLA, L’efficacia nel tempo, cit., p. 57 ss.; ID., Art. 2, cit., p. 123-124; S. DEL CORSO,

Successione di leggi, cit., p. 107; C. PODO, Successione di leggi, cit., p. 615. Nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. pen., Sez. Un., 16 marzo 1994, n. 7394, Mazza, in Cass. pen., 1995, p. 1806 ss., con nota di A. ALBANO, Nuovo codice della strada, depenalizzazione e diritto transitorio; più recentemente, Cass. pen., Sez. Un., 29 marzo 2012, n. 25457, C., in www.penalecontemporaneo.it

(2 luglio 2012), con nota di G. ROMEO, Le Sezioni Unite sulla successione tra reato e illecito

amministrativo.

Contra, B. ROMANO, Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996, p. 123 ss.; S. CAMAIONI, Successione di leggi, cit., p. 40 – 41.

60 Sotto questo profilo, si consideri, esemplificativamente, l’art. 8 del recente D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, contenente una serie di ipotesi di depenalizzazione: con tale norma il legislatore ha stabilito ̶ in deroga all'art. 1 della L. n. 681 del 1989 ̶ che le sanzioni amministrative per i reati depenalizzati (con l'eccezione delle eventuali sanzioni amministrative accessorie) si applicano retroattivamente, con il limite del giudicato (purchè la sanzione non abbia un importo superiore al massimo della pena "originariamente inflitta" per il reato, ragguagliata ex art. 135 c.p.). Quanto ai fatti coperti dal giudicato, il secondo comma del citato articolo ̶ in linea con l'art. 2, co. 2 c.p. e con l'art. 673 c.p.p. ̶ ha previsto che il giudice dell'esecuzione revochi la sentenza di condanna e adotti i provvedimenti conseguenti (con l'osservanza del rito semplificato di cui all'art. 667, co. 4 c.p.p.). Sul punto, G.L. GATTA, Depenalizzazione e nuovi illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili: una

riforma storica, in www.penalecontemporaneo.it (25 gennaio 2016).

61 Va, tuttavia, evidenziato come lo stesso legislatore – ferma la regola fissata all’art. 1 ̶ abbia espressamente regolato alcuni problemi di diritto transitorio agli artt. 40 e 41, la cui disciplina è stata sostanzialmente riprodotta nei successivi artt. 100 e 101 del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507. Alla luce di tali disposizioni, le norme sull’illecito amministrativo trovano applicazione anche per le violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, quando il procedimento penale non sia stato definito, e previa trasmissione degli atti da parte del giudice all’autorità competente (art. 40); qualora, invece, sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, si può ugualmente procedere alla riscossione delle multe e delle ammende inflitte, e restano salve la confisca e le pene accessorie, nei casi in cui siano previste per l’illecito depenalizzato (art. 41).

Questa normativa è stata, peraltro, oggetto di alcune decisioni della giurisprudenza civile di legittimità, che – in contrapposizione all’orientamento tutt’oggi prevalente tra le sezioni penali ̶ ha sostenuto la necessità di applicare le regole di cui agli artt. 40 e 41 L. n. 689/1989, quali principi di carattere generale, a tutte le ipotesi di illecito depenalizzato, pur in assenza di una disciplina

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È parimenti controversa la configurabilità dell’abolitio criminis nei casi di introduzione di una nuova causa di esclusione di punibilità, ed in particolare di nuove cause di giustificazione.

Per tali ipotesi, trattandosi di norme esterne a quelle incriminatrici, una parte della dottrina esclude che possano determinare in alcun modo un fenomeno abolitivo – giacchè quest’ultimo è legato esclusivamente alla riduzione o all’eliminazione di una norma che disciplina la fattispecie di reato ̶ con conseguente applicazione della disciplina dettata all’attuale quarto comma dell’art. 2 c.p.. In particolare, nella più specifica prospettiva delle cause di giustificazione, si osserva come – trattandosi di norme a rigore non strettamente penalistiche ̶ la loro introduzione, o l’ampliamento del loro ambito di applicazione, pur determinando una complessiva riduzione dell’area di illiceità del fatto, non incida sulla norma incriminatrice considerata sul piano astratto, ma solo sulla sua applicabilità alla fattispecie concreta62.

Si tratta, tuttavia, di una impostazione poco convincente, che non tiene conto del fatto che il titolo di reato non è sufficiente a stabilire se il comportamento ivi descritto sia penalmente illecito, dovendosi

transitoria ad hoc, dovendosi ricondurre la vicenda di trasformazione dell’illecito da penale ad amministrativo ad un ipotesi di legge modificativa: a parere dei giudici, sarebbe contraria al principio di uguaglianza una disciplina che sancisca, da un lato, l’impunità per coloro che hanno commesso l’illecito prima della sua depenalizzazione, dall’altro, la responsabilità – seppure sotto il profilo amministrativo ̶ per chi ha commesso la medesima violazione in un momento successivo. Così, Cass. civ., sez. I, 18.1.2007, n. 1078, in C.E.D., n. 594379; Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2007 n. 21483, ivi, n. 599604.

Per una sintesi del contrasto giurisprudenziale, G. DE VERO, La successione di leggi, cit., p. 52 ss; M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit, p. 142 ss.; C. PECORELLA, Art. 2, cit., p. 123 ss.; ID., L’efficacia nel tempo, cit., p. 57 ss.

62 In questo senso, G. MARINUCCI, voce Cause di giustificazione, in Dig. pen., II, Torino, 1988, p. 138 ss. Più recentemente, M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit., p. 155 ss.; ID., La

legge penale, cit., p. 659 ss. In particolare, secondo quest’ultimo Autore, la circostanza che le norme

scriminanti non siano – a stretto rigore ̶ norme penali dovrebbe escludere del tutto la possibilità di applicare l’art. 2 c.p., che disciplina proprio il fenomeno della successione di leggi penali, e non di leggi in genere. Tuttavia, ove il fatto commesso non risulti più antigiuridico, stante l’introduzione o l’ampliamento di una causa di giustificazione, potrebbe comunque procedersi all’assoluzione attraverso il ricorso diretto al più generale principio della retroattività favorevole.

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necessariamente verificare anche l’assenza di cause di esclusione della punibilità63.

Sembra, pertanto, maggiormente condivisibile la tesi – attualmente prevalente ̶ di chi non esclude a priori l’incidenza di queste norme sulla successione di leggi penali, dovendosi, tuttavia, distinguere a seconda che si tratti di una causa di giustificazione o di esclusione della colpevolezza oppure di una causa di non punibilità in senso stretto64.

Invero, nel primo caso si ritiene certamente applicabile la disciplina di cui all’art. 2, comma 2, c.p., in considerazione del fatto che le causa di giustificazione o di esclusione della colpevolezza escludono la configurabilità del reato, esprimendo una valutazione di liceità o di non rimproverabilità rispetto al precedente quadro normativo, che, come si è detto, rappresenta il fondamento del fenomeno dell’abolitio criminis65.

Altrettanto non si può, invece, affermare a fronte dell’introduzione nell’ordinamento di una causa di non punibilità che, siccome trova la sua

ratio in ragioni di opportunità politica, opera su un piano esterno al reato e,

soprattutto, lascia integro il giudizio di disvalore astratto attribuito dal legislatore a quel dato comportamento, determinando quindi l’applicabilità del quarto comma dell’art. 2 c.p.66.

63 Così, per tutti, G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 196 ss.

64 In questo senso, M. ROMANO, Commentario sistematico, cit., p. 57; S. CAMAIONI, Successione di

leggi, cit., p. 56 ss.; V. VALENTINI, Cause di giustificazione e abolitio criminis, in Riv. it. dir. proc.

pen., 2009, III, p. 1326 ss.; M. MUSCO, La riformulazione dei reati, Milano, 2000, p. 137 ss.; C. PECORELLA, L’efficacia nel tempo, cit., p. 47 ss. Quest’ultima Autrice, peraltro, mette in dubbio anche la plausibilità di questa distinzione, alla luce delle profonde incertezze che caratterizzano l’inquadramento all’interno di più specifiche sottocategorie delle cause di esclusione della punibilità.

65 In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità con riferimento alla recente introduzione della causa di giustificazione della legittima difesa domiciliare (L. 13 febbraio 2006, n. 59): cfr., Cass. pen., sez. I, 8 marzo 2007, n. 16677, Grimoli, in CED – Cassazione, n. 236502. 66 Sotto questo profilo si consideri, esemplificativamente, l’introduzione dell’art. 131 bis c.p., in forza del quale è esclusa la punibilità in caso di “particolare tenuità del fatto”: per tali ipotesi, la rinuncia alla sanzione penale a fronte di offese esigue non può essere inquadrata nella previsione di cui al secondo comma dell’art. 2 c.p., dal momento che, sul piano astratto, il fatto commesso continua ad avere rilevanza penale, pur non essendo ritenuto – a fronte della sua esiguità ̶ meritevole di pena. In questo senso, per tutti, A. GULLO, sub Art. 131 bis, in Codice penale commentato, cit., p. 1959.

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