• Non ci sono risultati.

Il riconoscimento da parte del diritto convenzionale alla retroattività favorevole: il caso Scoppola c Italia

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 152-157)

3.2 (Segue) Il riconoscimento della retroattività favorevole come principio generale del diritto comunitario

4. Il principio di retroattività favorevole nella Convenzione europea per i diritti dell'uomo

4.1. Il riconoscimento da parte del diritto convenzionale alla retroattività favorevole: il caso Scoppola c Italia

Il salto di qualità nella direzione di dare riconoscimento al principio di retroattività delle lex mitior e di rinvenire la sua copertura normativa nel par. 7 della Convenzione, si ha con il caso Scoppola, che ha portato la Corte EDU a un autentico oververuling. Ripercorriamo per rapidi tratti la vicenda.

In data 2 settembre 1999, il sig. Scoppola, in seguito ad una lite, uccideva la moglie e feriva uno dei due figli. Veniva, pertanto, tratto in giudizio con l'accusa di omicidio aggravato e altri reati in concorso. All'epoca dei fatti, tali condotte, punite con la pena dell'ergastolo e dell'isolamento diurno, non potevano essere giudicate con il rito abbreviato92.

Sennonché, durante la fase delle indagini preliminari, entrava in vigore la L. n. 479 del 1999 che, modificando l'art. 442 c.p.p., reintroduceva la possibilità di applicare il rito abbreviato anche per i reati puniti con l'ergastolo, che – a seguito della scelta del rito ‒ sarebbe stata diminuita in trent'anni di reclusione.

In data 18 febbraio 2000, nel corso dell'udienza preliminare, il sig. Scoppola esprimeva, dunque, la volontà di avvalersi del rito abbreviato e, pertanto, il 24 novembre 2000, il Gup lo condannava a trent'anni di reclusione.

Tuttavia, nello stesso giorno in cui veniva pronunciata la sentenza, entrava in vigore il D.L. n. 341 del 2000, che, all'art. 7, conteneva una disposizione – definita di interpretazione autentica ‒ con cui si precisava che, nell'ipotesi di concorso di reati per le quali la pena prevista dal legislatore era dell'ergastolo con isolamento diurno, questa doveva essere sostituita non con

92 Cfr. Corte Cost., 23 aprile 1991, n. 176, in www.giurcost.org, con cui era stata dichiarata fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 442, comma 2, c.p.p., sotto il profilo dell'eccesso di delega, nella parte in cui rendeva possibile estendere la riduzione di un terzo della pena anche ai delitti puniti con l'ergastolo.

151

la reclusione a trent'anni ma con l'ergastolo semplice93. Inoltre, nel caso in

cui la pena applicata o applicabile nel procedimento pendente fosse l'ergastolo con isolamento diurno, si contemplava la possibilità per l'imputato che avesse già fatto richiesta di giudizio abbreviato di revocare la domanda; e, analogamente si disponeva per l'ipotesi in cui la nuova e meno favorevole disciplina potesse essere applicata per effetto dell'impugnazione del pubblico ministero94.

Il pubblico ministero presentava, dunque, l'impugnazione della sentenza di primo grado, chiedendo l'applicazione al caso in esame della modifica legislativa. A seguito di ciò, in data 10 gennaio 2002, la Corte d'appello rideterminava la pena in quella dell'ergastolo, alla luce del fatto che si trattava natura procedurale, quindi soggetta alla regola del tempus regit actum, e che, comunque, il sig. Scoppola non si era avvalso della facoltà – riconosciuta

93 Più precisamente, la norma stabiliva che: «Nell'articolo 442, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale, l'espressione "pena dell'ergastolo" deve intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno. All'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell'ergastolo”».

94 Così stabiliva l'art. 8 del D.L. n. 341 del 2000: «Nei processi penali di primo grado in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nei casi in cui è applicabile la pena dell'ergastolo con isolamento diurno, se è stata formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ovvero la richiesta di cui al comma 2 dell'articolo 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, l'imputato può revocare la richiesta nel termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. In tali casi il procedimento riprende secondo il rito ordinario dallo stato in cui si trovava allorché' era stata fatta la richiesta. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti nel corso del giudizio abbreviato conservano validità. Nel caso in cui la richiesta sia stata presentata ai sensi del comma 2 dell'articolo 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, la revoca della stessa comporta la effettuazione delle attività istruttorie alle quali l'imputato aveva rinunziato. Quando per effetto della impugnazione del pubblico ministero possono essere applicate le disposizioni di cui all'articolo 7, comma 2, l'imputato può revocare la richiesta di cui al comma 1 nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della impugnazione del pubblico ministero o, se questa era stata proposta anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nel termine di trenta giorni da quest'ultima data. Il processo prosegue con il rito ordinario davanti al giudice competente a conoscere l'impugnazione della sentenza nel giudizio di primo grado. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti conservano validità e, nel caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato sia stata presentata all'udienza preliminare o prima dell'apertura del dibattimento, il giudice dell'appello assegna, se del caso, termine alle parti per la richiesta di ammissione delle prove rispetto alle quali non si era verificata decadenza. Si applica la disposizione di cui al quarto periodo del comma 1».

152

dalla legge ‒ di ritirare la richiesta di procedere con il giudizio abbreviato, convertendolo in rito ordinario95.

Divenuta definitiva la condanna96, l'imputato ricorreva alla Corte edu,

lamentando – tra l'altro ‒ la violazione dell’art. 7 Cedu in ragione dell'applicazione retroattiva della normativa meno favorevole sopravvenuta alla sua richiesta di giudizio abbreviato, si poneva in contrasto con l'art. 7 della Cedu97.

Da qui l’anticipato esito di accertamento della violazione e l’abbandono del tradizionale indirizzo in materia.

Presupposto necessario per tale overruling è stato, tuttavia, la qualificazione dell'art. 442, comma 2, c.p.p. come norma di natura sostanziale, stante la nozione autonoma di materia penale accolta dalla Corte. A parere dei giudici, infatti, sebbene la disposizione in esame trovi la sua

95 In realtà, come ben evidenzia C. PECORELLA, Il caso Scoppola davanti alla Corte di Strasburgo, cit., p. 399, nota 6, una corretta applicazione del principio del tempus regit actum non avrebbe comunque consentito di attribuire efficacia retroattiva ad una nuova norma processuale; in forza di tale principio, infatti, è possibile fare immediata applicazione delle nuove disposizioni di natura processuale solo se siano rispettati gli atti già compiuti sotto il vigore della precedente disciplina (sia nel caso che abbiano già esaurito i loro effetti, sia nel caso che siano ancora suscettibili di produrre effetti futuri). Pertanto, con specifico riferimento al caso Scoppola, «se il legislatore non avesse attribuito efficacia retroattiva alle modifiche in materia di giudizio abbreviato, i giudici non avrebbero potuto applicarle (...), perché la modifica degli effetti conseguenti alla richiesta del rito avrebbe comportato necessariamente una ‘rivalutazione’ di quell’atto, non consentita dal principio

tempus regit actum».

96 A ben vedere, prima di proporre ricorso alla Corte edu, il sig. Scoppola presentava ricorso straordinario per errore di fatto, ai sensi dell'art. 625 bis c.p.p., lamentando in quella sede – per la prima volta ‒ l'illegittimità dell'applicazione retroattiva della normativa meno favorevole introdotta dal legislatore; ricorso che, tuttavia, veniva rigettato dalla Corte di Cassazione.

97 Più specificamente, con riferimento alla violazione dell'art. 7 Cedu, il ricorrente evidenziava come l'art. 442 c.p.p., poiché indicativo della pena da infliggere in caso di rito abbreviato, doveva considerarsi una disposizione di natura sostanziale, pertanto non soggetta al tempus regit actum. Né l'applicazione retroattiva della norma poteva essere giustificata in base alla sua qualificazione legislativa quale “legge di interpretazione autentica”, in considerazione del fatto che il suo significato era già chiaro dalla lettura. Con riferimento a quest'ultimo profilo, va segnalato che anche una parte della dottrina processualpenalistica aveva messo in dubbio la funzione interpretativa dell'art. 7 D.L. n. 341 del 2000, dal momento che, nella prassi non era emerso alcun problema ermeneutico; piuttosto – si evidenziava ‒ la modifica legislativa rispondeva all'esigenza, in larga parte politica, di diversificare il trattamento sanzionatorio in relazione all'unicità o alla pluralità di imputazioni. Sul punto, G. CONTI, Decreto “anti-scarcerazioni”: celerità processuale e controlli

nell’esecuzione della pena, in Dir. pen. proc., 2001, p. 313; F. CAPRIOLI, Novità in tema di giudizio

abbreviato, in (a cura di) M. BARGIS , Il decreto “antiscarcerazioni”, Torino, 2001, p. 108 ss.; R. BRICHETTI - L. PISTORELLI, Il giudizio abbreviato. Profili teorico-pratici, Milano, 2005, p. 373 ss.

153

collocazione nel codice di procedura penale, la circostanza che il secondo comma sia interamente dedicato alla severità della pena da infliggere in esito al rito abbreviato, determina la sua riconducibilità al concetto di “materia penale” rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 7 Cedu98.

D'altra parte, i giudici chiariscono anche che l'art. 7 D.L. n. 341 del 2000 ‒ nonostante quanto stabilito dal legislatore ‒ non poteva essere considerato una norma di interpretazione autentica, dal momento che non era riscontrabile né sul piano letterale né su quello applicativo alcun dubbio o ambiguità. Si è trattato, più semplicemente, di una legge che ha introdotto una pena più severa rispetto a quella prevista dalla normativa precedente99.

Dall’angolo visuale di nostro interesse, la Corte evidenzia il rilevante tempo trascorso da quando si è espressa negando un collegamento tra la lex

mitior e l'art. 7; tempo durante il quale – rimarca sempre la Corte ̶ sono

intervenuti significativi sviluppi a livello internazionale. Più specificamente, i giudici richiamano le diverse fonti che ormai sanciscono il principio nell'ambito dei diritti fondamentali dell'individuo, focalizzandosi in particolare sulla sua nuova considerazione nell'ambito dell'Unione europea, alla luce sia della previsione contenuta all'art. 49, § 1, della Carta di Nizza, sia della decisione della Corte di Giustizia nel caso “Berlusconi e altri”.

98 Sul punto, criticamente, C. PECORELLA, Il caso Scoppola davanti alla Corte di Strasburgo, cit., p. 405 ss., secondo cui ‒ se è vero che la natura sostanziale della disposizione in esame appare incontrovertibile ove si guardi al suo contenuto avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio ‒ ai fini dell'ascrizione di una norma nella categoria di quelle sostanziali o processuali, non ha senso considerarla isolatamente; piuttosto, è necessario tenere conto del contesto in cui la stessa si colloca e, altresì, della natura di tutte le restanti disposizioni che concorrono a delineare l'istituto. Nel caso di specie, gli effetti sostanziali in termini di riduzione di pena sono, in realtà, strettamente correlati alla scelta del rito «in quanto costituiscono una sorta di ricompensa o contropartita per la rinuncia da parte dell'imputato alle garanzie proprie del dibattimento».

99 Occorre, peraltro, notare come, nel caso Scoppola, la legge penale più favorevole da applicare retroattivamente sia una c.d. “legge intermedia”. Sotto questo profilo, parte della dottrina italiana ha criticato la scelta della Corte di riferire il canone della lex mitior anche a quest’ultima, in quanto sono sostanzialmente diverse le ragioni che impongono di applicare una norma meno severa vigente al momento del giudizio, anziché quella che era in vigore al momento del fatto, rispetto a quelle che giustificano l’applicazione di leggi intermedie favorevoli al reo, non più in vigore al momento del giudizio: così C. PECORELLA, Il caso Scoppola davanti alla Corte di Strasburgo, cit., p. 406 ss.; nello stesso senso, M. GAMBARDELLA, Lex mitior e giustizia penale, Torino, 2013, p. 65 ss. Più in generale, sugli aspetti problematici sollevati dall’applicazione della lex intermedia, v., retro, Cap. I, sez. I, § 3.2.

154

Da questo quadro – evidenzia la Corte ‒ si può dedurre che, dalla prima decisione presa sul tema, «si è progressivamente formato un consenso a livello europeo e internazionale per considerare che l'applicazione della legge penale che prevede una pena meno severa, anche posteriormente alla perpetrazione del reato, è divenuta un principio fondamentale del diritto penale».

Quanto alla sua riconducibilità all'art. 7 Cedu, la Corte evidenzia come – pur non potendosi negare che tale norma non ne faccia espressa menzione ‒ questo non possa essere un argomento decisivo: in coerenza con quanto già affermato in precedenti decisioni, infatti, i giudici sostengono che la previsione secondo cui è vietato infliggere «una pena più severa di quella che era applicabile nel momento in cui è stato commesso il reato» non vale ad escludere che l'imputato posta beneficiare di una pena meno grave, prevista dalla legislazione successiva.

Ma soprattutto, sarebbe «coerente con il principio di preminenza del diritto – di cui l'art. 7 costituisce un elemento essenziale ‒ aspettarsi che il giudice applichi agli atti punibili la pena che il legislatore ritiene proporzionata». Continuare a infliggere una pena più severa solo perché prevista al momento della commissione del fatto, per un verso, equivarrebbe a ignorare che lo Stato – e la collettività che esso rappresenta ‒ la considera ormai eccessiva; per l'altro, significherebbe applicare a svantaggio del reo le norme che regolano la successione di leggi penali nel tempo.

Sotto questo profilo, l'obbligo di applicare, tra molte leggi penali, quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, si traduce in una chiarificazione delle norme in materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa anche un altro elemento fondamentale dell’articolo 7, ossia quello della prevedibilità delle sanzioni100.

100 Si tratta, a ben vedere, di uno degli aspetti più contestati della decisione dal momento che il profilo della prevedibilità è del tutto estraneo alla ratio e ai meccanismi di operatività della retroattività in mitius. Sul punto, v., infra, § successivo.

155

In definitiva – concludono i giudici ‒ «l’articolo 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa. Questo principio si traduce nella norma secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato».

5. La retroattività favorevole dopo il caso Scoppola c.

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 152-157)

Outline

Documenti correlati