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L’ AFFERMAZIONE DELLA CONCEZIONE OGGETTIVA NELL ’ AMBITO DI UN SISTEMA ECONOMICO MISTO

3. I L MODELLO ITALIANO

3.2 L’ AFFERMAZIONE DELLA CONCEZIONE OGGETTIVA NELL ’ AMBITO DI UN SISTEMA ECONOMICO MISTO

Con l’evolversi e la sempre maggiore articolazione dell’intervento pubblico in economia, ma anche alla luce di un nuovo testo costituzionale che riconosceva cittadinanza alla partecipazione dei privati nel perseguimento del pubblico interesse, la ricostruzione del De Valles sarebbe ben presto divenuta insostenibile. Troppo accentuata appariva infatti la svalutazione del servizio pubblico cosiddetto improprio, mentre eccessivo rilievo veniva attribuito in sede definitoria ad un elemento essenzialmente accidentale come l’erogazione soggettivamente pubblica delle prestazioni. Inoltre, sin troppo incompatibile con le sembianze concretamente assunte dai rapporti con l’utenza era la contrapposizione tra regolamentazione di tipo pubblicistico e di tipo privatistico che, nell’approccio del De Valles, correva parallelamente alla distinzione tra servizio pubblico proprio ed improprio. Ci si avvide dunque di quanto risultasse inutilmente complesso il tentativo di adattare lo strumentario amministrativistico-provvedimentale alla relazione tra lo Stato-fornitore del pubblico servizio ed il cittadino-utente29, nell’ambito dei servizi pubblici propri,

salvo poi qualificare come privatistici i rapporti tra il medesimo cittadino-utente e l’imprenditore privato-fornitore di servizi pubblici impropri.

Ciò posto, al fine di reperire fondamenta alternative ad una nozione cruciale ma dai contorni sin troppo sfumati, si proposero, a partire dal secondo Dopo-guerra, ipotesi ricostruttive diverse rispetto alla tradizionale concezione soggettiva. Tra queste può ricordarsi la soluzione prospettata da Nigro, il quale, nel sottolineare l’inadeguatezza delle precedenti teorizzazioni rispetto all’evoluzione della realtà imprenditoriale,

28 A. DE VALLES, cit., 409. G. F. CARTEI, cit., 21, opportunamente ricorda come anche la dottrina anteriore,

in particolare S. ROMANO, cit., 360, fosse giunta alle medesime conclusioni.

29 Ad esempio, sull’evoluzione della nozione di tariffa, si vedano le riflessioni di G. ROSSI, Diritto

richiamava la nozione di ordinamento sezionale, al fine di individuare una categoria cui ricondurre il fenomeno servizio pubblico30. L’esistenza di più soggetti dalla varia natura

giuridica che nel medesimo ambito vedono indirizzata le rispettive attività verso una destinazione unitaria aveva convinto l’Autore ad ipotizzare siffatta soluzione, sebbene in tal modo si continuasse a giudicare il pubblico servizio ricorrendo a categorie datate e non del tutto adeguate.

Un momento di svolta nell’elaborazione relativa al pubblico servizio è invece rappresentato dagli studi di Pototschnig, comparsi intorno alla metà degli anni Sessanta. Egli, per la prima volta, impostò la speculazione sul tema partendo dal dato offerto dal diritto positivo, con specifico riguardo per le norme che il Costituente aveva dedicato al problema del pubblico servizio, ossia gli artt. 41 e 43, Cost. Ciò ha determinato, in primo luogo, come è stato opportunamente segnalato, il definitivo superamento di ogni equivoco derivante dalla distinzione tra attività giuridica e sociale. Anche quest’ultima infatti, al pari della prima, merita di essere inscritta tra i compiti che doverosamente l’Amministrazione è tenuta ad espletare, in virtù di quanto disposto dalla grundnorme31:

appaiono in questo senso inconsistenti le più antiche ipotesi dottrinarie sulla cui base si era tentato di privare di ogni dignità giuridica l’attività volta a soddisfare i bisogni della collettività.

Ma, come noto, all’impostazione di Pototschnig va ascritto soprattutto il merito di aver efficacemente e definitivamente svelato le debolezze della concezione soggettiva del pubblico servizio, per lo meno nella versione invalsa nella sua epoca.

In particolare, si ricorda tradizionalmente come l’analisi dell’Autore si fondi su tre principi-chiave contenuti negli articoli 41 e 43, Cost.

Le norme citate, insieme all’art. 42, Cost. dedicato alla proprietà, delineano com’è noto, un sistema economico misto che legittima la presenza in economia tanto pubblica quanto privata32. Da un lato, infatti, l’art. 43 prevede che, date le condizioni

indicate dalla disposizione, determinate attività possano essere assoggettate al regime di monopolio, attribuibile anche allo Stato o agli enti pubblici; dall’altro, inoltre, il

30 M. NIGRO, L’edilizia popolare come servizio pubblico, cit., 186 ss.

31 U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, 1964, 49 ss. In relazione all’opera di Pototschnig, si rinvia

altresì a D. SORACE, I servizi pubblici, in Amministrare, 2001, 385 ss.

32 È noto, peraltro, che il testo costituzionale reca formulazioni talmente aperte e flessibili da legittimare

le più disparate interpretazioni che corrono da estremi collettivisti ad estremi neoliberisti. Data l’ampiezza del tema sia consentito rinviare, fra gli altri, a D. SORACE, Il governo dell’economia, in G. AMATO – A.

BARBERA (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1997, 111 ss., con l’ampia bibliografia ivi

soggetto pubblico al pari dei privati è legittimato, ai sensi dell’art. 41, comma 3, ad intraprendere attività economiche pur non riservate, fermo restando, peraltro, che l’art. 42, comma 1, oltre a definire espressamente la proprietà come “pubblica o privata”, stabilisce che “i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”.

Ebbene, norme siffatte, che sì ammettono la presenza dello Stato in economia ma tutelano in modo pieno anche l’iniziativa economica privata, non potevano che fornire dei solidi argomenti per superare la stessa concezione soggettiva del pubblico servizio.

In particolare, nell’opera del Pototschnig viene segnalato come con l’art. 43, Cost. si sia prevista la mera possibilità che la legge riservi o trasferisca “allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali”. Da tale disposizione l’Autore trae un primo, fondamentale, insegnamento, ossia che un servizio, pur a fronte della sua “essenzialità” non è detto che debba rientrare necessariamente nella sfera produttiva dello Stato per essere qualificato come pubblico. La caratterizzazione pubblicistica, anche nei casi in cui l’interesse della collettività sia maggiormente sensibile, non deriva pertanto dalla consistenza soggettivamente pubblica del gestore.

Ulteriore conferma alla tesi è ricavata ancora dall’art. 43, Cost., nella parte in cui stabilisce che lo svolgimento del servizio essenziale, quand’anche venga assegnato a soggetti privati, quali le comunità di lavoratori o di utenti, non perderebbe in ogni caso la propria consistenza pubblicistica. Alla luce del testo costituzionale, dunque, la prestazione di interesse generale ben può essere assicurata da soggetti privati, conservando nel contempo la propria qualificazione di servizio pubblico33.

Infine, dall’art. 41, comma 3, Cost. si acquisisce il dato per cui nulla osta a che la stessa attività economica privata possa essere funzionalizzata ed indirizzata, per legge, verso la cura di fini sociali. Questi ultimi, pertanto, come possono essere perseguiti mediante la riserva o il trasferimento di attività in capo allo Stato, secondo quanto disposto dall’art. 43, Cost., allo stesso modo appaiono realizzabili direzionando adeguatamente l’attività economica privata34.

Dall’interpretazione della Costituzione, Pototsching giunge dunque alla conclusione che il servizio rimane pubblico sia laddove venga esercitato in monopolio

33 U. POTOTSCHNIG, cit., 52 ss. 34 U. POTOTSCHNIG, cit., 155 ss.

dallo Stato, sia quando il compito di svolgere attività monopolizzate venga attribuito a soggetti privati, sia quando questi ultimi, secondo il modulo di cui all’art. 41, comma 3, si trovano a fornire prestazioni di interesse generale nell’ambito dei programmi e controlli previsti per legge. La consistenza pubblicistica del fornitore, in quanto elemento-chiave della definizione del pubblico servizio nell’ottica soggettivista, perde ogni valore discriminante. Ciò che rileva, nell’interpretazione oggettivistica e costituzionalmente orientata, diventa solo il tipo di attività svolta ed il fine sociale che mediante quell’attività viene perseguito, indipendentemente dalla natura del soggetto su cui incombe il compito gestorio.

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