4. L A NOZIONE DI SERVIZIO D ’ INTERESSE ECONOMICO GENERALE L’ INCONTRO SCONTRO TRA LE RAGIONI DEL MERCATO E I BISOGNI DELLA COLLETTIVITÀ
4.1 L E COORDINATE TEORICHE PER UNA SOTTILE DISTINZIONE : IL CONFINE TRA SERVIZI ECONOMICI E NON ECONOMICI L’ INDIVIDUAZIONE DEI “ SERVIZI SOCIAL
D’INTERESSE GENERALE” NEI PIÙ RECENTI ORIENTAMENTI DELLA COMMISSIONE
CE.
Peraltro, dal processo di progressiva apertura dei mercati vengono, com’è noto, estromessi i servizi cosiddetti non economici. Come detto pocanzi, è la stessa Commissione, nella sua prima Comunicazione, ad avvedersi della necessità di tenere distinta la species dei servizi d’interesse “economico” generale dal più ampio genus dei servizi d’interesse generale, sottolineando in tal modo come non tutte le prestazioni di cui storicamente gli Stati nazionali si sono fatti garanti dovessero essere coinvolte nelle dinamiche di liberalizzazione. Del resto, le stesse norme del Trattato suggeriscono siffatta interpretazione: in primo luogo, infatti, l’art. 45, TCE specifica che rimangono escluse dall’applicazione delle disposizioni relative alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi quelle attività che nello Stato membro “partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri”. Ciò significa che le attività che integrano “tipiche prerogative dei pubblici poteri”87, quali quelle attinenti, ad esempio,
all’ordine pubblico, alla sicurezza, alla protezione civile, devono necessariamente rimanere di pertinenza della sfera pubblica nazionale. In secondo luogo, e soprattutto, è noto come l’art. 86 si riferisca unicamente alle “imprese”, riferendosi nel primo paragrafo a quelle “pubbliche” ed a quelle titolari di “diritti speciali o esclusivi” e nel secondo a quelle incaricate di gestire i “servizi d’interesse economico generale”. È
86 La centralità del principio di proporzionalità nella disciplina comunitaria dei servizi d’interesse
economico generale è messa in luce, fra gli altri, da A. PIOGGIA, Appunti per uno studio sulla nozione di
pubblico servizio: i limiti e i requisiti dell’assunzione del servizio pubblico da parte dell’ente locale, in Quad. plur., 1998, 175 ss. Cfr., infra, Cap. III, Sez. I, parr. 3.4, 4, 5, 6.
evidente dunque che la sottoposizione alla regola concorrenziale predisposta dall’art. 86 non possa che valere solo per quei soggetti che svolgano attività d’impresa, indipendentemente dalla rispettiva natura giuridica.
Per quanto concerne la nozione di impresa, la Corte di Giustizia, secondo un approccio marcatamente sostanzialista, ha chiarito che nel contesto comunitario non può attribuirsi rilevanza alcuna alle qualificazioni che formalmente un certo soggetto possiede nell’ambito dell’ordinamento di provenienza. Ciò che semmai conta è lo svolgimento, da parte di quel soggetto, di un’attività di tipo economico. Pertanto, quand’anche tale tipologia di attività venisse svolta da un ente pubblico che in un altro settore eserciti poteri autoritativi, ciò non varrà ad escludere la natura sostanzialmente imprenditoriale di quel soggetto, per lo meno limitatamente a quella porzione di attività. Di conseguenza, ricevendo tale qualificazione imprenditoriale rilevante in ambito comunitario, quel soggetto dovrà sottostare alle regole poste dal Trattato, ivi comprese quelle relative alla concorrenza88. Ciò posto, onde comprendere se una certa attività
ricada nell’ambito applicativo dell’art. 86, diventa discriminante comprendere se essa meriti di essere qualificata come “economica” e, peraltro, tale requisito è evidentemente insito nella stessa nozione di servizio d’interesse “economico” generale.
Sul punto, invero, le Autorità comunitarie solo di rado hanno fornito indicazioni dirimenti; ma, d’altro canto, la stessa enucleazione di quelli che in sede nazionale vengono tradizionalmente denominati come “servizi sociali” non ha mai rappresentato un’operazione giuridica agevole, dipendendo spesso da mere logiche politiche89. Si
pensi alle problematiche che in tal senso possono porre servizi quali quello dell’istruzione ovvero quello della sanità. In entrambi i casi ci si confronta con prestazioni che costituiscono il “nocciolo duro” del welfare europeo ed in entrambi i casi si ha a che fare con attività che, di norma, vengono fornite dall’Amministrazione mediante strutture organizzative di stampo pubblicistico. D’altra parte, è noto come sia in un caso che nell’altro la fornitura della prestazione non possa essere definita a priori come non redditizia, tanto che diverse imprese private traggono profitto proprio
88 Sul punto, si veda la celebre sentenza 23 aprile 1991, C-41/90, Klaus Hofner e Friz Elser c. Macroton,
con la quale l’attività di collocamento dei lavoratori è stata definita “economica”, potendo essere svolta, in astratto, dalle stesse imprese private. Viene così disatteso l’argomento di una delle parti in causa secondo cui l’applicazione delle norme sulla concorrenza si sarebbe dovuta escludere in virtù della natura pubblica del soggetto che nel caso di specie svolgeva quell’attività. Sulla sentenza, v. infra, cap. III, Sez. I, par. 3.3.
89 Cfr., fra gli altri, V. CERULLI IRELLI, Impresa pubblica, fini sociali, servizi di interesse generale, in Riv.
dall’attività scolastica e da quella sanitaria. Dunque, anche impiegando l’indice dell’ “attività economica”, non sarebbe affatto pretestuoso ipotizzare che altresì tali servizi vengano attratti nell’orbita del diritto comunitario e dei limiti delineati dall’art. 86, TCE90. Tuttavia, le Istituzioni comunitarie, ed in particolare la Corte di Giustizia, hanno
da sempre seguito un diverso percorso che trova la sua giustificazione in quella ricerca di equilibrio tra le esigenze del mercato e i diritti della cittadinanza che, come più volte ricordato, ha contraddistinto l’azione della Comunità nell’ultimo quindicennio.
In particolare, il Giudice comunitario ha risolto i problemi di qualificazione, talvolta rifugiandosi sotto l’ “ombrello” dei pubblici poteri, riconducendo determinate attività dalla natura dubbia tra quelle che costituiscono per l’appunto espressione delle potestà pubblicistiche91; talaltra facendo applicazione del principio di solidarietà,
andando così ad escludere alcune attività di interesse generale dall’ambito applicativo del Trattato92. In linea generale, un criterio spesso impiegato per riconoscere l’attività
economica è quello di valutare se la stessa possa essere in linea di principio svolta da un’impresa privata con il fine di lucro, considerando quanto quest’ultimo sia in grado di prevalere sulla finalità sociale che, eventualmente, si celi dietro quell’insieme di prestazioni. Opportunamente è stata evidenziata la labilità di tale criterio che, nella sua applicazione, non conduce sempre a risultati preventivabili in astratto. Probabilmente la stessa incertezza incontrata in sede nazionale nel delineare le linee di confine si palesa altresì al livello comunitario, trattandosi, peraltro, di nozioni dall’elevata connotazione politica93.
90 Esprimono una posizione favorevole a tale attrazione, fra gli altri, G. CORSO, cit.; G. F. CARTEI, ult. op.
cit., 1223, il quale definisce i servizi non economici come una “categoria in lista d’attesa”; F. MERUSI, Le
leggi del mercato. Innovazione comunitaria e autarchia nazionale, Bologna, 2002, 80 ss.
91 Cfr. C. Giust. 19 gennaio 1994, C-364/92, cit., con cui è stata ricompresa tra le “tipiche prerogative dei
pubblici”, l’attività di controllo e polizia dello spazio aereo, in quanto compito essenziale per garantire la sicurezza della navigazione aerea che, peraltro, nell’ottica della Corte non presenterebbe quel carattere economico necessario per applicare le norme sulla concorrenza.
92 Cfr. C. Giust. 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre, con cui è stata
qualificata come non economica l’attività di previdenza sociale gestita da organismi privati, sulla base del principio di solidarietà e considerando che le prestazioni pensionistiche erogate sono stabilite per legge, indipendentemente dall’importo dei contributi: non ravvisandosi tale corrispettività si esclude dunque la stessa perseguibilità dello scopo di lucro. È stata invece qualificata come “economica” l’attività di assicurazione integrativa svolta da un ente, anche senza fine di lucro, ma in concorrenza con le società di assicurazione sulla vita, trattandosi di prestazioni che “dipendono soltanto dall’ammontare dei contributi versati nonché dai risultati finanziari degli investimenti effettuati dall’ente incaricato della gestione”: cfr. C. Giust. 16 novembre 1999, C-244/95, Fédération francaise des sociétés d’assurance. Si veda, altresì, sugli stessi temi, C. Giust. 12 settembre 2000, cause riunite C-180/98-C-184/98, Pavlov.
93 Sul tema, si vedano, fra gli altri, G. PERICU – M. CAFAGNO, Impresa pubblica, in M. P. CHITI – G. GRECO,
Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007, 1205 ss.; S. CASSESE, La nozione comunitaria di
Del resto, la stessa Commissione CE ha ormai preso atto della problematicità della nozione, non rinunciando comunque a segnalare come anche i servizi tradizionalmente definiti “sociali” possano comunque presentare, almeno in astratto, una certa rilevanza economica, giustificando di conseguenza una maggiore attenzione delle stesse Autorità sovranazionali, finalizzata a favorire una complessiva “modernizzazione” delle gestioni. Si esprime in questo senso, ad esempio, la recente Comunicazione della Commissione del 26 aprile 2006, relativa all’ “Attuazione del programma comunitario di Lisbona: i servizi sociali d’interesse generale in Europa”94.
In essa, pur non intendendosi enucleare una nuova categoria di diritto comunitario e pur non rinnegando la tradizionale distinzione basata sul rilievo economico delle prestazioni, si tenta comunque di conferire ordine ad una materia evidentemente frammentata, introducendo per la prima volta il riferimento ai “servizi sociali di interesse generale”, in quanto insieme di prestazioni oggetto di un inedito interesse da parte delle stesse Autorità comunitarie. Del resto, la Comunicazione non costituisce un’iniziativa isolata, rappresentando semmai il frutto di quel nuovo “approccio sistematico” che, in relazione ai servizi sociali, era stato preannunciato nel citato Libro Bianco del 2004. In questa ottica, viene proposta una distinzione delle prestazioni sociali in due “grandi categorie” (pt. 1.1): la prima a cui vengono ricondotti “i regimi obbligatori previsti dalla legge e i regimi complementari di protezione sociale (…) che coprono i rischi fondamentali dell’esistenza, quali connessi alla salute, alla vecchiaia, agli infortuni sul lavoro, alla disoccupazione, al pensionamento e alla disabilità”; la seconda in cui si fanno rientrare “gli altri servizi essenziali prestati direttamente al cittadino”, tra i quali sono ricomprese le prestazioni di “assistenza ai cittadini confrontati a difficoltà personali o a momenti di crisi”, quelle relative al reinserimento sociale ed alla riqualificazione professionale, quelle concernenti la tutela delle persone disabili ed, infine, quelle attinenti alla fornitura di alloggi popolari ai soggetti socialmente svantaggiati.
Una volta sistematizzati i servizi sociali secondo tale bipartizione, la Commissione sottolinea l’emersione in sede nazionale di talune tendenze volte ad una modernizzazione delle formule gestorie, indicando ad esempio le esternalizzazioni ed i
(economici) di pubblica utilità, cit.; E. FERRARI, I servizi sociali, cit.; G. E. BERLINGERIO, cit., 343 ss.; G.
MARCOU, Il servizio pubblico tra attività economiche e non economiche, in A. BRANCASI, Liberalizzazione
del trasporto terrestre e servizi pubblici economici, Bologna, 2003.
partenariati pubblico-privato come modalità organizzative che, in un’ottica maggiormente concorrenziale, meritano di essere incentivate anche dal livello comunitario di governo. L’Esecutivo CE, come detto, non abbandona la distinzione tra servizi economici e non economici, lasciando intendere che solo sulla base di tale requisito può delimitarsi l’ambito di applicazione delle regole comunitarie concernenti i pubblici servizi, sebbene si prenda atto di come il discrimine insito nella nozione di
attività economica “rappresenti una fonte di incertezza” per gli operatori (pt. 2.1).
D’altro canto, nella Comunicazione in esame parrebbe reperirsi l’intenzione di approfondire l’interesse per un settore che, pur non rientrando, di norma, nell’orbita applicativa del diritto comunitario, risulta comunque strettamente intrecciato con i fini perseguiti dalle Istituzioni sovranazionali e non può dunque continuare a rimanere ai margini del processo di integrazione politica, economica e sociale.
Di recente, peraltro, l’intera categoria dei servizi d’interesse generale, comprensiva anche delle prestazioni prive del carattere economico, è stata finalmente recepita nel diritto comunitario primario che, com’è noto, si occupava della sola specifica nozione di servizio di interesse economico generale.
Con l’Accordo di Lisbona siglato il 13 dicembre 2007, infatti, unitamente al Trattato che modifica il Trattato sull’Unione Europea ed il Trattato istitutivo della Comunità Europea95, sul quale ci si soffermerà nel prosieguo del lavoro, è stato
approvato uno specifico Protocollo avente ad oggetto, per l’appunto i servizi d’interesse generale, conferendo a questi ultimi un rilievo giuridico che in precedenza non rivestivano.
Con particolare riguardo per i servizi non economici, l’art. 2 del Protocollo prevede espressamente che “le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, commissionare e ad organizzare servizi d’interesse generale non economico”, ribadendo, dunque, la volontà delle Istituzioni comunitarie di non intaccare gli assetti che questa tipologia di prestazioni ha storicamente assunto all’interno degli Stati membri.
In concomitanza con questa significativa novità, la Commissione si è ancora occupata della materia, con la Comunicazione del 20 novembre 2007, concernente “I
95 Trattato che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea,
firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, in G.U.C.E., C 306 del 17 dicembre 2007. Cfr. infra, cap. II, par. 4.3.1.
servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo”96, accompagnata da tre innovativi Documenti di analisi contenenti le
risposte alle domande più frequenti che possono insorgere tra gli operatori (cosiddette
frequently asked questions, FAQ)97. In essa, vengono in parte riprese le considerazioni
espresse con la precedente Comunicazione del 2006, aggiornandole, evidentemente, al contesto giuridico come rinnovato dagli Accordi di Lisbona. Il Documento più recente appare senz’altro meglio definito dell’antecedente, sebbene entrambi risultino ispirati dal medesimo intento di favorire lo sviluppo delle logiche di mercato anche nell’ambito di quei servizi sociali che talora, nell’ottica comunitaria, non meritano più di essere ricondotti tra le prestazioni non economiche. Anche nella più recente Comunicazione, peraltro, viene espressamente fatta salva la distinzione fondata sull’economicità, non potendosi peraltro rigettare una bipartizione confermata anche nel citato Protocollo di Lisbona. D’altro canto, non mancano riferimenti alla necessità di guardare ai servizi sociali secondo un’impostazione più attenta all’evoluzione socio-economica in atto nei singoli Stati membri. Si pensi, in particolare, a quanto affermato al punto 2.1, laddove si sottolinea che “in pratica, fatta eccezione per le attività relative all’esercizio dei pubblici poteri, che ai sensi dell’art. 45 del Trattato CE sono escluse dall’applicazione delle regole del mercato interno, ne consegue che la stragrande maggioranza dei servizi può essere considerata attività economica ai sensi delle norme del trattato CE in materia di mercato interno (articoli 43 e 49)”. Nello stesso senso, al successivo punto 2.3, si segnala come, in ragione dei processi di modernizzazione che a livello nazionale coinvolgono gli stessi servizi sociali, essi finiscano spesso per “rientrare nel campo di applicazione del diritto comunitario, nella misura in cui sono considerati a carattere economico”.
I rapporti tra servizi d’interesse economico generale e servizi non economici si presentano dunque in assoluto divenire. A fronte infatti dei tentativi della Commissione
96 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e
sociale europeo e al Comitato delle Regioni, che accompagna la comunicazione “Un mercato unico per l’Europa del XXI secolo”, del 20 novembre 2007, COM (2007) 725 def.
97 Commissione CE, Frequently asked questions concerning the application of public procurement rules
to social services of general interest, del 20 novembre 2007, SEC (2007) 1514; Commissione CE, 20 novembre 2007, SEC (2007) 1515; Commissione CE, Frequently asked questions in relation with Commission decision of 28 november 2005 on the application of Article 86(2) of the EC Treaty to State aid in the form of public service compensation granted to certain undertakings entraste with the operation of services of general economic interest, and of Community Framework for State aid in the form of public service compensation, SEC (2007) 1516.
di superare anche sotto il profilo dogmatico una distinzione che conduce a rigide conseguenze giuridiche, pur non risultando altrettanto rigida nella realtà produttiva dei diversi Stati membri, si colloca la forte riaffermazione della dicotomia nell’ambito del Protocollo sui servizi d’interesse generale annesso al Trattato di Lisbona del dicembre 2007. È altresì vero, del resto, che il discrimine fondato sulla nozione di economicità appare talmente fluido da non ostacolare quel progressivo “travaso” dei servizi sociali tra le prestazioni di carattere economico nei termini in cui è stato prefigurato dalla Commissione CE nelle ultime Comunicazioni, nonostante le previsioni apparentemente “difensive” che sono state introdotte nel Protocollo.
4.2 IL TRATTATO DI AMSTERDAM E IL NUOVO ART. 16, TCE: UN NUOVO LIMITE NEL