( IN CONCRETO ) DEI CRITERI “ ALTMARK ”.
6. L A DIFFICOLTÀ DI DISTINGUERE IL PESO DELL ’ INEFFICIENZA GESTIONALE DAL COSTO DELL ’ UNIVERSALITÀ L A LINEA DI CONTINUITÀ TRA LA GIURISPRUDENZA “C ORBEAU ” E LE
PIÙ RECENTI ACQUISIZIONI IN MATERIA DI COMPENSAZIONI FINANZIARIE. IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ COME UNICA REGOLA DI RIFERIMENTO PER TUTTE LE TIPOLOGIE DI DEROGHEAIREGIMICONCORRENZIALI.
Indipendentemente dalle problematiche di settore, l’excursus normativo ed interpretativo che si è tracciato consente di trarre talune conclusioni.
Innanzitutto si può rilevare come, nonostante le diverse oscillazioni interpretative, a partire dalla sentenza Corbeau, le Istituzioni comunitarie non sembrerebbero aver più modificato il proprio approccio interpretativo in ordine all’art. 86, par. 2, TCE. A ben vedere, dunque, il principio di proporzionalità continua ancora oggi ad atteggiarsi come la regola fondamentale posta a presidio delle relazioni tra Stato e mercato, nei termini delineati dal Trattato. In questo senso, la determinazione dell’interesse generale, in quanto compito chiaramente affidato dalla Comunità alla sensibilità politica dei singoli Stati-membri, si pone come un prius irrinunciabile, al fine di verificare quanto il mercato, con le sue logiche, si riveli idoneo a realizzare i predefiniti obiettivi pubblicistici. È bene peraltro ribadire che, nei settori in cui sono intervenute le Direttive di liberalizzazione, la prerogativa relativa alla definizione dei servizi d’interesse economico generale parrebbe di fatto essere stata sottratta alla sfera di competenza delle Autorità nazionali, essendo stata trasferita al livello di governo comunitario.
Una volta delineate le effettive capacità produttive dello Stato e del mercato, rispetto al predefinito interesse generale che funge da parametro, spetterà sempre al decisore pubblico nazionale valutare, nell’ottica della proporzionalità, se ed in che misura occorra derogare al regime concorrenziale al fine di assicurare l’adempimento della missione. Alla Commissione CE ed ai giudici nazionali è rimesso il compito di controllare la legittimità delle scelte effettuate dagli Stati-membri, verificando altresì che le deroghe pubblicistiche vengano attuate nell’ambito di servizi previamente definiti come d’interesse economico generale e che i relativi incarichi siano stati affidati nel rispetto delle regole tracciate in sede comunitaria. In particolare, onde scongiurare i rischi di distorsione della concorrenza, è necessario che i sostegni di cui si beneficia in
nome dell’interesse generale non superino il costo netto del servizio effettivamente sopportato dagli operatori incaricati, tenendo comunque conto sia degli introiti ottenuti, sia del margine di utile che ragionevolmente le imprese interessate si aspettano di spuntare.
Come segnalato in precedenza, tali regole valgono per saggiare l’ammissibilità di ogni misura posta in essere dagli Stati-membri, e dunque, sia con riguardo ai diritti speciali e/o esclusivi eventualmente attribuiti, sia in relazione alle compensazioni erogate che meritino la qualificazione di aiuti di stato. Anzi, proprio le perplessità insorte con riguardo ai trasferimenti finanziari hanno consentito di confermare ed esplicitare i principi-guida pocanzi esposti.
In questo senso, dunque, è palese che l’ordinamento comunitario si approccia nello stesso modo tanto con i privilegi monopolistici che vengano attribuiti con finalità compensative sotto forma di diritti speciali o esclusivi, sia con le risorse finanziarie che, con le medesime finalità, vengano assegnate: in entrambi i casi lo statuto normativo di riferimento è rinvenibile nell’art. 86, par. 2, TCE ed in entrambi i casi la relazione di proporzionalità governa i rapporti tra la specialità pubblicistica ed il diritto comune della concorrenza307. L’unica distinzione di rilievo attiene, semmai, alle prerogative di
controllo che ai sensi degli artt. 87 ss., TCE spettano alla Commissione nei casi in cui la compensazione degli obblighi di pubblico servizio sia attuata mediante finanziamenti qualificabili come aiuti di stato, ferme restando le regole in precedenza esaminate in tema di cosiddetti aiuti de minimis.
Secondo la chiave di lettura che si offre, risulta pertanto evidente la linea di continuità che unisce la giurisprudenza Corbeau con le ultime decisioni assunte dall’Esecutivo comunitario e sintetizzate nel cosiddetto “Pacchetto Monti”.
Ebbene, in questo contesto sostanzialmente unitario nelle sue regole di fondo, appare difficilmente collocabile la giurisprudenza Altmark e l’impostazione interpretativa ad essa sottesa. Vero è che i famosi quattro criteri ben potrebbero liquidarsi come un tentativo mal riuscito volto a definire in negativo la nozione
307 Una lettura enfatica dell’art. 86, par. 2, TCE è offerta, fra gli altri, da D. TRIANTAFYLLOU, L’encadrement
communautaire du financement du service public, in Rev. trim. dr. eur., n. 35/1999, 41, laddove, in relazione al regime giuridico del pubblico servizio, si afferma: “Il s’agit, évidemment, d’un domaine de droit public, puisque les élément de définition de ce droit s’y retrouvent (action de l’Etat dans l’intéret général comportant des caractéristiques spécifiques exorbitantes). Il n’est ainsi pas exagéré de considérer que l’article 90, par. 2, constitue, dans une ère de privatisasion et de marché triomphants, un bastion important du droit public, certes, comunautairisé”.
comunitaria di aiuto di stato rilevante nei settori economici di interesse generale. In questo senso se ne potrebbe anche auspicare un superamento interpretativo, agevolato peraltro dalle soluzioni alternative prontamente fornite dalla Commissione con il “Pacchetto Monti”.
Ma un simile atteggiamento non appare affatto soddisfacente. Invero, come accennato in precedenza, le conclusioni elaborate dalla Corte di Giustizia nel 2003 sembrano rispondere ad un’impostazione di fondo di ampio respiro che sarebbe riduttivo spiegare alla luce della semplice contrapposizione definitoria tra mere compensazioni finanziarie ed aiuti di stato veri e propri.
Si intende sostenere che con la sentenza Altmark il Giudice comunitario abbia prospettato un’ipotesi interpretativa del tutto nuova ed alternativa rispetto alle precedenti, al fine di risolvere i dubbi di legittimità relativi ai finanziamenti erogati con scopi compensativi ed indicando contestualmente la strada da seguire per incentivare circuiti virtuosi nella gestione dei pubblici servizi su scala nazionale. Evidentemente, la possibilità di trasferire liberamente delle risorse economiche, senza incorrere nelle strettoie procedimentali predisposte dal Trattato, è stata configurata come un “premio” adeguato per quegli Stati-membri che fossero riusciti ad organizzare la fornitura dei servizi d’interesse economico generale in modo realmente efficiente, affidando l’incarico tramite procedure di gara, ovvero calcolando gli oneri da compensare secondo il parametro della cosiddetta “impresa-modello”. In questo senso, il quarto criterio
Altmark rappresenta qualcosa di più di un semplice requisito di legittimità, costituendo
semmai la bozza di un meccanismo che, ove si fosse rivelato praticabile, avrebbe nel lungo termine sostituito il congegno derogatorio fondato, ex art. 86, par. 2, sul rapporto di mera proporzionalità tra concorrenza e privilegi pubblicistici. Non può infatti negarsi che per gli Stati-membri - per lo meno da un punto di vista giuridico-organizzativo - sarebbe ben più conveniente erogare in piena autonomia i finanziamenti compensativi, nel rispetto della sentenza Altmark, piuttosto che attendere ogni volta il “via libera” della Commissione.
D’altro canto, per lo meno sino ad ora, il modello operativo proposto dalla Corte nel 2003 parrebbe non aver dato i frutti sperati. Come detto in precedenza, lo stesso Giudice comunitario, con la sentenza Chronopost, ha implicitamente riconosciuto i limiti di un’impostazione che miri a sancire la non giustificabilità, dal punto di vista
economico, di tutti i costi connessi agli obblighi di pubblico servizio che un’ “impresa- modello” riuscirebbe, in astratto, ad elidere. Si è dunque ammesso che l’organizzazione di taluni servizi d’interesse economico generale può costituire un’operazione che non ha eguali nel panorama dell’imprenditoria privata e che, dunque, non può con quest’ultima essere raffrontata, se non attraverso la creazione di modelli di calcolo artificiali. Ulteriori prove di quanto si sostiene paiono reperibili nelle molteplici controversie che non si sono potute risolvere mediante i criteri Altmark e nell’ambito delle quali i finanziamenti pubblici si sono potuti salvaguardare, da un punto di vista giuridico, solo mediante il ricorso al meccanismo derogatorio di cui all’art. 86, par. 2, definito, in questo senso, come una sorta di “rete di salvataggio”. Da ultimo, ulteriori echi della problematica si rinvengono, come accennato in precedenza, nella stessa Decisione ricompresa nel “Pacchetto Monti” ed in particolare nella parte in cui viene individuato il metodo di calcolo del “margine di utile ragionevole” che rappresenta una delle componenti del costo improprio che merita di essere compensato. A questo proposito, la Commissione individua dei meccanismi di calcolo alternativi da impiegare nei settori in cui, non esistendo “alcuna impresa comparabile a quella alla quale è stata affidata la gestione del servizio d’interesse economico generale”, il margine di utile non può essere calcolato tenendo conto del tasso di remunerazione medio rilevato nel settore. Anche questa clausola potrebbe invero interpretarsi come un implicito riconoscimento della irriducibile specificità economica del pubblico servizio, per lo meno con riguardo a quei settori in cui l’evoluzione tecnologica e gli elevati costi di accesso ancora non consentono ad una pluralità di imprese di competere sul mercato.
Peraltro, da un punto di vista più generale e sotto il profilo strettamente operativo, lo stesso Pacchetto Monti, nella sua interezza, ben può essere inteso come un approdo a cui le Istituzioni comunitarie necessariamente sono dovute giungere nel percorso interpretativo concernente l’art. 86, par. 2: con la sua adozione, infatti, gli aiuti di stato sono stati esplicitamente equiparati ad ogni altra deviazione dal regime concorrenziale che si giustifica in nome delle missioni d’interesse generale, ferme restando le peculiarità conseguenti all’applicazione degli artt. 87 ss. In effetti, sino alle misure normative del 2005, i problemi legati alle compensazioni finanziarie erano interpretati e discussi dalla stessa dottrina come qualcosa di avulso rispetto alle conclusioni cui si era giunti sulla base della giurisprudenza Corbeau, incentrando le
riflessioni sui problemi procedimentali relativi all’applicazione della disciplina degli aiuti di stato. D’altro canto, le nuove regole introdotte dalla Commissione dimostrano come, indipendentemente dai criteri Altmark, le questioni di ammissibilità relative alle sovvenzioni finanziarie vadano risolte con gli stessi parametri formatisi nell’applicazione dell’art. 86, par. 2 che in questo senso diventa uno statuto normativo unitario sotto il cui “ombrello” sono ricondotti tutti i privilegi pubblicistici garantiti dagli Stati-membri in nome dell’interesse generale.
In questo contesto interpretativo, che appare sostanzialmente unitario, la sentenza Altmark non può che essere interpretata come una sorta di “fuga in avanti” che traccia una strada rivelatasi, almeno sinora, inutilizzabile e, dunque, fallimentare. Vero è che le difficoltà applicative riscontrate ben potrebbero spiegarsi come una conseguenza ineludibile, in uno scenario comunitario in cui cronicamente gli Stati-membri faticano nell’organizzare pubblici servizi realmente efficienti ed in cui, dunque, appare velleitario pretendere che le Autorità nazionali limitino i finanziamenti compensativi nella misura strettamente necessaria indicata dalla Corte di Giustizia nel 2003. Sussistendo inoltre la clausola di salvezza di cui all’art. 86, par. 2, la riduzione dei costi connessi ai servizi d’interesse economico generale potrebbe peraltro essere considerata come uno sforzo inutile.
D’altro canto, dietro la de-quotazione dei criteri Altmark può anche intravedersi la significativa riaffermazione delle logiche della proporzionalità e di quell’impostazione secondo cui è da ritenersi economicamente inevitabile che le compensazioni del pubblico servizio vengano sempre commisurate sulla base del suo costo netto, calcolato ex post ed in concreto, anche e soprattutto in ragione dell’obiettiva difficoltà di distinguere il peso dell’inefficienza dai costi legati al principio dell’universalità.
In questa ottica, probabilmente, potrebbe altresì sostenersi che il parziale fallimento del metodo dell’ “impresa-modello” stia a testimoniare l’irriducibile specificità del pubblico servizio rispetto alla generalità degli altri beni e servizi scambiati sul mercato, specificità che rende inutile il tentativo di commisurarne i costi secondo i parametri propri dell’ordinaria attività d’impresa. Tuttavia una siffatta constatazione sembra esulare dall’analisi giuridica per ricadere nell’alveo dell’indagine economica.
In conclusione, ci si limita pertanto a sottolineare come la controversa applicazione delle norme del Trattato in materia di finanziamenti compensativi sottenda almeno due diversi modi d’intendere la nozione di servizio d’interesse economico generale: da un lato è isolabile una concezione più rigida, volta a considerare come costi economicamente giustificabili esclusivamente quelli che inevitabilmente graverebbero anche su un’ “impresa-modello”; dall’altro, l’evoluzione normativa ed interpretativa che si è ripercorsa dimostra come nell’ambito del Trattato sia riconosciuta una diversa e ben più “elastica” idea di servizio d’interesse economico generale fondata, in primis, sui principi ricavabili dall’art. 86, TCE.
Nella prassi, si è rilevato che quest’ultima accezione è quella che meglio si attaglia all’assetto organizzativo che i pubblici servizi hanno assunto negli anni a livello nazionale. Inoltre, si è appurato come le stesse Istituzioni comunitarie abbiano in più occasioni ammesso, implicitamente ed esplicitamente, che l’attuale livello di sviluppo dei mercati può rendere ardua una corretta definizione dei costi che compongono l’onere di pubblico servizio e che, dunque, pur nel rispetto delle restrizioni relative agli aiuti di stato, le missioni d’interesse generale meritano comunque di essere finanziate e realizzate, indipendentemente dalla circostanza che il loro peso economico sia o meno addebitabile ad una inefficiente gestione. In questo senso, le regole del “Pacchetto Monti”, adottate al fine di riordinare la materia, parrebbero rispondere propriamente a questa esigenza di salvaguardia dell’interesse generale.
Non è un caso che, in uno scenario siffatto, da ultimo, l’Accordo di Lisbona del dicembre 2007, abbia recepito i termini della problematica, ponendo l’accento, nell’ambito del nuovo art. 16, TCE, sulla inedita nozione di sostenibilità economico- finanziaria dei pubblici servizi, in quanto valore che merita comunque di essere salvaguardato, anche nel quadro dei processi di liberalizzazione308.
CAPITOLO IV: IL PRINCIPIO DI NEUTRALITÀ NELL’AMBITO DELL’ORDINAMENTO COMUNITARIO ED IN PARTICOLARE NELLA DISCIPLINA DEI SERVIZI D’INTERESSE ECONOMICO GENERALE, OVVERO IL RUOLO DELL’IMPRESA “IN PUBBLICO COMANDO” NELLA GESTIONE DEI SERVIZI A CARATTEREECONOMICO.
SEZIONE I – ILPRINCIPIODI NEUTRALITÀINGENERALE.