86, PAR 2, TCE.
3. I L RUOLO DELLA C ORTE DI G IUSTIZIA CE NELL ’ ELABORAZIONE DEL QUADRO GIURIDICO DI RIFERIMENTO IN TEMA DI DIRITTI SPECIALI ED ESCLUSIVI E , IN GENERALE , IN TEMA D
3.3. L A GIURISPRUDENZA DELLA C ORTE DI G IUSTIZIA D ALLA LEGITTIMITÀ
“PRESUNTA” ALL’ILLEGITTIMITÀ “PRESUNTA” DEIMONOPOLINAZIONALI.
Intorno alla metà degli anni Ottanta, in perfetta coincidenza con il percorso seguito dalla Commissione, appaiono le prime novità nell’interpretazione della Corte di
203 G. TESAURO, cit., 733; P. MANZINI, cit., 382 ss., sottolinea come: “alla luce di questo approccio
interpretativo il rispetto delle regole di concorrenza imposto agli Stati e alle imprese non comporta alcun limite al potere dei primi di intervenire nell’economia attraverso l’attribuzione alle seconde di diritti speciali o esclusivi”.
Giustizia. Non a caso, peraltro, le pronunce della svolta concernono il settore delle telecomunicazioni, ossia il primo ad essere stato aperto alla concorrenza con la citata Direttiva 88/301. Tra queste, può segnalarsi in particolare la sentenza British
Telecommunications204, in cui, per la prima volta, si afferma come l’applicazione
dell’art. 90, par. 2, Trattato “non è lasciata alla discrezione dello Stato-membro che ha incaricato un’impresa della gestione di un servizio di interesse economico generale, ma è affidato alla Commissione, sotto il controllo della Corte”, ai sensi del terzo paragrafo dell’art. 90. Peraltro, con la successiva pronuncia Ahmed Saheed205, la Corte avrebbe
attribuito ai giudici nazionali quello stesso compito di vigilanza sul rispetto dell’art. 90 che il Trattato per l’appunto assegna in via principale alla Commissione.
Successivamente, nel biennio ’91-’92 viene emessa una cospicua serie di pronunce in cui frontalmente viene trattato il problema della legittimità comunitaria dei diritti speciali ed esclusivi: in questo momento si fa dunque palese l’intenzione dell’ordinamento europeo di comprimere la discrezionalità di cui, fino ad allora, avevano goduto gli Stati-membri nella gestione dei monopoli.
Peraltro, come si vedrà, l’approccio della Corte non è sempre uguale a se stesso. In questo senso, possono rintracciarsi almeno due percorsi interpretativi seguiti per sindacare la legittimità dei privilegi nazionali: in taluni casi si è tentato di comprendere se ed in quale misura potesse ravvisarsi una giustificazione alla predisposizione dell’eventuale riserva, nell’ottica del principio di proporzionalità; in altri, si è invece valutato l’effetto che la deviazione dal diritto comune produce nel contesto di mercato e se l’eventuale distorsione è da ritenersi necessaria rispetto all’obiettivo perseguito. D’altra parte, in nessuna pronuncia viene formalmente messa in discussione la libertà degli Stati-membri – sancita dall’allora art. 90, par. 1 e riaffermata nella precedente sentenza Sacchi – di attribuire privilegi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale, sebbene tale principio si trovi di fatto ad essere notevolmente ridimensionato.
Ciò che la Corte in questa fase intende rimarcare è che il tasso di specialità del diritto dei pubblici servizi dovrà d’ora innanzi essere limitato entro la misura strettamente necessaria e sotto il rigoroso controllo delle Istituzioni europee. Peraltro, è bene segnalare, sin da ora, che l’impostazione giurisprudenziale emersa agli inizi degli
204 C. Giust. 20 marzo 1985, C-41/83, British Telecommunications.
anni ’90 avrebbe di lì a poco subito un’ulteriore correzione nel successivo biennio ’93-’94. Evidentemente nella fase in cui più forte risultava l’impulso impresso dalla Commissione ai processi di liberalizzazione, la stessa Corte di Giustizia ha raggiunto conclusioni sin troppo estreme. Del resto, come già segnalato in precedenza, l’ordinamento comunitario nel suo complesso, pur promuovendo una gestione concorrenziale dei pubblici servizi, ha sin dagli anni ’90 tentato di conciliare le ragioni del mercato con i bisogni dell’utenza europea e tale esigenza di equilibrio traspare nelle stesse oscillazioni della giurisprudenza sovra-nazionale.
La prima pronuncia di rilievo è la cosiddetta Terminali di telecomunicazioni206,
emanata nel marzo 1991 a seguito del ricorso con cui la Repubblica francese aveva impugnato la Direttiva 88/301 nella parte in cui aboliva i diritti esclusivi di importazione, commercializzazione e messa in opera degli apparecchi terminali di telecomunicazione, onde addivenire ad una liberalizzazione del settore. Per la prima volta, la Corte sindaca nel merito la legittimità comunitaria dei citati diritti esclusivi, segnalando come il loro mantenimento avrebbe portato ad una restrizione degli scambi comunitari: nel settore, infatti, operavano soggetti privati in grado di soddisfare la domanda della collettività di più e meglio di quanto avrebbe potuto fare il monopolista pubblico. Per la prima volta, inoltre, contraddicendo la giurisprudenza Sacchi, si stabilisce espressamente che, sebbene l’art. 90, par. 1, presupponga l’esistenza di imprese titolari di diritti speciali o esclusivi, “da ciò non consegue (…) che tutti i diritti speciali o esclusivi siano necessariamente compatibili con il Trattato. Ciò dipende dalle diverse norme cui l’art. 90, par. 1, fa rinvio”. Ciò posto, non veniva rintracciata alcuna giustificazione a sostegno della riserva pubblicistica e ciò consentiva alla Corte di avallare la riforma introdotta con la Direttiva dell’ ’88.
Ancor più significativa si presenta la sentenza Hofner207, emanata nell’aprile
1991 e considerata non a caso una pronuncia storica. Oggetto della controversia era il diritto esclusivo di cui godeva un’impresa pubblica tedesca nello svolgimento dell’attività di collocamento dei lavoratori. Con tale arresto, la Corte non si limita a fornire indicazioni utili per l’enucleazione della nozione di impresa rilevante in ambito comunitario, di cui si è trattato in precedenza. Per la prima volta, infatti, il Giudice
206 C. Giust. 19 marzo 1991, C-202/88, Terminali di telecomunicazioni. Cfr., sul punto, G. AMORELLI, I
terminali delle telecomunicazioni: la Corte di Giustizia dà il placet alle politiche di apertura dei servizi pubblici essenziali al principio della concorrenza, in Rass. giur. en. el., 1991.
europeo sceglie di applicare l’ex art. 90 in combinato disposto con l’allora art. 86, TCE (oggi, art. 82, TCE), ossia con la norma che vieta espressamente l’abuso di posizione dominante, in quanto fattispecie tipicamente lesiva del meccanismo concorrenziale. In particolare, nella sentenza si afferma espressamente che uno Stato membro viola i divieti contenuti nelle citate disposizioni “quando l’impresa considerata è indotta, con il semplice esercizio del diritto esclusivo conferitole, a sfruttare la sua posizione dominante in modo abusivo”. Nel caso di specie il diritto di svolgere in esclusiva l’attività di collocamento dei lavoratori veniva considerato illegittimo ed ingiustificato e veniva rilevato l’abuso di posizione dominante posto in essere dall’impresa privilegiata, essendo emersa l’incapacità di quest’ultima di soddisfare in pieno la domanda proveniente dal mercato: la soppressione del monopolio avrebbe dunque consentito alle imprese concorrenti di intervenire e di supplire alle inefficienze del monopolista. Il diritto esclusivo appariva dunque non solo ingiustificato, ma altresì dannoso208.
Orbene la formula citata, nella sua apparente semplicità, mirava ad aggirare un’obiezione che gli interpreti avrebbero potuto sollevare rispetto ad una siffatta applicazione del Trattato. Invero, l’art. 90 è norma specificamente rivolta agli Stati- membri, nel senso che la sua violazione non può essere addebitata ad un’impresa che, in via autonoma, senza esservi stata indotta dall’Amministrazione di riferimento, abbia tenuto una condotta anticoncorrenziale: in quest’ultima circostanza dovranno semmai applicarsi gli articoli del Trattato che, rivolgendosi direttamente alle imprese, ne sanzionano il contegno abusivo209. L’attuale art. 86, nell’ottica della pronuncia Hofner,
era pertanto da ritenersi applicabile soltanto qualora lo Stato avesse indotto ovvero obbligato una certa impresa a violare le norme che presidiano alla libera competizione
208 Sul punto, si veda, fra gli altri, A. ROMANO TASSONE, Monopoli pubblici e abuso di posizione rilevante,
in Riv. it. dir. pubbl. com., 1329 ss.
209 Cfr. C. Giust. 19 marzo 1991, C-202/88, cit., nella parte in cui si afferma che l’art. 90 “concerne le
misure adottate dagli Stati membri nei confronti delle imprese con le quali essi hanno stabilito particolari legami indicati dalle disposizioni di questo articolo”. Si vedano altresì le Linee direttrici sull’applicazione delle regole di concorrenza della CEE nel settore delle telecomunicazioni, in G.U.C.E., 6 settembre 1991, C 233, adottate dalla Commissione, nella parte in cui si sottolinea che se il comportamento dell’impresa “è imposto da un provvedimento imperativo dello Stato (di tipo normativo o amministrativo) che non lascia facoltà di scelta alle imprese interessate, si può applicare allo Stato in questione il combinato disposto dell’art. 90 e degli articoli 85 e 86”. Se invece “il comportamento deriva dalla libera scelta delle imprese interessate, ma lo Stato ha preso un provvedimento che incoraggia detto comportamento o ne accentua gli effetti, l’art. 85 e/o l’art. 86 si applicano al comportamento dell’impresa e l’art. 90 può applicarsi al comportamento dello Stato”.
tra gli operatori economici ed è per questa ragione che la Corte effettua la specificazione sopra richiamata210.
Con il principio espresso nella sentenza Hofner, dunque, la Corte di Giustizia modifica radicalmente l’atteggiamento fino a quel momento tenuto nei confronti dei diritti speciali ed esclusivi. Sulla base della precedente impostazione, questi ultimi potevano essere discrezionalmente attribuiti dagli Stati-membri in nome di un interesse generale individuato su base nazionale. A partire dalla pronuncia dell’aprile ’91, invece, il diritto speciale o esclusivo diventa un tipico strumento con cui – secondo la chiave di lettura offerta dalla Corte - le Autorità nazionali possono indurre se non costringere le imprese ad esse collegate ad abusare della propria posizione sul mercato e, pertanto, dalla precedente presunzione di legittimità in ordine ai privilegi si passa, secondo alcuni, ad una vera e propria presunzione di illegittimità211. Ciò che colpisce, in questo
senso, è che la mera attribuzione dei diritti speciali ed esclusivi venga interpretata ex se come una indebita compressione del regime concorrenziale, rimandando ad un accertamento da effettuarsi ex post la valutazione in ordine alla necessarietà della deroga rispetto alle missioni d’interesse generale perseguite, secondo l’ottica della proporzionalità.
Evidentemente, siffatta impostazione denuncia non poche debolezze. Innanzitutto, la Corte di Giustizia non chiarisce se l’abuso di posizione dominante debba ritenersi presunto nel momento in cui lo Stato attribuisca il privilegio, ovvero se debba prescindersi da ogni valutazione aprioristica, verificando caso per caso gli effetti prodotti dalla restrizione del mercato212. In questo senso non si comprende peraltro
quale peso debba annettersi al modo in cui l’impresa esercita in concreto il diritto speciale o esclusivo di cui beneficia. Sul punto, va ricordata l’opinione di quanti, all’indomani della sentenza Hofner, sostennero che la condotta di un’impresa monopolista sarebbe da ritenersi “inevitabilmente” anticoncorrenziale: “ciò accade perché i livelli di quantità e di prezzo presso cui essa massimizza il profitto sono
210 Cfr., sul punto, P. MANZINI, cit., 381.
211 Cfr., sul punto, M. WAELBROECK – A. FRIGNANI, cit., 295, laddove ricordano: “une measure est
“contraire” aux régles du traité non seulement lorsqu’elle entre directement en conflit avec ces règles, mais encore lorsqu’elle détermine chez l’enteprise destinataire un comportement contraire à celui qui résulterait de l’application de ces règles ou qu’elle la met en mesure d’obtenir un résultat qu’en son absence elle no porrai obtenir sans violer ces règles”.
212 A parere di V. SOTTILI, cit., 45, nel caso Hofner la Corte avrebbe affrontato il problema della legittimità
delle misure derogatorie avendo riguardo non “all’astratta ammissibilità di un regime esclusivo nell’esercizio dell’attività controversa, ma sulla base dell’esame della situazione concreta”.
rispettivamente inferiori e superiori ai livelli di quantità e prezzo propri di un’impresa concorrenziale. Da tale nozione si evince che il conferimento puro e semplice ad un’impresa di un diritto speciale ed esclusivo, di per sé stesso, induce quest’ultima a tenere un comportamento contrario alla concorrenza e dunque a violare le regole che questa tutelano”213. Ciò posto, a parere della citata dottrina, l’attribuzione del privilegio
non incorrerebbe nella sanzione di illegittimità solo qualora lo Stato la circondasse di una serie di cautele consistenti in “regole di condotta cui l’impresa in questione dovrà attenersi”214 al fine di non violare le norme sulla concorrenza. Tale impostazione, anche
alla luce della successiva giurisprudenza della Corte, non appare invero condivisibile. Aderendo ad essa, infatti, si produrrebbe un’insanabile contrasto tra l’art. 86, par. 1 che presuppone e riconosce l’esistenza dei diritti speciali ed esclusivi ed un’interpretazione che pretende invece di considerarne presuntivamente illegittima l’attribuzione.
Indipendentemente da tali incertezze ermeneutiche, dalla sentenza Hofner non poteva che derivare un’interpretazione restrittiva della deroga di cui all’art. 90, par. 2. Infatti, pur ammettendo la possibilità che gli Stati-membri attribuissero privilegi alle imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale, si puntualizzava come, con ogni probabilità, siffatti privilegi avrebbero condotto le imprese beneficiarie a violare le norme poste a tutela della concorrenza. L’attribuzione di diritti speciali ed esclusivi diveniva in questa ottica una scelta non consentita dalla Comunità, ma tollerata, solo nei casi più estremi, potendosi accettare che il Trattato venisse violato solo laddove non sussistesse nessuna alternativa meno nociva. Dalla teoria dell’ “abuso inevitabile” si traeva dunque la conseguenza che alla deroga di cui all’art. 90, par. 2, potesse accedersi solo qualora fosse stato del tutto impossibile realizzare in forme concorrenziali la missione d’interesse generale. In tal modo, i margini per considerare proporzionale la deviazione dal diritto comune rispetto al soddisfacimento dell’interesse generale diventavano decisamente risicati. È vero infatti che già nella pronuncia Sacchi – da un punto di vista meramente formale - si stabiliva che le deroghe erano percorribili nei soli casi in cui l’adempimento della missione fosse risultato “impossibile” in un ambiente concorrenziale215; ma è altrettanto vero che solo
213 P. MANZINI, cit., 386. Si veda dello stesso A., L’esclusione della concorrenza nel diritto antitrust
comunitario, Milano, 1994.
214 P. MANZINI, cit., 387.
215 C. Giust. 20 aprile 1974, C-155/73, cit., par. 15 nella parte in cui si afferma: “il comportamento di tali
enti sul mercato è soggetto, ai sensi dell’art. 90 n. 2, al suddetto divieto, finché non sia provato che ciò è incompatibile con lo svolgimento dei compiti affidati agli enti stessi”.
con il “giro di vite” imposto tra il ’91 e il’92 l’accesso alle deroghe avrebbe subito effettive limitazioni.
Il nesso tra concessione del diritto esclusivo ed abuso di posizione dominante è ripreso altresì nella successiva sentenza ERT-AE216, emanata nel giugno ’91. In essa si
rilevava la violazione dell’allora art. 86 da parte di un concessionario televisivo il quale, in virtù del beneficio attribuitogli, era portato ad imporre trattamenti differenziati e discrezionali ai propri clienti, secondo una pratica evidentemente discriminatoria.
Nello stesso solco è collocabile la sentenza Porto di Genova217, pronunciata nel
dicembre ’91. La Corte era questa volta chiamata a valutare la legittimità del diritto esclusivo attribuito ad un’impresa incaricata di svolgere attività di carico e scarico merci in ambito portuale, privilegio con cui si impediva alle società di spedizione di svolgere il medesimo servizio con i propri mezzi e ad un costo inferiore. Nel caso di specie, peraltro, la ditta ricorrente lamentava il danno economico subito a causa delle preclusioni che gli erano state imposte anche in occasione dello sciopero dei lavoratori dipendenti dall’impresa concessionaria. Ebbene, il Giudice rifacendosi nuovamente alla giurisprudenza Hofner, riafferma che “uno Stato-membro contravviene ai divieti posti (…) quando l’impresa di cui trattasi è indotta, col mero esercizio dei diritti esclusivi che le sono attribuiti, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante (…) o quando questi diritti sono atti a produrre una situazione in cui l’impresa è indotta a commettere abusi del genere”.
Nella di poco successiva sentenza RTT218, emanata sempre nel dicembre ’91, si
esaminava invece l’operazione con cui il monopolio legale imposto sulla costruzione e l’utilizzazione della rete di telecomunicazioni veniva esteso sul contiguo mercato degli apparecchi telefonici. La Corte, anche in questo caso, considera sproporzionata la misura con cui il diritto esclusivo era stato attribuito: infatti, onde assicurare la conformità degli apparecchi a certi standards di sicurezza, non era affatto da considerarsi necessaria l’imposizione del monopolio sulla produzione e la vendita degli apparecchi stessi. Era semmai da ritenersi sufficiente che ad un organismo terzo fosse affidata la predeterminazione dei requisiti tecnici unitamente alla predisposizione di un procedimento di omologazione, sottraendo tali compiti al monopolista che, in caso
216 C. Giust. 18 giugno 1991, C-260/89, Elliniki Radiophonia Tileorassi – ERT. Cfr. M. RAMAJOLI, La
prestazione televisiva innanzi alla Corte di Giustizia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1991, 491 ss.
217 C. Giust., 10 dicembre 1991, C-179/90, cit. 218 C. Giust., 13 dicembre 1991, C-18/88, cit.
contrario, avrebbe beneficiato di indebiti privilegi sul mercato della telefonia. Pare dunque corretto intravedere nella ricostruzione della Corte, una prima definizione di quella che, una volta separata dai compiti gestori, sarebbe stata configurata come la funzione di regolazione pubblicistica219.
Dalla giurisprudenza passata in rassegna emerge con evidenza la preoccupazione della Corte di Giustizia di segnalare ed ostacolare gli effetti anticoncorrenziali che dall’attribuzione e dall’esercizio dei diritti speciali ed esclusivi possano derivare. Le deroghe espressamente riconosciute dall’allora art. 90, par. 1, sono interpretate solo in negativo, al fine di circoscriverne l’ammissibilità che, sulla base della norma stessa, parrebbe d’altro canto incontestabile. Dalle parole del Giudice comunitario, come detto in precedenza, la sproporzione della misura restrittiva rispetto agli obiettivi di utilità generale che debbono essere perseguiti sembra talvolta essere data per presunta, essendo inevitabile che il soggetto beneficiario del privilegio ne abusi distorcendo la dinamica concorrenziale.
3.4 LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. L’AFFERMAZIONE DEL