“ INDIFFERENZA SIGNIFICATIVA ” DELLA C OMUNITÀ NEI CONFRONTI DEGLI ASSETTI ORGANIZZATIVI NAZIONALI
3. G LI STRUMENTI DI PENETRAZIONE NEGLI ASSETTI ORGANIZZATIVI NAZIONALI ED IL CORRELATO “ AGGIRAMENTO ” DEL PRINCIPIO DI NEUTRALITÀ
3.1 L E FORME DI CONDIZIONAMENTO INDIRETTO
3.1.4 L’ INCIDENZA SUGLI ASSETTI ORGANIZZATIVI INTERNI DELLE IMPRESE IN PUBBLICO COMANDO L E RESTRIZIONI IMPOSTE IN TEMA DI “ GOLDEN SHARE ” E DI POTER
SPECIALIDELSOCIOPUBBLICO.
Un altro terreno su cui l’ordinamento comunitario continua ad intervenire ormai da oltre un decennio al fine di garantire che le libertà sancite nel Trattato non vengano erose dagli interessi politico-economici degli Stati-membri è rappresentato dalla cosiddetta governance delle società di capitali che siano state dismesse in tutto o in parte ai privati. In particolare, l’attenzione delle Autorità comunitarie si è spesso appuntata sui poteri speciali, variamente denominati, che taluni Governi nazionali hanno conservato (o comunque pretendono di conservare) all’interno di organismi societari ormai privatizzati. Con l’attribuzione legale di tali prerogative – su cui ci si è già in parte soffermati - gli Stati si sono talora riservati la possibilità di intromettersi in modo dirimente nelle principali scelte strategiche di tali organismi, in ragione della rilevanza pubblicistica delle attività da essi svolte, anche (e soprattutto) nei casi in cui
351 Sul punto, cfr., tra le altre, C. Giust., sent. 14 settembre 1994, C-278/92 e C-290/92, cit.; C. Giust.,
sent. 21 marzo 1991, C-305/89, Alfa Romeo; C. Giust., sent. 21 marzo 1991, C-303/88, Eni-Lanerossi; Decisione della Commissione 98/365/CE del 1° ottobre 1997, SFMI-Chronopost, in G.U.C.E., L 164 del 9 giugno 1988, p. 37.
l’irrisoria quantità di azioni detenuta non gli avrebbe potuto consentire di esercitare alcuna influenza decisiva sul piano gestionale: alla luce di queste peculiarità, le azioni, poche ma “speciali”, appartenenti al socio pubblico sono state denominate golden
shares, secondo la terminologia anglosassone, ovvero actiònes specifiques, nella
declinazione francese352.
Quanto all’Italia, l’art. 2, d. l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, ha originariamente previsto che tra le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, venissero individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri quelle nei cui statuti, prima di ogni atto che ne avesse determinato la perdita del controllo, si fosse dovuta introdurre la titolarità dei poteri speciali indicati dalla norma stessa in capo al Ministro del Tesoro. Si tratta pertanto di poteri la cui attribuzione pare sganciata dall’eventuale detenzione di una o più azioni da parte dell’Autorità amministrativa, la quale viene dunque legittimata a condizionare le scelte operative delle società, esercitando vere e proprie potestà amministrative353. Sotto questo profilo, i “poteri speciali” prefigurati dal
legislatore italiano possono distinguersi dalla stessa golden share, pur ispirandosi, evidentemente, alla medesima ratio.
Di norma, le prerogative che gli Stati-membri si sono riservati nel corso delle operazioni di privatizzazione sono risultate oltremodo rilevanti. I condizionamenti sulla “vita” societaria, esercitati grazie a formule di gradimento vincolante, oppure veti, concernono, tra l’altro, l’ingresso nell’impresa di nuovi soci, ovvero la conclusione di cosiddetti patti “parasociali” all’interno delle assemblee, ovvero ancora l’assunzione delle principali delibere gestionali, quali quelle aventi ad oggetto lo scioglimento e/o la trasformazione delle società. Inoltre, nella maggior parte dei casi, le Autorità nazionali hanno mantenuto consistenti poteri di nomina in ordine ai membri degli organi di amministrazione delle società privatizzate.
352 In tema di golden share e “poteri speciali”, cfr., fra gli altri, F. MERUSI, La Corte di Giustizia condanna
la golden share all’italiana e il ritardo del legislatore, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, 1236 ss.; J. SODI,
Poteri speciali, golden share e false privatizzazioni, in Riv. soc., 1996, 368 ss.; R. GAROFOLI, Golden
share e Authorities nella transizione dalla gestione pubblica alla regolazione dei servizi pubblici, cit.; S. NINATTI, Privatizzazioni: la Comunità Europea e le golden share nazionali, in Quad. cost., 2000, 702; C.
O’GRADY PUTEK, Limited but non lost: a comment on the ECJ’s golden share decisions, in Fordham Law
Review, 2004, 2219 ss.
Risulta evidente, da questo sommario quadro, come poteri dalla così vasta portata ed attribuiti a soggetti la cui presenza nella compagine sociale è il più delle volte irrisoria, se non addirittura nulla, non possono che ritenersi del tutto esorbitanti rispetto alle regole del diritto societario comune.
Nel contesto comunitario, prerogative siffatte si sono inevitabilmente scontrate con i principi che il Trattato pone alla base della creazione di un mercato unico ed aperto, in particolare con la libertà di circolazione dei capitali consacrata dall’art. 56, TCE. È naturale infatti che gli investitori stranieri non si trovino agevolati nell’acquisire partecipazioni in imprese le cui principali scelte gestionali devono assumersi con l’avallo delle Autorità nazionali e tenendo dunque conto degli orientamenti politici del momento. Peraltro, considerando che spesso i poteri speciali sono stati introdotti con il precipuo fine di ostacolare l’ingresso nelle società privatizzate di azionisti esteri in grado di “inquinarne” la nazionalità, appare chiaro quanto la libera movimentazione dei capitali sia stata sacrificata.
Anche in ragione di tali conflittualità, le Istituzioni comunitarie, ed in particolare la Corte di Giustizia, hanno assunto un atteggiamento di rigore nei riguardi delle prerogative speciali354. Correttamente, dunque, gli indirizzi interpretativi relativi alla
golden share vengono tradizionalmente inquadrati tra gli strumenti adottati dalle
Autorità europee per condizionare la struttura organizzativa di talune imprese nazionali, al fine di ricondurle il più possibile entro l’alveo del diritto comune, riducendo, contestualmente, ogni margine giuridico di specialità355.
Nel dettaglio, il Giudice comunitario non ha mai espressamente negato la possibilità che le leggi nazionali derogassero al diritto societario comune in nome dell’interesse generale. D’altro canto, nel corso degli anni, l’attribuzione di golden
share è stata subordinata al rispetto di condizioni sempre più restrittive. In tal senso, si è
specificato che i poteri speciali possono essere attribuiti solo nella misura strettamente
354 Cfr., tra le altre, C. Giust., sent. 28 settembre 2006, Commissione/Regno dei Paesi Bassi, cause riunite
C-282/04 e C-283/04, in Giorn. dir. amm., 2007, 145 ss., con nota di E. FRENI, Golden share,
ordinamento comunitario e liberalizzazioni asimmetriche: un conflitto irrisolto; C. Giust., sent. 23 maggio 2000, Commissione/Repubblica Italiana, in Racc. giur., 2000, 3811; C. Giust., sent. 4 giugno 2002, Commissione/Repubblica portoghese, in Racc. giur., 2002, 4731; C. Giust., sent. 4 giugno 2002, Commissione/Francia, in Racc. giur., 2002, 4781; C. Giust., sent. 4 giugno 2002, Commissione/Regno del Belgio, in Racc. giur., 2002, 4809.
355 Cfr., fra gli altri, E. M. APPIANO, L’influenza del diritto comunitario sui processi di privatizzazione
negli Stati membri, cit., 123 ss.; G. MINERVINI, op. cit.; E. FRENI, L’incompatibilità con le norme
necessaria e proporzionale al perseguimento degli interessi generali, tra i quali, ad esempio, nell’ambito dei servizi d’interesse economico generale, emerge la garanzia del servizio universale. Inoltre, i poteri speciali risultano legittimi solo qualora siano attivabili non in forma discrezionale ma esclusivamente in presenza di minacce gravi ed effettive agli interessi della collettività. Ancora, l’esercizio delle prerogative deve essere legato a criteri precisi e determinati, nel rispetto della certezza del diritto. Infine, il contesto giuridico in cui vengono calate le eccezioni al diritto comune deve essere tale da non assicurare eccessiva discrezionalità alle Autorità nazionali, non potendo dipendere dall’arbitrio (se non dal capriccio) di queste ultime le principali decisioni operative e gestionali delle società privatizzate.
Di recente, applicando i principi citati nell’ambito di una controversia concernente la legislazione italiana, la Corte di Giustizia si è spinta a censurare una nota disposizione contenuta nel nostro Codice civile, l’art. 2449, attributiva di peculiari poteri in favore dello Stato o di altri enti pubblici356. In particolare, si è sancito che l’art.
56, TCE e, dunque, il principio della libera circolazione dei capitali “osta ad una disposizione nazionale, quale l’art. 2449 del codice civile italiano, secondo cui lo statuto di una società per azioni può conferire allo Stato o ad un ente pubblico che hanno partecipazioni nel capitale di tale società la facoltà di nominare direttamente uno o più amministratori, la quale, di per sé o in combinato disposto con altre norme, è tale da consentire a detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società”. L’articolo incriminato, infatti, “consente agli azionisti pubblici di beneficiare della possibilità di partecipare all’attività del consiglio di amministrazione di una società per azioni con maggiore rilievo rispetto a quanto sarebbe loro normalmente concesso dalla loro qualità di azionisti”. Peraltro, l’attivazione del potere speciale non è subordinata al verificarsi di alcuna particolare condizione, né – a parere della Corte – è ravvisabile un nesso di proporzionalità tra il potere in questione e gli interessi generali da tutelare a livello nazionale. Una normativa così distonica rispetto al diritto societario comune, “fornendo agli azionisti pubblici uno strumento che permette loro di limitare la possibilità degli altri azionisti di partecipare alla società con l’obiettivo di creare o mantenere legami
356 C. Giust., 6 dicembre 2007, C-464/04, in http://curia.europa.eu/. Sul punto, cfr. F. FRACCHIA – M.
OCCHIENA, Società pubbliche tra golden share e 2449: non è tutto oro ciò che luccica, in
economici durevoli e diretti con quest’ultima”, appare dunque “idonea a dissuadere gli investitori diretti di altri Stati membri dall’investire nel capitale della società”, in violazione di quanto previsto dall’art. 56, TCE.
I vincoli imposti in tema di golden share appaiono dunque come uno dei principali tasselli dell’opera di “equi-ordinazione” delle diverse tipologie di imprese operanti in Europa, portata avanti dalla Comunità. Rinunciando all’atteggiamento di assoluta neutralità dettato dall’art. 295, TCE, le Istituzioni sovranazionali mirano evidentemente a “limare” ogni indebita disparità di trattamento normativo consolidatasi a livello nazionale, perseguendo l’obiettivo di sottoporre ogni soggetto economico ad una disciplina comune, indipendentemente dalla natura giuridica formale, oltre che dalla minore o maggiore rilevanza pubblicistica dell’attività svolta e prescindendo dalla circostanza che le singole imprese in questione siano state sottoposte ad un processo di privatizzazione. Nell’ottica della Corte di Giustizia solo gli “imperiosi motivi di interesse generale”, tradotti nelle puntuali deroghe presenti nel Trattato, possono giustificare le deviazioni dal diritto comune: al di là delle eccezioni normative, ogni pretesa degli Stati-membri decade, nella visione comunitaria, a mero “capriccio” di stampo protezionistico che non avrebbe ragion d’essere nel contesto di un mercato aperto. Quanto tale ottica non possa essere assolutizzata è stato, peraltro, messo in luce in precedenza e sul punto si tornerà inoltre nel prosieguo del lavoro.