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L A GIURISPRUDENZA DELLA C ORTE DI G IUSTIZIA L E INIZIALI INCERTEZZE NEL VALUTARE LA LEGITTIMITÀ DELLE DEROGHE AL REGIME CONCORRENZIALE

86, PAR 2, TCE.

3. I L RUOLO DELLA C ORTE DI G IUSTIZIA CE NELL ’ ELABORAZIONE DEL QUADRO GIURIDICO DI RIFERIMENTO IN TEMA DI DIRITTI SPECIALI ED ESCLUSIVI E , IN GENERALE , IN TEMA D

3.2 L A GIURISPRUDENZA DELLA C ORTE DI G IUSTIZIA L E INIZIALI INCERTEZZE NEL VALUTARE LA LEGITTIMITÀ DELLE DEROGHE AL REGIME CONCORRENZIALE

Dalle prime pronunce emanate sul tema emerge un’impostazione fortemente conservatrice. La richiamata assenza di una forte volontà politica capace di dare concretezza ai principi del libero mercato faceva sì che gli interessi della Comunità risultassero poco rappresentati nel quotidiano confronto con i singoli Stati-membri. Peraltro, se si considera che “alla Comunità non è stata attribuita espressamente una competenza generale in materia di politica economica, ma solo un forte potere di controllo sul rispetto dei tempi e dei modi della liberalizzazione del mercato”196, si può

comprendere agevolmente quanto abbia pesato il silenzio serbato per lungo tempo dalla Commissione.

Inoltre, all’indomani dell’entrata in vigore dei Trattati di Roma, come si è già messo in luce nel precedente capitolo, erano svariati i coni d’ombra che complicavano l’interpretazione dell’ allora art. 90. Non solo risultava poco afferrabile la nozione di servizio d’interesse economico generale197 e con essa l’ambito applicativo della norma,

ma altresì non appariva ben definita la posizione che, ai sensi del Trattato, la Comunità era chiamata ad assumere nei confronti degli Stati-membri nel campo dei pubblici servizi.

In effetti, mai è stato messo in discussione che l’ex art. 90, par. 2 salvaguardasse la competenza degli Stati nel definire la specifica missione d’interesse generale da adempiere in via obbligatoria. Maggiori dubbi sono insorti al momento di individuare le modalità attraverso le quali la Commissione - ai sensi dell’ex art. 90, comma 3 - fosse chiamata ad espletare il controllo sulle scelte effettuate dagli Stati nazionali. Un’interpretazione letterale del secondo paragrafo dell’art. 90 avrebbe invero potuto legittimare un’impostazione piuttosto restrittiva. L’ultima parte della norma specifica infatti che in caso di deroga al regime concorrenziale, “lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità”. Ci si chiese dunque se, sulla base di un’ottica minimalista, il citato sviluppo degli scambi fosse l’unico valore da considerare nel bilanciare gli interessi degli Stati con quelli della

196 G. TESAURO, cit., 719. 197 Cfr., supra, cap. II, par. 2.

Comunità198. Se così fosse stato, evidentemente, le Autorità nazionali avrebbero goduto

di ampia discrezionalità nel sottrarre spazi al libero esplicarsi della dinamica concorrenziale199. Tale interpretazione fu dunque rigettata, puntualizzando come gli

“interessi della Comunità” richiamati dall’allora art. 90, par. 2, andassero ben oltre la mera tutela degli scambi, involgendo semmai gli obiettivi generali perseguiti dalla CEE, tra i quali, all’art. 2, Trattato si distingue, ancora oggi, “lo sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità”200. Le Istituzioni europee, in questa

ottica, avrebbero potuto contrapporsi in modo ben più efficace alle tentazioni protezionistiche degli Stati-membri ed in effetti è anche grazie a tale più estensiva interpretazione che nei tempi più recenti la Commissione ha potuto imprimere un decisivo impulso ai processi di liberalizzazione. Ma, come ricordato, tra gli anni Sessanta e Settanta, i tempi si mostravano poco maturi per imporre alle Amministrazioni nazionali un’inversione di rotta.

Come accennato, tali titubanze sono leggibili altresì nelle prime sentenze pronunciate in materia dalla Corte di Giustizia. Nella pronuncia del 1971, Porto di

Mertert201, ad esempio, valutando la legittimità di taluni diritti esclusivi accordati ad

un’impresa incaricata di gestire uno sbocco fluviale del Lussemburgo, il Giudice si limitò a ricordare come dietro l’art. 90 si celasse l’esigenza di contemperare gli “obiettivi di politica economica generale” perseguiti dagli Stati con gli interessi della Comunità. Inutile dire che nell’occasione la Corte non si addentrò nella questione, lasciando intendere come sul punto la sovranità nazionale fosse da considerarsi, all’epoca, pressoché intangibile. Profili di maggiore interesse provengono dalla successiva sentenza del 1974, Sacchi202, relativa al monopolio legale in virtù del quale si

riconosceva all’emittente televisiva italiana in mano pubblica il diritto esclusivo sulla pubblicità commerciale, nonché il divieto per ogni altro soggetto di captare, allo scopo

198 Cfr., sul punto, R. VON DER ELST – G. SALMON, La nozione di “interesse della Comunità” ai sensi

dell’art. 90 del Trattato di Roma, in Riv. dir. industr., 1963.

199 Sui problemi relativi agli effetti prodotto nei diritti interni dall’allora art. 90, par. 2, cfr., fra gli altri, ,

M. WAELBROECK – A. FRIGNANI, Concurrence, in Commentaire Megret. Le droit de la CE, 1997, 300 ss.

200 Cfr., sul punto, G. RASQUIN, La nozione di interesse della Comunità, in Riv. dir. industr., 1963. Si

vedano altresì, R. URSI, cit., 151 ss.; G. M. RACCA, cit., 207 ss.

201 C. Giust., 14 luglio 1971, C-10/71, cit.

202 C. Giust., 30 aprile 1974, C-155/73, Sacchi. Cfr., per un’analisi della sentenza, fra gli altri, G.

RICHIELLO, La vicenda della tv via cavo nelle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee e

della Corte Costituzionale, in Dir. aut., 1974, 180 ss.; A. FRANCHINI, Il messaggio televisivo come servizio

e la sua circolazione nel Mercato Comune Europeo, in Dir. radio diff., 1974, 365 ss.; G. L. TOSATO,

di ritrasmetterli, messaggi audiovisivi provenienti sia dal territorio nazionale, sia dalle emittenti estere. Oggetto di censura era la circostanza per cui tali esclusive si estendevano altresì al contiguo settore delle trasmissioni via cavo, sebbene per esso non fosse stata rilasciata alcuna concessione. Orbene, la Corte, confermando la propria giurisprudenza, non ritenne illegittimo il privilegio monopolistico accordato: infatti “nulla osta a che gli Stati membri, per considerazioni di interesse pubblico, di carattere extra-economico, sottraggano le trasmissioni radiotelevisive, comprese quelle via cavo, al gioco della concorrenza, attribuendo il diritto esclusivo di effettuare tali trasmissioni ad uno o più enti determinati”. In particolare, la “grande importanza culturale ed educativa” dello strumento radio-televisivo, oltre alla sua idoneità nel “determinare l’orientamento della opinione pubblica” costituivano, nell’ottica della Corte, altrettanti valide ragioni per rendere insindacabili, in sede comunitaria, le scelte discrezionali effettuata dalle Autorità nazionali. Basandosi pertanto sul solo art. 90, par. 1, il Giudice comunitario, nella sentenza Sacchi, predispone una sorta di presunzione di legittimità per quei monopoli nazionali stabiliti alla luce di peculiari interessi generali203. Di fatto,

si riafferma in un caso concreto la piena libertà per gli Stati di attribuire quei diritti speciali ed esclusivi la cui esistenza è data per presupposta dall’art. 90, par. 1. D’altro canto, palesando un formale ossequio per la norma, nella pronuncia si ribadisce che lo stesso monopolista è assoggettato al rispetto del Trattato ed in particolare al divieto di discriminazione nell’espletamento dei suoi compiti: qualora il produttore privilegiato incorresse in una violazione del Trattato, il monopolio perderebbe la propria patente di legittimità.

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