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P ROTOCOLLO ANNESSO , TRA I NUOVI POTERI DI INTERVENTO ATTRIBUITI ALLA C OMUNITÀ E LE PREROGATIVE ( RAFFORZATE ) DEGLI S TATI MEMBRI

5. L A PRIMA RAGIONE DELLA PERSISTENTE SPECIALITÀ DELLA NOZIONE DI SERVIZIO D ’ INTERESSE ECONOMICO GENERALE : LA GARANZIA DEL SERVIZIO UNIVERSALE

5.4 L’ EFFETTIVA CONSISTENZA DEL SERVIZIO UNIVERSALE

L’avvento del servizio universale, in quanto nuova dimensione comunitaria della doverosità pubblicistica nell’ambito delle attività d’interesse generale, non poteva lasciare indifferente la dottrina europea, né poteva non condizionare la teoria

143 Cfr., sul punto, N. RANGONE, ult. op. cit., 22, nella parte in cui afferma: “l’individuazione a livello

comunitario di un nucleo centrale di servizi da prestare con carattere di necessaria universalità non impedisce, peraltro, l’individuazione a livello nazionale di altre attività di interesse economico generale, a condizione che questo non si traduca in un ostacolo al processo di liberalizzazione”.

144 L’importante differenza tra settori in cui sono intervenute le Direttive di liberalizzazione e settori

tradizionale del pubblico servizio. In tale prospettiva è parso quasi ovvio porre a confronto le categorie giuridiche tratte dalle esperienze nazionali, con i nuovi ed invasivi strumenti apprestati dal legislatore comunitario.

Secondo un primo orientamento, avallato dal Conseil d’Etat145 francese, oltre che

dalla dottrina d’oltralpe, occorreva necessariamente rapportarsi con sguardo critico al servizio universale, utilizzando la nozione di service public come parametro per porre in risalto i difetti e i rischi propri dell’approccio sovra-nazionale. In questo senso, il servizio universale è stato talora definito come esempio di service public circoscrit, da contrapporre all’esperienza nazionale del service public extensif146. In altre occasioni,

l’istituto di derivazione comunitaria è stato qualificato come service public minimal

dans un environnement concurrential147. Secondo tale visione fortemente critica, il

servizio universale dovrebbe sostanzialmente considerarsi il frutto di un compromesso al ribasso tra le sempre più pervasive istanze connesse ai processi di liberalizzazione e l’esigenza di conservare un limitato livello di obbligatoria tutela sociale. Pertanto, dalla necessità di aprire i settori d’interesse generale alle logiche concorrenziali, sarebbe derivata l’altrettanto necessaria rinuncia ad una quota-parte del service public di ascendenza nazionale, determinando così l’emersione di diverse categorie di utenti, non tutte beneficiarie delle medesime tipologie di prestazioni. Secondo siffatta chiave di lettura, il servizio universale non sarebbe altro che un sotto-insieme del pubblico servizio nazionale che si distinguerebbe da esso solo quanto al profilo strettamente quantitativo. Evidentemente, in tale ottica, il servizio universale non consisterebbe in un coacervo di prestazioni essenziali, bensì in una soglia di tutela minimale da garantire alla collettività148.

Per quanto concerne la dottrina italiana, il panorama interpretativo si presenta più variegato rispetto alle posizioni d’oltralpe. A fronte di talune impostazioni che tendono ad aderire all’interpretazione francese, sottolineando la finalità riduttiva

145 Conseil d’Etat, Rapport pour 1994, Service public, services publics: déclin ou renouveau, in EDCE, n.

46 ; cfr. F. GAZIN – F. LAGONDET, Le Conseil d’Etat, le services publics et le droit communautaire. A

propos du rapport public du Conseil d’Etat pour 1994, in Europe, 1995, 1 ss.

146 Conseil d’Etat, Rapport pour 1994, cit., 114 ss.

147 M. LONG, Service public, services publics: declin ou renouveau?, in Rev. fr. dr. adm., 1995, 501 ; cfr.,

altresì, tra gli altri, G. MOINE, Service universal, service minimum et dynamique de la concurrence, in

Rev. des affaires européennes, 1994.

148 Su tale problematica, affrontata in correlazione con le novità introdotte dall’art. 117, comma 2, lett. m),

Cost., a seguito dell’approvazione della Riforma del Titolo V, si vedano le riflessioni di G. ROSSI – A.

BENEDETTI, La competenza legislativa statale esclusiva in materia di livelli essenziali delle prestazioni

perseguita dal servizio universale rispetto alla nozione di pubblico servizio149, si

collocano altri Autori che, invece, sottolineano la funzionalità correttiva espressa dal nuovo istituto comunitario150. Secondo altre impostazioni ancora, allo stato attuale,

sarebbe proprio la nozione di servizio d’interesse economico generale a coincidere con quella di servizio universale151.

Più articolata è la posizione di chi vede nel servizio universale “un affinamento della nozione di servizio pubblico tradizionalmente accolta nel nostro ordinamento, più che un elemento di novità assoluta. Non si tratta però di un affinamento inutile o, altrimenti espresso, di un eccesso di qualificazione irrilevante”152. Infatti, “considerata

in modo unitario, la nozione comunitaria di servizio universale chiarisce che, in una situazione nella quale le risorse disponibili non sono illimitate, soltanto un insieme minimo di servizi ritenuti davvero essenziali per la collettività in un certo momento storico può essere garantito a tutti gli utenti (…) ad un prezzo abbordabile”153.

Alla base della visione testé citata, è individuabile un confronto serrato tra servizio universale e servizio pubblico, volto a far emergere i molteplici punti di contatto sussistenti tra le due categorie. In particolare, entrambe si connoterebbero per la relazione obbligata con la nozione economica di market failure. Di conseguenza, entrambe presupporrebbero una valutazione politica a monte volta ad individuare i casi in cui il mercato dimostri la propria inadeguatezza nel realizzare quell’interesse generale prefissato dal legislatore. Sarebbe pertanto essenzialmente politica la stessa scelta di rendere obbligatorie tanto le prestazioni afferenti al servizio universale, quanto quelle attinenti al “vecchio” pubblico servizio. Ancora, entrambe le nozioni si caratterizzerebbero per la loro intrinseca storicità e mutevolezza. Si tratterebbe infatti di due strumenti posti a tutela di esigenze della collettività che per definizione cambiano nel tempo, a seconda delle diverse offerte che la tecnologia è in grado di predisporre,

149 In questo senso, cfr. S. FOIS, Servizi e interessi tra privatizzazioni e regolazione pubblica, in Dir. soc.,

2000, 16. Più disincantata pare la posizione di S. CASSESE, La retorica del servizio universale, in

Telecomunicazioni e servizio universale, Padova, 1999, 91 ss., secondo il quale il servizio universale altro non sarebbe che un insieme di obblighi già esistenti nel concetto italiano di servizio pubblico e, pertanto, non dovrebbe parlarsi di servizio universale bensì di universalità del servizio pubblico.

150 Tra questi, cfr. E. CARDI, “Public utility” e “publica utilitas”: attualità delle radici di una nozione, in

Riv. giur. quadr. pubbl. serv., 1999, 31. A parere invece di V. GASPARINI CASARI, Il servizio universale, in

Dir. ec., 2000, 263 ss. gli obblighi del servizio universale coinciderebbero con il modello del servizio pubblico.

151 Cfr. G. CORSO, I servizi pubblici nel diritto comunitario, cit., 15. 152 M. CLARICH, cit., 198.

oltre che della risposta che il mercato in via autonoma può garantire nelle diverse epoche storiche. Terzo profilo di somiglianza tra le due nozioni consisterebbe nella doverosità che colora tanto la dimensione del pubblico servizio, quanto quella del servizio universale, doverosità da intendersi, in entrambi i casi, in una triplice accezione. La prestazione d’interesse generale costituisce infatti l’oggetto degli impegni assunti dai pubblici poteri nei confronti dei cittadini-elettori e dalle imprese erogatrici del servizio con l’Autorità di regolazione e con gli utenti. Entrambe le nozioni infine paleserebbero una “dimensione prevalentemente organizzativa”, implicante l’esercizio di pubblici poteri. La funzionalizzazione verso l’interesse generale, infatti, per giungere a buon fine, esige che l’Amministrazione adotti provvedimenti volti a conformare la libertà d’impresa, sempreché le forze del mercato, autonomamente e nel rispetto degli

standards prefissati, non riescano a soddisfare le aspettative dell’utenza.

Altra parte della dottrina, pur condividendo l’impostazione da ultimo analizzata, tenta di delineare una distinzione più profonda tra il servizio universale ed il pubblico servizio nazionale154. In particolare, viene da un lato riaffermata la prossimità tra le due

nozioni. Non sono infatti posti in discussione i quattro profili di contatto sopra ricordati ed anzi si sottolinea come i principi di continuità, adattamento ed uguaglianza informino tanto la nozione di derivazione comunitaria, quanto quella di ascendenza nazionale155.

L’essere informati ai medesimi principi regolatori testimonierebbe in questa ottica, una volta di più, la comune radice dei due istituti.

D’altro canto, si segnala altresì come il servizio universale, pur partecipando della medesima natura del pubblico servizio, debba comunque essere inscritto entro un diverso quadro di riferimento. A differenza dell’omologo nazionale, infatti, lo strumento comunitario risponderebbe a finalità eminentemente regolatorie. Con il servizio universale, dunque, lungi dal volersi circoscrivere un’area di doverosità pubblicistica che prescinde dai rapporti Stato-mercato, si intenderebbe precipuamente correggere, in un’ottica di protezione sociale, le disfunzioni del mercato liberalizzato. Quest’ultimo diventa dunque presupposto e giustificazione dell’imposizione degli obblighi di servizio universale, i quali sarebbero chiamati, in via transitoria, ad indirizzare verso finalità sociali i comportamenti delle imprese. Obiettivo del servizio universale sarebbe dunque quello di agevolare lo sviluppo dei mercati, nel quadro dei processi di liberalizzazione,

154 Tra gli altri, cfr. L. R. PERFETTI, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, cit., 125 ss. 155 Ci si riferisce alle osservazioni di G. F. CARTEI, ult. op. cit., 290 ss.

assicurando la soddisfazione degli utenti marginali ed evitando così che i benefici derivanti dalle logiche concorrenziali cedano il passo a fronte di insostenibili discriminazioni. In quanto tale, il servizio universale assume le sembianze di un correttivo transitorio, da utilizzare fintanto che il libero mercato non adegui la produzione alle pretese di ogni categoria di utente, indipendentemente dalle conformazioni pubblicistiche. I rapporti tra autorità e libertà nell’ottica del servizio universale risulterebbero così ribaltati: è il mercato oggi a farsi carico della soddisfazione della maggior parte degli utenti e lo Stato non deve più pertanto preoccuparsi di assicurare che l’intera collettività fruisca, indistintamente, del medesimo quantitativo di servizio. Secondo questo orientamento, dunque, l’oggetto cui è rivolta la funzionalizzazione pubblicistica sarebbe radicalmente cambiato, a seguito dell’intervento dei dettami comunitari. A fronte di un’Amministrazione tenuta ad esercitare poteri di “social regulation”, ossia di regolazione finalizzata alla realizzazione dell’interesse generale, muta la natura della prestazione doverosa. Oggi, soggetti destinatari di quest’ultima rimangono solo talune specifiche categorie di utenti deboli, dal punto di vista economico o dell’ubicazione geografica, ed al di fuori di siffatto nucleo di doverosità si colloca esclusivamente il libero mercato.

Oltre a tale significativa peculiarità, la dottrina citata sottolinea come un ulteriore elemento di distinzione tra servizio universale e pubblico servizio sia da ravvisarsi nelle diverse caratteristiche dei rapporti di utenza. In questo senso, la nozione comunitaria, unitamente alle disposizioni che ne definiscono il contenuto e le modalità di erogazione, presupporrebbe l’instaurarsi di una relazione sostanzialmente paritaria tra fornitore e cittadino. Il divario rispetto al rapporto che tradizionalmente si ritiene configurato tra amministrato e gestore del pubblico servizio sarebbe, in questa ottica, facilmente evidenziabile. Con l’avvento del servizio universale, infatti, la posizione dell’utente di fronte al fornitore perderebbe ogni connotato di recessività, inquadrandosi pacificamente nell’alveo delle relazioni di diritto privato: il contratto di utenza sostituisce così il provvedimento di ammissione, il prezzo pagato soppianta la tariffa, la tendenziale presenza di diritti soggettivi alla prestazione fa cadere le ipotesi di interesse legittimo che talvolta – secondo la pregressa accezione di pubblico servizio – si ritenevano radicate in capo al cittadino. Il servizio universale è dunque interpretato

come fattore decisivo nel processo di riconduzione dei rapporti di utenza verso il diritto comune.

Orbene, pur non intendendosi approfondire una critica verso posizioni fondate e parzialmente condivisibili, si ritiene comunque utile esprimere alcuni dubbi in ordine alle differenze che secondo l’impostazione da ultimo citata correrebbero tra la nozione interna di pubblico servizio ed il servizio universale. Quanto alla caratterizzazione di quest’ultimo come strumento atto a rendere selettiva e non più indiscriminata la fornitura delle prestazioni d’interesse generale, non si coglie la particolare carica innovativa dell’argomento. Sin dalla sua prima comparsa nelle direttive comunitarie, nessun interprete ha infatti messo in discussione che il servizio universale non coincida dal punto di vista quantitativo con il pubblico servizio di ascendenza nazionale; anzi, la stessa dottrina che qualifica la nozione comunitaria come un mero affinamento di quella interna, non nega affatto che con l’istituto di derivazione sovra-nazionale si sia inteso restringere l’ambito di operatività della doverosità pubblicistica imposta tradizionalmente negli Stati-membri per ritagliare maggiori spazi di produzione a favore delle forze del mercato.

D’altro canto, per quanto concerne il secondo argomento indicato, si ritiene possibile segnalarne alcuni limiti. È senz’altro indiscutibile che le direttive di liberalizzazione hanno contribuito non poco a ri-orientare la natura dei rapporti di utenza. Però, asserire che il servizio universale si distingua dal pubblico servizio in ragione delle relazioni instaurate con i rispettivi fornitori, significa porre a confronto la nozione comunitaria nelle forme che essa oggi assume con una nozione di diritto interno nelle forme da essa assunte alcuni decenni or sono. Com’è noto, la categoria nazionale del pubblico servizio, alla luce anche, ma non solo, del contributo comunitario, ha notevolmente cambiato fisionomia rispetto al passato. Le sempre più frequenti privatizzazioni degli enti di gestione, oltre al massiccio coinvolgimento dei privati nell’erogazione dei servizi di pubblico interesse hanno convinto la dottrina che la vecchia concettuologia pubblicista non fosse più adeguata per inquadrare correttamente i rapporti di utenza. Allo stato attuale, nessuno nega che una significativa porzione delle relazioni che normalmente intercorrono tra cittadini e gestori sia governata dal diritto privato e ciò indipendentemente dal fatto che si rientri nell’ambito di applicazione della

normativa comunitaria sul servizio universale156. Peraltro, quest’ultimo istituto è stato

elaborato con esclusivo riferimento ai settori delle telecomunicazioni e del servizio postale, ma al di fuori di tali ambiti, con riguardo ad altri servizi la cui erogazione è più o meno liberalizzata, non v’è interprete che ritenga opportuno ricondurre i rapporti di utenza alle antiche regole pubblicistiche.

Ulteriore conferma di quanto detto può essere tratta dalla posizione espressa dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204/2004157. In essa, pur rimanendo sullo

sfondo le influenze esercitate dall’ordinamento comunitario nella rielaborazione della nozione di pubblico servizio, si prende comunque atto delle trasformazioni che quest’ultima ha subito negli ultimi decenni. In particolare, la scelta del legislatore di attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l’intera cognizione in tema di pubblici servizi, viene censurata proprio in ragione dell’eterogeneità dei rapporti riconducibili alla categoria. In tal senso, si sottolinea come solo in taluni, limitati, casi sia apprezzabile l’esercizio del potere autoritativo nell’ambito dell’organizzazione del pubblico servizio, e come, di norma, le relazioni con l’utenza siano ormai disciplinate dalle regole del diritto privato. Peraltro, la controversia da cui era scaturita la questione di legittimità costituzionale risolta con la sentenza da ultimo citata, concerneva il servizio di assistenza sanitaria, tipico settore rimasto ai margini dei processi di liberalizzazione di origine comunitaria e nel quale non sono ancora individuate prestazioni di servizio universale; ciò nondimeno, la Consulta non ha incontrato ostacoli nel definire come paritetici i rapporti di utenza relativi ad esso.

In conclusione, pare dunque condivisibile l’impostazione di chi, senza sminuire l’importanza “strategica” del servizio universale, segnala la sua differenza meramente quantitativa rispetto alla nozione di pubblico servizio. Senz’altro si ritiene opportuno valorizzare la funzione svolta dall’istituto di origine comunitaria nel bilanciare gli effetti “perversi” che un’accezione troppo disinvolta del servizio d’interesse economico generale potrebbe produrre. D’altro canto, si considera imprescindibile riaffermare la natura di “clausola aperta” propria del servizio universale, sottolineandone la capacità di tradurre in termini di doverosità quelle prestazioni che secondo una valutazione politica si ritenga che debbano raggiungere ogni tipologia di utente, seppur nel rispetto delle

156 Sul punto, fra gli altri, cfr. G. ROSSI, Diritto amministrativo, cit., 307 ss.; G. NAPOLITANO, Servizi

pubblici e rapporti di utenza, cit.

157 Cfr., fra le altre, l’analisi di G. MONTEDORO, Servizi pubblici e riparto di giurisdizione dopo la sentenza

dinamiche del mercato. Pertanto, più che come strumento atto a gestire la transizione verso assetti completamente aperti alla concorrenza, il servizio universale si ritiene vada inteso come irrinunciabile fattore di inclusione sociale.

6. UN PRIMO (EPARZIALE) RAFFRONTO TRAI DETTAMI DELPENSIEROECONOMICO LIBERALE

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