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IL DISTRETTO RURALE DI ECONOMIA SOLIDALE IN FRIUL

DI

A

LBERTO

G

RIZZO

Io riporto un’esperienza diretta che si sta svolgendo in Friuli, nella Provincia di Pordenone, sottolineandone le positività, ma anche le criticità.

Abbiamo costituito il Forum delle Fattorie Sociali della Provincia di Pordenone, che mette in rete una serie di cooperative, di aziende agricole, e mette in risalto come elemento prioritario la cooperazione sociale. C’è stato un uso/abuso da parte dei servizi sociali del tema dell’agricoltura, per cui ci siamo trovati molte volte in situazioni in cui venivano fatti degli inserimenti impropri e il territorio ne è stato danneggiato. Questo ha determinato delle difficoltà inerenti la diffidenza iniziale, anche nella costituzione del Forum. La novità del- la nascita dell’agricoltura sociale procede parallelamente con la crisi del welfare. Si usa il termine generico di welfare state, per poi proseguire con la questione del welfare community. Io analizzerei la crisi innanzi- tutto come la questione di qual è la comunità di riferimento, qual è il contesto di riferimento. Io credo che sia necessario rifondare un’alleanza, e ciò pone alla comunità rurale delle questioni “sacrali”. Questa discussio- ne si ricollega alla necessità di qualcosa da sacrificare per un nuovo patto, per una nuova alleanza. Non mi stupisco di incontrare difficoltà in questa direzione, in quanto non si tratta di un transito spontaneo. Il passaggio da un welfare state ad un welfare community non è automatico, non è economico, si tratta di qualcosa di più che riguarda sicuramente la dimensione relazionale. Infatti, nel parlare di rete è molto più difficile immaginare che la rete sia costituita da relazioni umane, ma nella realtà c’è una comunità rurale che si sta disgregando e che bisogna ricostruire. Le cooperative sociali sono spesso viste come soggetti esterni, que- sta visione rischia di tradursi nello spiazzamento delle relazioni esistenti e nella conseguente nascita di nuo- ve strutture. Bisogna tener presente che una comunità è il contrario di una struttura.

Noi lavoriamo sulla costruzione di un’alleanza. All’inizio venivo trattato con diffidenza, non mi davano ac- cesso all’azienda, ero considerato come il portatore di un’istanza di cooperativa sociale che aveva dei finan- ziamenti, e ciò era percepito come una minaccia. Altra precisazione importante, non possiamo agire in que- sta direzione senza considerare ciò che prevede la legislazione e senza conoscere bene la struttura del siste- ma socio-sanitario.

Ci sono delle situazioni latenti da rigenerare: c’è qualcosa che si è conservato ai margini. Gli anziani ricordano ancora alcuni elementi di vitalità ed evocano una dimensione valoriale, delle ritualità che fanno parte di quel contesto e di quella realtà, ma il problema è che non si sa in che modo recuperarle.

È necessario spostarsi dall’ottica della resistenza, che richiama termini belligeranti, ad un tema di benessere, bellezza e relazione. Dobbiamo pensare che ci sia qualcosa che deve essere riportato ma non riesumato: non stiamo facendo archeologia rurale, stiamo facendo rivisitazione innovativa di qualcosa che è rigenerabile. Per creare buone e nuove alleanze è necessario definire un contesto relazionale all’interno del quale si intende ge- nerare buone relazioni e anche buone economie. Certamente bisogna partire dal contesto relazionale.

Riguardo la Legislazione, bisogna far riferimento alla Legislazione sui distretti rurali che prevede un ap- proccio sistemico al territorio. Per illustrarvi meglio l’importanza di quanto sto dicendo, vi propongo la defi- nizione prevista dalla Legge:

“Si definiscono distretti rurali i sistemi produttivi locali caratterizzati da un’identità storica e territoriale omo- genea derivante dall’integrazione di attività agricola e altre attività locali non necessariamente cooperative e altre attività locali nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità coerenti con la tradi- zione e le vocazioni naturali e territoriali”.

Allora il primo passo non è resistivo, è desistivo: bisogna desistere dall’azione in prima istanza per poter ca- pire quali sono le condizioni di identità e di specificità locale. C’è un problema di identità alla base, ma non dobbiamo pensare all’identità come qualcosa di statico, non bisogna riesumare la tradizione, tornare a con- siderarla sacra. È importante tener presente che l’identità è e non è. Per spiegarmi, mi servo della distinzio- ne filosofica tra idem e ipse: l’identità non rimane sempre uguale, va ribadita in quanto tale; l’identità è ipseità, cioè qualcosa che si mantiene nel mutamento. La questione cruciale è, quindi, comprendere qual è l’i- dentità ipse secondo l’ipseità di quel territorio.

Altro punto importante: se un territorio è un mosaico di azioni, è necessario individuare qual è il paradigma di approccio a quel territorio. Per farlo, possiamo ricorrere all’approccio sistemico che fa riferimento ad un paradigma di natura specifica. La natura, però, non è evidente per se stessa, ma ama nascondersi, ha più vol- ti. Dunque il paradigma territoriale è un paradigma di natura non olistica, ma pluridimensionale, pluridi- versificato, che ha sempre qualcosa da nascondere che va osservato, cercato e svelato. La natura è carica di interstizi e di pluralità.

Considerando l’esperienza nei distretti del Friuli, pur essendo Regione autonoma, quindi più snella nell’or- ganizzazione amministrativa e legislativa, non si è legiferato sui distretti, c’è solo la legge nazionale. Que- sta situazione rappresenta l’occasione migliore per prendere questa condizione come esperienza possibile. Sui distretti di economia solidale in questo momento a livello nazionale è in corso una riflessione. Questo è un elemento positivo. Infatti, c’è ancora molto da chiarire su cos’è l’altra economia, la bio-economia. Queste questioni non possono chiudersi dentro una cornice predefinita, sono oggetto di studio. Le economie altre sono motori di innovazione, dunque proponiamo la nascita di un distretto rurale di economia solidale come cornice organizzativa e metodologica per mettere assieme agricoltori, imprese agricole, cooperative sociali ma anche aziende. Non si può pensare che la cooperazione non sia anche volano di responsabilità sociale di im- presa per tutti i settori operanti nella zona, altrimenti si tratterebbe di un’azione confinata. Bisogna consi- derare anche il beneficio che si genera sull’intero territorio, quindi sulle altre aziende presenti, sui servizi, e su come loro si pongono rispetto alla nascita del distretto rurale di economia solidale. (figura 1)

Il distretto di economia solidale è un modello di coesione sociale e promozione del capitale umano, è un mo- dello di sviluppo del welfare comunitario, è un sistema reale di integrazione tra agricoltura e sociale capace di promuovere crescita economica, è uno strumento di prolificazione di processi bioeconomici di economia solidale. L’estensione del distretto nell’esperienza di cui sono testimone: 7 comuni della provincia di Pordenone, 7 co- muni nel distretto.

Abbiamo creato un’estensione sovrapponibile agli ambiti, perché gli ambiti urbani rappresentano, in base alla legge 328, esattamente il sistema socio sanitario integrato. Se noi vogliamo fare multifuzionalità e in- tegrazione territoriale, non possiamo avere questa sovrapposizione. Quando negoziamo con i servizi, non dobbiamo dimenticare di considerare i processi di inclusione, altrimenti rischiamo di realizzare solo l’alter- nativa ai servizi socio-sanitari, mentre il nostro obiettivo è l’integrazione, non creare alternative.

Grazie alla sovrapposizione attuata durante la prima fase di lavoro, abbiamo rafforzato le reti di comunità, ora c’è consapevolezza del fatto che non solo esiste il distretto rurale, ma esiste la comunità stessa. (figura 2) Abbiamo mandato i ragazzi che vivono sul territorio e che lavorano in queste realtà, nelle aziende e nelle coo- perative, nelle case, facendo tranquillamente a meno degli educatori. Abbiamo attivato una contaminazio- ne territoriale non su grandi temi o enunciazioni di principio, ma su argomenti semplici, come l’ospitalità, ter- mine fortemente connesso all’alleanza. Se nessuno offre ospitalità, vuol dire che ancora esiste una distanza da colmare.

Altro elemento importante è la trama ambientale nei distretti rurali: l’ambiente va trattato come approccio si- stemico. Ecco perché viene posta enfasi sulla riscoperta delle terre ad uso civico, luoghi dove la popolazione locale si incontrava, come i lavatoi, i crocevia, le vie interpoderali. Anche gli animali vanno considerati come risorsa relazionale.

Se non si riattivano le connessioni paesaggistiche ci si ritrova con un terreno in cui non c’è nessuna possibilità di connessione. Inoltre, le vie interpoderali possono e devono essere rianimate con le scuole, con la popola- zione, non con il sociale fine a se stesso. Gli asini, ad esempio, possono essere considerati mediatori relazio- nali. Essi ripercorrono le vie interpoderali e sappiamo che gli animali sono elementi di socializzazione: si ri- prende il paesaggio servendosi del mediatore relazionale che lo ripercorre per recuperarne l’utilizzo. Altri esempi concreti: fare trekking soleggiato per le vie interpoderali con una prospettiva sul paesaggio comple- tamente diversa da quella che si ha facendo le stradine classiche. In tal modo si riapre la rete della trama nar- rativa di quel luogo. Quell’animale e quella pratica recuperano la concezione in base a cui in quella zona ci so- no dei patrimoni identitari. Nasce così, nel centro delle fattorie sociali, il forum denominato “Op op somarel- lo”, primi passi per la costituzione del prodotto etico in collaborazione con le imprese agricole.

Il concetto portante di tutto ciò è che il prodotto è un bene relazionale che porta in sé delle condizioni di re- lazione. Abbiamo creato il prodotto etico con il suo logo. Qui si sta acquistando un prodotto nato dalla colla- borazione tra l’impresa agricola e la cooperativa Arca, operazione che abbiamo fatto in questi due ultimi mesi per rendere questa alleanza pubblica e trasversale.

Ciò vuol dire che, per esempio, nella produzione del vino, oltre la parte della vendemmia e dei lavori in sen- Figura 2

so stretto, assieme ad alcuni ragazzi, abbiamo organizzato delle serate per promuovere il loro lavoro. Ab- biamo poi realizzato un cd che raccoglie i canti della vendemmia, che viene allegato alla confezione. Questi canti, inoltre, vengono utilizzati nei centri diurni anziani e nelle case di riposo per le azioni di recupero del- la memoria, in quanto rappresenta un collante di tradizione. Il cd viene utilizzato anche dalle scuole come per- corso didattico. Ecco perché riteniamo che ogni azione di produzione debba individuare un numero preciso di multifuzionalità: è uno strumento didattico, è uno strumento sociale riabilitativo (gruppi di memoria), è un elemento di convivialità (per realizzarlo si sono fatte delle cene durante le quali si è trascorso del tempo in- sieme). Si è creata la possibilità di produrre un reddito elevato (la vendita ha reso all’agricoltore 0.50 euro a bottiglia in più rispetto a quello che avrebbe incassato senza tutto questo), si è garantita la possibilità di po- ter continuare a vinificare. Quindi una strada di continuità, una prospettiva che aprirà la prossima vendem- mia al turismo sociale.

Se io per ogni prodotto non riesco a individuare un numero preciso di azioni, vuol dire che sto lo trattando come un semplice prodotto. Quindi sto facendo solo delle economie che spostano di poco la questione. Ciò è fondamentale per garantire la possibilità di realizzare dei bilanci sociali, ma anche dei bilanci territoriali e del- le analisi che rendano il Pil una questione da mettere totalmente in discussione.