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Federica Roccisano, Cooperativa Hermes

SINTESI DEL WORKSHOP

DI

C

ATIA

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UMPANO

Le esperienze di cui ci siamo occupati nel Workshop si incrociano e nello stesso tempo si differenziano da quelle degli altri workshops.

Nella prima giornata, più di una volta, si è fatto riferimento ai processi di resistenza dell’agricoltura. In realtà in questo workshop ci siamo occupati dei processi di resistenza, attraverso l’agricoltura, in situazioni di for- te disagio sociale, in quanto si tratta di aree marginali, con forte presenza di fenomeni mafiosi. Qui l’agri- coltura diventa il mezzo per avviare il riscatto sociale, culturale o anche economico, per innescare nuovi pro- cessi di sviluppo per settori dei contesti rurali, ma anche in un ambito più largo, quello locale. Sono esperienze che stanno avendo un forte impatto negli atteggiamenti delle persone, nella cultura locale. Quelle affronta- te sono esperienze complesse e anche portatrici di una forte eticità. Entrambe nascono alla fine degli anni ’90, quando crolla l’alibi dell’impossibilità di agire perché vi sono ostacoli legati al problema mafia. In quegli an- ni si diffonde un senso di insofferenza verso la logica tradizionale secondo cui (dalle stesse parole dei par- tecipanti al Workshop): “C’è la mafia quindi non si può fare niente!”.

Alcune persone hanno pensato di iniziare a “sporcarsi le mani” con questa realtà e di agire, affrontando questi grossi rischi.

È stata narrata l’esperienza della cooperativa Valle del Marro, che si inserisce nell’esperienza di Libera, che ha una sua particolarità: fa parte di un’esperienza a carattere nazionale e opera sulle terre confiscate alla mafia. La Valle del Marro opera prendendo le distanze dalla realtà locale, cioè ha posto delle barriere con il fenomeno mafioso e opera su quello strato che è stato definito “un po’ grigio”, quello strato della popola- zione che sta ai margini, che subisce in qualche modo questi fenomeni, che non ha il coraggio di affrontarli e prendere delle iniziative.

La Valle del Bonamico, che ha dietro la forte presenza carismatica del vescovo Bregantini, ha deciso di spor- carsi le mani, cioè opera direttamente e coinvolge nelle proprie esperienze soggetti che in qualche modo so- no entrati in contatto con il mondo mafioso. Si tratta di detenuti o loro parenti. Toccante è stato il racconto, durante il workshop, del presidente Schirripa, quando narra appunto che agli inizi dell’attività della coope- rativa, quando ha iniziato ad avere anche qualche risvolto economico, le madri stesse dei ragazzi soggetti al- l’influenza mafiosa, chiedevano l’impiego dei propri figli all’interno della cooperativa, perché non volevano che seguissero le orme dei padri.

Entrambe le esperienze affrontano la stessa tematica, ma con modalità diverse. Entrambe sono portatrici di valori etico-solidali e anche sociali, hanno una visione etica del rapporto con il territorio, non solo dal punto di vista culturale, ma anche ambientale. Sono animate da valori come rispetto del territorio e recupero del- la memoria. Uno dei motti della Valle del Bonamico è appunto “Radici, Memoria, Identità”. Una delle espe- rienze che porta avanti è, infatti, il recupero del maiale nero dell’Aspromonte. Hanno scoperto, infatti, dei maiali bradi, che non riescono però a valorizzare perché ritenute razze illegali. Dietro si portano anche la vo- glia di stimolare iniziative imprenditoriali. Sono esperienze che soprattutto devono fare da collante tra gio-

vani e agricoltura. I giovani hanno una visione negativa dell’agricoltura, invece queste cooperative utilizza- no il rapporto con l’agricoltura, con la terra, dandogli un significato sociale e culturale. Questo naturalmen- te porta i giovani ad avere più entusiasmo, ad avvicinarsi a questo lavoro, ad attività che prima in qualche modo rifiutavano. Sono esperienze che permettono ai giovani di acquisire competenze che altrimenti non potrebbero avere. Nel lavoro delle cooperative c’è la necessità di saldare i rapporti con il mondo della ricer- ca e con l’innovazione. Tutte e due le cooperative hanno dei rapporti consolidati. Entrambe le esperienze hanno raggiunto dei grossi obiettivi e degli ottimi risultati. La prima esperienza, quella della Valle del Mar- ro, ponendo un no secco alla mafia, senza se e senza ma, si muove all’interno di un sistema rete nazionale che in qualche modo fa anche da tutoraggio e in un certo senso la difende. La Valle del Bonamico, invece, è completamente dentro l’area locale, cerca di contaminare il territorio, di seminare cultura d’impresa nella le- galità ed è costretta a fare i conti con mille e diverse contraddizioni. È difficile riuscire anche a lanciare dei messaggi chiari, che non generino poi delle interpretazioni ambigue.

Sono esperienze che fanno eccezione in Calabria, basti pensare che solo la Valle del Marro si occupa di beni confiscati di questo settore. Sono esperienze innovative che avrebbero bisogno certamente di supporto da parte delle politiche che al momento le hanno dedicato poca attenzione. Proprio perché sono esperienze complesse e nello stesso tempo delicate, diventa strategico il sistema rete. Entrambe sono inserite in un si- stema rete che in qualche modo li protegge dalle possibili distorsioni del contesto locale, però sono espe- rienze che vanno consolidate nel tempo, devono avere anche la possibilità di confrontarsi, di garantire dei redditi consolidati. Proprio per questo avrebbero bisogno di una maggiore solidarietà e quindi dell’interven- to da parte delle istituzioni. Soprattutto questo comporta un nuovo modo di pensare le politiche di sviluppo che probabilmente è ancora lento ad essere assorbito dalle nostre strutture regionali. Grazie.

RELAZIONE INTRODUTTIVA